Escono dal Palazzo senza Tempo e si sentono davvero senza tempo, come fosse una notte regalata e imprevista in mezzo al fuoco di fila degli impegni, alle tabelle di marcia e alle connessioni di ogni genere. Passeggiano nel silenzio, col vento che sta cedendo alla quiete della notte. Qualcuno chiude il palazzo dietro di loro, il rumore di un mazzo di chiavi che cade, un portone, la sua serratura, il suono delle mandate come a cacciar via la notte dal palazzo o ad inglobarla ma solo attraverso le finestre, senza più voci, senza viaggiatori, senza ballerine improvvisate e squarci di abbracci di insostenibile intensità. Il vento si ferma mentre raggiungono la piazza del Macca. Si affacciano sul belvedere e intravedono la passerella colorata che adesso è una macchia psichedelica nel notturno peccioliano, eppure non fa l’effetto di una scheggia impazzita, non è una dissonanza e, anzi, vorrebbero vederla meglio di così, ché da quel punto se ne vede solo un pezzetto.
“Tu te la ricordi Blu?”
Malvina non trova le parole, non trova nemmeno i ricordi necessari, l’ha sempre vista su uno sfondo opaco, come si rifiutasse di approfondire una zona di Jorge che non le era utile o che non la affascinava, da non considerare viva e vibrante.
“L’ho incontrata pochissime volte. Era riservata rispetto all’ambiente del tuo lavoro.”
“Sì, è vero. C’è stata un’unica mattina in cui venne a trovarmi mentre lavoravo, ultimamente. Anche perché le città e gli impegni di entrambi difficilmente si incrociavano e a Genova nello stesso momento era difficile beccarci.”
“La mattina dei provini sulla scalinata, mi pare.”
“Bravissima. Che impressione ti fece quella mattina?”
“Penso sia l’ultima volta che l’ho vista. Ma forse anche la prima, eh”
“Sì, sicuramente l’ultima.”
I passi di Jorge e Malvina non hanno rumore, il vento è cessato del tutto, a Peccioli sembrano tutti dormire anzitempo, il bar della piazza sta chiudendo, il cinema di fronte sembra serrato da anni.
“Mi ricordo che era molto rapida. Nei gesti, nei movimenti, forse andava di fretta quella mattina. Era bella, però.”
“Cosa indossava?”
“Una gonna blu, questo me lo ricordo bene. Perché ho pensato una cosa stupida. L’associazione tra il nome e il colore. Mi sono chiesta per qualche frazione di secondo se anche lei ci avesse pensato. O se ci pensava ogni volta che indossava qualcosa di blu.”
“Credo di no. Credo che lo facesse spontaneamente. Amava il blu.”
Jorge si sforza di sorridere neutro e distante, ha un groppo in gola che lo accerchia.
“Andava sempre di fretta, non solo quella mattina. Era la sua cifra. Rendeva ogni sua presenza in una situazione, in un posto, qualcosa di poco ordinario. Non solo ai miei occhi, non lo dico da uomo innamorato. Era così per chiunque.”
“Di solito è tipico delle attrici. Mi viene in mente Michelle, ad esempio.”
“Sì, lo so. Alzare il clima della stanza, uscire da una camera e lasciarla alterata rispetto a quando non c’era. E’ vero.”
“Tipico anche tuo, ad esser sincera.”
“Grazie, Malvina. Lo so, non è una cosa che si impara, o che si fa intenzionalmente.”
“Io non ce l’ho.”
“Perché? Chi l’ha detto?”
“Proprio perché non è una cosa che si impara.”
Si guardano, Jorge la abbraccia, Malvina ricambia con rigidità, percepisce un’esclusione definitiva tra lei e le cose importanti, tra il suo percorso e quello di chi è in Serie A, tra le cose e la rappresentazione delle cose. Di nuovo si odia perché si sta mettendo al centro in un abbraccio che dovrebbe fungere da consolazione di lei a lui.
“Scusami, non sono brava nemmeno ad aiutare. A star vicino.”
“Malvina, ma cosa stai dicendo?”
L’abbraccio prosegue davanti al cinema, nei pressi della vetrina centrale, e sembra una locandina vivente in 4d, la pubblicità di un film per una sala che non proietta più storie e sentimenti da almeno un decennio. I cappotti di nuovo bagnati da lacrime diverse, l’assenza di vento, chissà che tempo farà domani, chissà se sulla terrazza si volerà o si rimarrà ben ancorati a terra.
