Dipinti in cerchi – ventunesima puntata

Warren ha tenuto gli occhiali da sole per tutto il viaggio e ha parlato poco. Tobia ha gradito molto il cambio di set e ha ringraziato Malvina per questo con un messaggio. Arrivano alla Piccola Londra poco prima del tramonto, quasi puntuali.

Lena e Tanya hanno girato un po’ prima di giungere sul posto. Non perché non riuscissero a svelare l’arcano ma semplicemente perché si son perdute più volte nel quadrante tra lo Stadio Olimpico e Prati. Euforiche, hanno tenuto il clima di eccitazione con delicata sospensione ed incredulità, una di fianco all’altra.

Michelle ha scelto di arrivare camminando: è partita dall’attico in via Piccolomini ed è scesa giù. Non si è chiesta se ha scelto l’abito giusto per la foto ( un tubino marrone ) o se la produzione interverrà anche sui costumi, se, chissà, anche lo scatto di presentazione sarà d’epoca. Mentre percorre via del Vignola e supera il fioraio dove Bengala sta scegliendo le nove rose più belle si rende conto che è quasi certo che dovranno cambiarsi d’abito. E togliersi gli occhiali da sole che sia lei che altri tre protagonisti continuano ad indossare.

Le altre due sono Martina Neva e Narciso. Il viaggio è stato veloce e promettente. Non si sono scoperte più di tanto ma hanno riflettuto su questo: cosa saremo, noi? Compagne di esperienza? Di lavoro? Avversarie? Come ne usciremo? Hanno dibattuto sull’esposizione, come fossero delle star ancora prima di cominciare e Narciso ha detto che questo margine tra professionisti e non professionisti è qualcosa di programmaticamente divisivo e che la induce a pensare che le dinamiche da reality siano tutt’altro che lontane dal progetto. Martina Neva si è limitata, pensosa, a rispondere che finché tutto è avvolto nel mistero, bisogna stare al gioco e che i problemi di esposizione, solitamente, sono connessi alla fama. Ma si può già parlare di fama?

Tessa si è fatta lasciare da Giulia, dopo aver risolto il piccolo enigma del messaggio, sul Ponte della Musica per camminare un po’. E’ rimasta a guardare il cartellone orizzontale che ritrae i dieci volti di “Dipinti in cerchi” almeno cinque minuti: enorme, più del lenzuolo del Ponte Morandi, seppur diverso nella forma, da una parte all’altra del Tevere, impossibile non fermarsi a guardarlo e non esserne stregati, sopra il fiume, sopra le idee, quasi in sospensione tra le strade, come si usava fare per il cinema quarant’anni fa.

–          Tessa!

Orlando Spilimbergo ha urlato il suo nome dall’altra parte del ponte.

–          Bello, eh? Colpisce! Lo stai fissando da mezz’ora.

Tessa fatica a riconoscerlo, agghindato com’è, imbarazzata dal volume della sua voce, ma anche incuriosita dall’identità di chi la sta chiamando.

–          Ciao. Non…

–          Sono Edward Morgan Forster, l’originale! Come potrai notare dall’abito.

I passanti si fermano, chi lo guarda, chi passa via, chi scatta foto, mentre lui si avvicina sempre più a Tessa. Lei non sa che fare, vedendolo avvicinarsi ma ormai vuole capire chi è, teme si tratti di uno dei misteri della produzione e non vorrebbe sbagliare qualcosa.

–          Non mi riconosci? Ragazzi, non mi riconosce! Vuol dire che il travestimento è stato perfetto. Io invece ho una vista d’aquila e l’ho riconosciuta subito. Signori, Tessa Dessy! Io sono un vero fan! Vieni, Tessa! Avvicinati a me.

Lei lo riconosce mentre pronuncia il suo nome e intuisce subito che averlo incontrato potrebbe non essere la cosa migliore. Le arriva il terzo messaggio della produzione:

Ci siamo quasi! Si chiede ai dieci protagonisti di non indugiare prima di raggiungere il luogo prescelto, di non farsi vedere in giro, di non pubblicare alcunché sui social prima e durante la foto di gruppo e la consegna dei materiali, di continuare a trattenere quell’aura di mistero che sarà il leit-motiv di tutto il progetto. Si prega di leggere bene tutte le clausole del contratto, compresa quella che dal momento della consegna dei materiali vieta qualsiasi intervista a mezzo stampa o web e qualsiasi pubblicazione, social o altro, che riguardi “Dipinti in cerchi” senza autorizzazione preventiva della produzione e della direzione artistica.

Subito dopo aver letto il messaggio, il suo campo visivo è invaso dall’abbraccio di Orlando vestito da Forster.

–          Dove mi porti? Non sei in ritardo?

–          Perché sei vestito cosi, Orlando?

