Abbiamo bisogno di normalità

Abbiamo tutti voglia di normalità. Si sente nell’aria che è cambiata e scalda le serate sul balcone di casa. Si sente la mattina all’alba quando corriamo e abbiamo alleggerito abiti e pensieri.

Oggi sono passati due mesi esatti da quando ho messo il lucchetto alla quotidianità, dal momento esatto in cui il dolore ha rafforzato il suo metodico dovere, giorno dopo giorno.

Da alcune settimane però qualcosa è cambiato, perché si sono allargati i fori del filtro mentale. Di quella difesa naturale che ha l’uomo davanti alla grandi sciagure della vita, di fatto siamo diventati più resistenti agli urti della quarantena.

C’è stato un istante preciso in cui abbiamo perso il conto delle vittime, dei contagi, delle paure e non era indifferenza, anzi, facevamo agire quello schermo protettivo che non voleva più tenere dentro il male.

Eravamo settati per agire a fin di bene, dando retta a chi prendeva decisioni vitali per il paese e si faceva carico di una responsabilità che la storia gliene sarà grato per sempre.

Noi, nella sciagura, abbiamo reagito nell’attesa di portare l’indice di trasmissibilità a zero in tutto il le regioni.

Siamo stati davvero bravi e ora c’è bisogno di quella normalità che ieri ho respirato tra le ciclabili della città.

Ma dobbiamo ancora evitare assembramenti, e mantenere comportamenti migliori.

La compostezza e la distanza, delle famiglie che hanno vissuto in questi 60 giorni sanno bene che tutto può cambiare in un secondo.

I volti che ho visto tra le vie di Roma erano illuminati del sole caldo di Roma, le braccia scoperte di chi le ha tenute per troppo tempo conserte e impaurite a difesa della propria vita e dei loro concittadini.

Io sono felice di rivedere le vostre facce sfrontate dalla fatica di una corsa in centro all’alba. Di seguire le uscite in bici tra le colline e non più sulle piattaforme comandate dai rulli in casa.

Ha ragione la nostra amica Adele quando ieri commentava così la sua giornata:

“È bella questa pigra domenica pomeriggio con tutte le vostre foto e i vostri post che parlano di sport. Senza gare e tempi, solo le faccine felici di chi ha fatto i primi passi fuori, le città d’Italia in tarda primavera, le biciclette, l’ubriacatura di endorfine. I social sono una brutta cosa ma anche una gran bella cosa.”

E posso dire con certezza che non ho paura della sindrome della capanna.

Voglio uscire da questa casa che è ha fatto il suo dovere sempre, come luogo di attenzioni e pensieri positivi per il futuro.

Il domani è oggi e lo voglio vivere in sicurezza, con la speranza di riabbracciarci più di ieri.

Buona settimana.

Marco

 

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso