Dal 4 maggio abbiamo potuto riprendere a correre liberamente dove vogliamo: possiamo allontanarci da casa, cambiare strada, ripensarci, andare a nord, tornare verso sud, andare in strada o sui sentieri, nei boschi o nei parchi. Ma…
Ci manca ancora qualcosa.
La maggior parte dei podisti amatoriali ha come motivazione principale a correre ed allenarsi la dimensione sociale della corsa.
Prendiamo le gare: per molti sono solo l’occasione per vedere i compagni di squadra e gli amici. Spesso il gazebo è il luogo più importante della campo gara. I gruppi si organizzano già nei giorni precedenti per decidere cosa portare da mangiare o bere, il gazebo si arreda con tavoli e panche. Ci si ritrova tutti, aspettando gli ultimi arrivati, intorno a tavolini con biscotti e crostate.
Ma senza gare non ci sarà nemmeno il gazebo.
Non mi abbatto, non avrò il piacere di andare alla gara e vedere gli amici al gazebo, ma almeno li potrò ritrovare per correre insieme solo per il gusto di farlo…ma….dobbiamo stare alla distanza di sicurezza di due metri e parlare e condividere pensieri e fatica a quella distanza spesso contrasta con la quantità di fiato che abbiamo a disposizione.
E poi non è facile riuscire a mantenere costante la distanza, perché non corriamo in un’autostrada a 4 corsie e quindi basta incrociare una persona che corre o passeggia che bisogna spostarsi, distanziarsi, procedere con un ritmo a fisarmonica che ci obbliga a stare attenti ed in tensione e non spensierati e in chiacchiera.
Ci abbiamo provato almeno una volta a fare un’uscita con un amico in questi primi giorni di libertà, ma forse non lo rifaremo perché a tratti diventa stressante.
Forse proveremo nuovi percorsi e nuovi orari per riuscirci, ma questo nuovamente limiterà la nostra libertà, quella libertà che avevamo pensato di aver riguadagnato, almeno nella corsa, almeno per allenarci in assenza di gare.
Allora di nuovo dovremo tornare alla motivazione alle aspettative, a ciò che rappresenta per noi la corsa e cosa possiamo fare realmente.
Dovremo tornare a fare un lavoro mentale oltre che fisico.
Analizzeremo i pezzi che compongono la nostra passione, forse alcuni li scopriremo per la prima volta, li maneggeremo con attenzione e cura e li riassembleremo nell’unico modo possibile in questo contesto fuori dall’ordinario.
Bisognerà smettere di pensare solo a quello che ci manca e non si può fare e ci dovremo concentrare ed orientare su ciò che è possibile, ascoltandoci e capendo cosa ci fa stare bene della corsa e perseguendolo.
La dimensione sociale della corsa tornerà e noi la sapremo aspettare, come quando siamo al ristorante e aspettiamo che ci portino il piatto più buono che abbiamo ordinato.
Cecilia Somigli
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