–          Mi hai riconosciuto!

–          Anche tu hai riconosciuto me. E da molto lontano. Comunque no, non sono in ritardo, almeno spero. Adesso però vado.

–          Vengo con te. Ho una vista d’aquila. Da sempre. E poi il tuo fascino si riconosce da lontano.

Tessa affretta il passo verso il Teatro Olimpico, lo sguardo basso, la paura che essersi fatta intercettare da Orlando non sia assolutamente un buon biglietto da visita per il suo battesimo in “Dipinti in cerchi”.

–          Tessa, che passo!

–          Orlando, ho fretta davvero. Perdonami.

–          Non vuoi che ci vedano arrivare insieme. Lo so. Mi fermo poco prima, te lo giuro. Oppure dimmi dove stai andando e non faccio il matto, davvero.

–          Orlando, per cortesia. E’ una cosa delicata oggi. Non stiamo giocando.

–          Te l’ho detto, dimmi dove vai, non lo saprà nessuno.

–          Orlando, ti prego.

–          Non costringermi ad inseguirti, sarebbe una stupidaggine.

–          Orlando.

–          4 Orlando in 4 battute. Serratissima. Un dialogo alla Muccino. Se urlassi sarebbe perfetto.

Tessa ha paura, sente il peso dell’allontanamento di Warren per la prima volta non per un aspetto squisitamente sentimentale, assapora tagliente la condizione inedita dell’esser soli. Le viene da piangere, manda indietro una lacrima e continua a camminare velocissima, sfrecciante.

–          Stai per correre. E mi porti sempre più vicino al posto. Come mai avete cambiato? Per paura che io mi presentassi, vero? Magari come un pagliaccio vestito da uno dei personaggi. No che non lo farei mai.

Orlando sta al passo di Tessa e intanto getta mezze frasi dirette ai passanti che lo osservano:

–          Do you know Edward Morgan Forster? Here I am.

Il tono di voce è sostenuto, Tessa ha sempre più paura, d’un tratto il terrore che possa venire in mente a qualcuno di riprenderli e di sbatterli sui social. L’orrore che la stessa idea possa passare per la testa a lui. Lo sguardo di Orlando è rancoroso, vendicativo anche se lei continua a non guardarlo, ad accelerare verso i circoli canottieri nei pressi del fiume.

–          I’m a writer, an essayist, an English man in Rome, at the moment.

Passa una squadra di canottieri con la divisa rossa. Sembrano fuori stagione, canottiera e tuta corta, ciabatte. Saranno almeno venti.

–          I’m an english man in my Rooome – canta Orlando sulle note del pezzo di Sting, quasi omonimo.

Passano due suore che affrettano il passo nella direzione opposta alla loro, che ormai stanno praticamente correndo.

Il volto di Tessa si bagna della prima lacrima. Si odia per questo, sente tutte le tensioni e i mancati pianti degli ultimi giorni, di queste settimane sospese. Le sembra di piangere da un occhio solo ma in un baleno è una pioggia che le invade il viso. Cerca di non farsi sentire, di non singhiozzare ché Orlando non molla, continua a parlare in inglese e a starle affianco. Nel pianto mette tutte le apprensioni di sentirsi a metà. Anche a metà della vita, con questo progetto che forse piomba nel momento sbagliato, con questa presenza di Warren che brucerà di assenza ad ogni momento.

–          A cosa pensi, Tessa? Ma Warren è già sul posto? Come mai siete venuti separatamente? – e calca sul “separata”.

L’istante successivo Orlando sente i singhiozzi. Tessa è scoppiata proprio mentre imbocca viale del Vignola.

–          No, Tessa, così mi fai sentire cattivo. Ti prego, parlami. Speak to me. Speak to meeeee.

Orlando tira fuori il telefono mentre urla, sta per accendere la videocamera.

Warren è appoggiato al muretto che dà sulla Piccola Londra, si accorge che Tessa sta arrivando, istintivamente ha uno slancio verso la sua direzione, come per andarle incontro, poi si ricorda come stanno le cose e si gira verso il set. Poi deve voltarsi nuovamente perché sente l’urlo di Orlando:

–          Tessa, speak to meeeeeee, I’m an english man in my Rooome!!!

Arrivano sul luogo in corsa. Orlando armeggia col cellulare e non riesce a far partire la diretta per il tremore nelle mani. Warren vede Tessa piangere e l’abbraccia.

–          Here we are! Mister Sartor, good afternoon.

–          Ma che sta succedendo, Tessa?

Lei gli getta le braccia al collo, con lo sguardo basso, continuando a singhiozzare.

–          It’s not my fault, Mister Sartor, it’s not my fault!

–          Ma che cazzo dici? Piantala. Vieni, Tessa, andiamo più in qua.

 

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.