La storia di Diana Nyad è il film perfetto per i prossimi giorni di vacanza.
Se sei un appassionato di sport estremi, o hai voglia di capire cosa muove una donna o un uomo a compiere prove ai limiti del possibile, regalati due ore di avventura, amicizia, perseveranza e passione, il tutto in uno dei mari più belli del mondo.
“Nyad – Oltre l’oceano” è titolo del film sulla vita di Diana Nyad, disponibile su Netflix, basato sull’autobiografia “Find a Way” scritto dalla nuotatrice americana.
Diana Nyad è un’autrice, giornalista statunitense. Nel film il suo ruolo è interpretato da una bravissima Annette Bening con accanto, quale allenatrice, mentore, psicologa, sorella e tutto ciò che vorreste vicino, stando per affrontare una prova incredibile, Jodie Foster.
La storia, ambientata nel 2013, gira intorno a una nuotata impensabile, lungo la distanza che c’è da Cuba alla Florida, 110 miglia (177 chilometri) con condizioni del mare aperto difficilissime, con forti correnti, punture di cubo meduse e la presenza di squali tra i più grandi al mondo.
Nyad aveva tentato l’impresa nel 1978, ma le condizioni meteorologiche avverse e un team non alla portata dell’impresa la costrinsero ad abbandonare il tentativo.
Sullo sfondo della vicenda un cognome che è un destino, Nyad che in greco significa ninfa dell’acqua.
Nel 2013, all’età di 64 anni, senza l’aiuto di una gabbia per squali e una caparbietà innaturale riesce a cambiare la visione di questa impresa ai limiti delle possibilità umane.
L’ultra maratoneta del mare, come venne chiamata a metà degli anni ’80, dopo il fallimento della medesima traversata che segnò la fine, prematura, della sua carriera sportiva, si ritira e inizia la carriera come giornalista sportiva.
Ma poi a 60 anni decide di far pace con il passato e di compiere la traversata di 177 km che da Cuba conduce a Key West in Florida. Impresa mai riuscita a nessuna donna.
La sua storia è un film perfetto, dove la vicenda della giovane campionessa, promessa non mantenuta del nuoto mondiale, si intreccia con quella di una donna matura che deve fare pace con i mostri del passato.
È bellissimo il rapporto con la sua allenatrice, amica, confidente.
Il team che, nonostante il suo carattere egocentrico, caparbio allo stremo, e poco incline al confronto, sente che non deve lasciarla sola.
Un film che apre la mente davanti a momenti di incertezza, ci porta su un piano nuovo delle prove sportive, con il dovuto rispetto della vita umana, grazie alla sua allenatrice, ancora di salvataggio nel senso più ampio del termine.
Diana nel film partirà e si fermerà per ben 4 volte, ripartirà ancora una volta compiuti 64 anni, nuoterà ininterrottamente per 60 ore, senza assistenza, senza essere toccata mai da nessuno pena la squalifica della prova.
Nutrita a distanza fino al traguardo, in preda alle allucinazioni, minacciata da squali e meduse mortali, ma protetta con delle soluzioni tecnologiche semplici e rispettose del mare, perché come gli ha detto uno dei suoi assistenti “ricordati che tu qui sei solo di passaggio”.
Una storia così appassionata che mentre la vedi ti dimentichi del traguardo, talmente è bella la preparazione dell’impresa.
Un tragitto che possiamo capire almeno un per un po’, nella nostra fatica quotidiana, mentre ci alleniamo per una maratona o una prova per noi importante, la caparbietà che ci spinge giorno per giorno a rispettare gli allentanti è alimentata dalla stessa energia e ostinazione che ha portato Diana a superare un mare, andando oltre un oceano di paure e incertezze.