Dipinti in cerchi – trentacinquesima puntata

Nella notte la produzione di Dipinti in cerchi ha piazzato nell’atrio un totem che va dal pavimento al soffitto, di forma circolare, che si colora a seconda della natura della giornata avvertendo gli ospiti del programma:

GIORNI CON TELECAMERE A SORPRESA GIORNO ROSA
GIORNI CON SCENE DIRETTE DAVVERO DA CINEMA, QUINDI CON PROVE E RIPETIZIONI E DIALOGHI SCRITTI
GIORNO BLU
GIORNI CON PUBBLICO AL KURHAUS ED ENTRATE UFFICIALI TIPO SPETTACOLO TEATRALE
GIORNO VERDE
GIORNI CON PUBBLICO NASCOSTO GIORNO GIALLO
GIORNI CON TELECAMERE H24, DIRETTE TV E SOCIAL GIORNO ROSSO
GIORNI IN CUI NON VIENE DICHIARATO ALCUNCHE’ GIORNO NERO
GIORNI OFF
GIORNO BIANCO

Le luci dell’alba si riflettono nel Passirio come se il fiume non aspettasse altro per illuminare la sua città e il lieve rumore che accompagna i respiri dei meranesi ogni giorno e ogni notte sembra una parola di scusa per non riuscire a far luce anche quando il sole è dall’altra parte del mondo. L’entrata al Kurhaus è fissata per le ore 8.

I dieci protagonisti andranno subito al trucco e in sartoria, allestite nel retropalco del teatro, e verranno subito avvisati che il primo giorno è rosa, con riprese a sorpresa in luoghi e momenti non dichiarati.

Il totem, sono le 7, illumina di rosa infatti tutto l’atrio e tra i primi a godersi lo spettacolo c’è Malvina: non ha chiuso occhio tutta la notte, ha intravisto Lena, non lontana da lei, in una casa vicinissima a Villa Iolanda, che affacciava al suo balcone tutti i suoi dubbi e si è intenerita guardandola, ha rivisto nel semibuio, poco prima del black out, le sue incertezze ma anche la decina di anni in più, la fragilità e l’esposizione di cui si sente ancora portatrice sana.

Non riesce a inquadrare, dal suo balcone, invece, la vicina residenza di Jorge, che non ha più sentito da ieri pomeriggio e da cui continua ad aspettarsi qualcosa in più, al netto di tutto il dolore disperato che porta in ogni fibra. I pensieri su questo e l’adrenalina hanno fatto il resto, ovvero meno di un’ora di sonno, si prepara un caffè veloce e vola al Kurhaus, Lo squarcio rosa del totem la accoglie all’entrata ed è compiaciuta dell’effetto, qualche tecnico è già al lavoro, in ogni sala ne trova almeno quattro.

Stanno definendo bene i momenti che saranno ripresi, rivedono le indicazioni della produzione e il lungo comunicato che Jorge ha preparato nei giorni scorsi con i movimenti di macchina, i ritmi, i piani, i filtri sulle luci.

Tutto deve sembrare fuorché televisione, la commistione deve far emozionare il pubblico e far pensare a qualcosa che non è mai stato visto, né sui social né in un cinema d’essai.

Muoversi proprio tra questi due estremi: i reel e i film d’autore, dimenticando l’estetica e le dinamiche da reality, flirtando semmai col teatro filmato e con le ricostruzioni d’epoca calligrafiche, lente, con accelerazioni improvvise e spiazzanti.

Jorge è consapevole che in un apparato simile la variabile e quindi la riuscita del progetto è chiaramente legata al clima che creeranno gli attori, a come prenderanno questa sfida, a quanta vita ed energia ci metteranno ogni giorno, a quanto saranno disposti a toccare il limite tra realtà e finzione. In questo momento, in realtà, non è consapevole di nulla.

Anche lui ha vissuto una notte insonne e drammatica, tra l’impulso reiterato di tornare a Genova a indagare il cellulare di BluRose, quello di razionalizzare gli ultimi eventi, la certezza di un tradimento passionale che non ha nulla di mediocre ma che sembra, anzi, avere lo spessore di una storia d’amore con tutti i crismi, parallela a quella che lei stava vivendo con lui.

Lo specchio crepato è la prima cosa che vede alzandosi dal letto, il computer per terra è la seconda, la terza è la porzione di città che intravede dalla terrazza, i monti distanti, il fiume che sembra un modesto torrente da qui, i primi viavai di cittadini e turisti alle prese con le attività dell’inizio del giorno. Sa che è tardi, sa che non può mancare, sa che deve sbrigarsi, mette il cuore in off e fa quello che bisogna fare senza porre altro tempo in mezzo.

Due ore dopo sembra si sia trapassati a cent’anni prima, anzi a qualcosa di più. In modo diligente, con una puntualità che ha destato qualche moto di sorpresa, i dieci protagonisti hanno varcato l’ingresso del Kurhaus, son passati, oltre il totem per oggi rosa, sotto un’iscrizione discreta che recita “Benvenuti a Bloomsbury, dimora di arte, vita e libertà” a mo’ di cartello stradale a muro per indicare il nome di una via o di una piazza.

Il silenzio è stata una scelta spontanea, in queste prime ore, sia nel retropalco del teatro dove è stata allestita la sartoria, unitamente al guardaroba, per il cambio costumi che nelle altre sale, compresa la camera, nel foyer del teatro, destinata al trucco, schermata da dei separé alcuni in bianco e nero, alcuni virati seppia, con foto che ritraggono i reali abitanti di Bloomsbury, ben visibili da fuori e da cui qualche passante si fa attirare, indugiando e avvicinandosi alle finestre per scorgere qualcuno dei protagonisti, impresa assai difficoltosa ma non impossibile.

Malvina si affanna tra le sale, gira con canovacci stampati, prende accordi con la troupe, dà indicazioni a tecnici e responsabili della comunicazione, improvvisa riunioni negli spazi predisposti, mentre Jorge, altrettanto risoluto e rapido, si aggira assertivo e concentrato, spesso accanto a lei, altre volte più diretto verso il reparto operatori, a ribadire il già noto: cinema cinema, confine tra realtà e finzione, mistero mistero mistero, libertà e democrazia.

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.