Sin dalle prime battute dell’incontro con i giornalisti ( Peccioli lontana da tutto, Peccioli scomoda, Peccioli sconosciuta e intanto in presenza ce ne sono circa 150, on line 500 ), la centralità del discorso è stata occupata sulla portata culturale del progetto. Si è parlato di cultura e di democrazia, a scansare preventivamente ogni possibile vicinanza con il mondo del reality e a far profumare di spessore, seppur vago, le parti meno drama e più docu che saranno probabilmente alla base di “Dipinti in cerchi”. Il flirt col mistero permette di far sembrare non vaghe o poco organizzate talune specificità: tutto è ammantato di segreto, nonostante questo sia l’incontro svelatore vero e proprio prima dell’inizio. L’identità dei coach, presenti in seconda fila, diligentemente dietro il proprio protagonista, rapiti dal mondo accademico, tra linguisti e storici della critica letteraria, specializzati nel settore novecentesco della letteratura inglese. Tutti tra i 45 e i 65 anni, molto preparati all’evento, in apparenza assai convinti del proprio ruolo, dei limiti da non valicare, delle caratteristiche di supporto che dovranno rivestire, facendo virare il tutto sempre verso i contenuti reali del gruppo di Bloomsbury, una garanzia di non banalizzazione, di impossibilità del tradimento dell’assunto di base: lo spessore della cultura, la cultura della democrazia, l’arte di tutti. Jorge trova anche un fil rouge rispetto alla location odierna, un vero e proprio museo d’arte contemporanea a cielo aperto, accessibile a tutti e in tutti i momenti della giornata e della notte. Qualche coach è stato invitato a parlare, ribadendo l’importanza dell’esperienza di Bloomsbury non solo limitatamente a Virginia Woolf ma a tutto il gruppo, al concetto di arte non squisitamente letteraria o legata alle arti figurative ma che investiva ogni aspetto della vita quotidiana, dagli abiti ai mobili fino ai piatti per la tavola, grazie all’esperienza degli Omega Workshops.
I giornalisti incalzano con qualche domanda ai protagonisti, tutti presenti, sorridenti ma molto misurati, come se qualcuno avesse detto loro di parlar poco, di muoversi ancor meno, di cominciare a far respirare la distanza spaziotemporale del personaggio che si ritroveranno a vivere tra qualche giorno.
“Sì, sono il più piccolo, almeno credo. Di certo mi sento il più piccolo, non solo anagraficamente. Il mio metro e 70 scarso non mi aiuta, i miei 60 chili neppure” ( risate )
Fidel
“Incantata. Bloccata, praticamente da quando ho ricevuto la notizia. Non penso ad altro, spero che la tensione non mi impedisca di fare bene e di dare il massimo. Siamo qui per voi!”
Martina Neva
“Sono davvero onorata di essere qui. Considero quest’esperienza una vera partenza per il mio percorso umano e professionale”
Michelle
“No, non ho avuto tentennamenti sul progetto, ma soltanto sulla fattibilità relativamente ad impegni pregressi. Sono felicissimo, invece, e già oggi su questa terrazza sto capendo l’importanza di quel che stiamo andando a fare”
Tobia
Il vento tanto atteso si sta facendo attendere ma l’immagine della produzione e degli organizzatori, schierata di fronte alla platea che occupa tutta la superficie della terrazza, si arricchisce non appena i protagonisti prendono la parola raggiungendo il lungo tavolo che prende la parte più esposta del luogo, non c’è vento, d’accordo, ma si sente la sospensione, la provvisorietà, una certa dose di incanto.
“L’emozione è fortissima. Spero di essere all’altezza. Spero di contribuire bene a qualcosa di importante.”
Lena
“La provocazione fa parte di me. Ma mi atterrò al canovaccio, sto studiando molto e spero di fare bene, sempre.”
Narciso
“Un bell’impatto. Anche questo incontro di oggi ci sta facendo capire quanto sia responsabilizzante esser parte di questo progetto. Mi sento bene, mi sento al centro delle cose”
Tessa
“No, non sento addosso l’etichetta di ripescato, anche se c’è chi ha provato in tutti i modi a farmela sentire. A questo punto, sin dal primo giorno, prometto che farò dimenticare a tutti il pre. Esisterà soltanto Dipinti in cerchi così come sarà”
Bengala
Brevi dichiarazioni per tutti, ma l’attesa di ogni persona convenuta a Peccioli è per l’unico nodo che deve esser sciolto immediatamente. Verso il finale un po’ di vento si alza, effettivamente, e muove i capelli lunghi di Malvina, quelli di Narciso, i ricci di Nathan, il ciuffo di Martina Neva.
“No, non ho nulla di corrucciato. Non tolgo gli occhiali da sole perché ho il sole in faccia, semplice. Prendo con serietà ogni progetto, sono concentrato, anzi. Molto concentrato”
Warren
“Sono su una nuvola. Non posso nasconderlo, mi si legge in faccia. Sono entusiasta, non vedo l’ora di entrare in un luogo che sarà fisico e metafisico insieme.”
Nathan
Appunto, il luogo.