– Walter, ciao. Sì, sono al Kurhaus. Eh, ho visto. Allora… due cose: avrai letto di Narciso Torrisi, no? Ho sentito il legal della società e sembra non ci saranno grane a meno che qualcuno non sporga denuncia. No, il video l’hanno tolto. Invece il post di Orlando Spilimbergo abbiamo dovuto toglierlo noi, un’iniziativa personale che proprio non era nei patti. Anticipava troppo e male. Okay, risolto. La prossima che fa è fuori. Per ora lo perdoniamo e sai bene perché. So anzi che ci son stati problemi col fratello, come prevedevamo. Si è convinto di più con il ritocco del cachet, immagino. Eh beh. Non so che faccia avrà fatto quando Orlando gli avrà detto che c’era anche lui. Ah, non ha ancora firmato? Strano. Beh, magari proviamo a sentirlo entro oggi. La data di convocazione per la consegna del copione e per la foto di gruppo è confermata per il 13 febbraio, giusto? E l’inizio 10 giorni dopo. Insomma, tra meno di due settimane si comincia. Sì, qui dovrebbero essere nei tempi ma te lo confermo a fine giro, in mattinata, insomma. Le convocazioni ufficiali le facciamo partire oggi stesso. E oggi esce il video con i provini sulla scalinata delle Caravelle, Franz l’ha rimontato. No, Jorge non mi ha ancora risposto. A te? Ah. Beh, penso siano giorni molto complicati, io non so come ma ce la sto facendo. Spero torni presto, lo sai. Certo. Certo. Walter, proseguo il giro. A dopo.
Dipinti in cerchi – decima puntata
Malvina entra al Kurhaus con un certo grado di emozione. Per una serie di circostanze non era mai entrata prima e appena varca la soglia rimane incantata e comincia a lavorare di immaginazione.
Le terme sono chiuse al pubblico già da tre settimane per allestire il set e non si aspettava una mole di persone al lavoro così importante. In tutte le sale c’è un incessante viavai di uomini ed attrezzi, la sala Kursaal sembra un vero e proprio teatro di posa di 1000 metri quadri, suddivisi in vari ambienti che ricordano la dimora di Bloomsbury e quella di Charleston, in una sintesi sontuosa che vede lo studio con un enorme camino al centro della parete più lunga, sovrastato da un grande specchio ovale e da quadri ad ogni centimetro libero di ogni forma e con soggetti svariati, da nudi maschili a ritratti in chiaroscuro e ancora statue, tazze, porcellane, libri accatastati ovunque.
Due saloni speculari, dallo stile piuttosto diverso, uno, appunto, più da Bloomsbury e l’altro da Charleston, le due dimore del gruppo Woolf – Bell.
Malvina confronta le foto che sta studiando da un mese con quel che vede e il risultato la soddisfa e, anzi, la sorprende. Il lavoro di Michelangelo Bach sulla scenografia, sugli oggetti, è evidente: dal gioco di colori e di forme, che flirtano con una specie di vetero psichedelia in taluni ambienti per ammorbidirsi a mo’ di ossequio pedissequo rispetto al periodo che si vuol ricreare in parecchi altri. In una coerenza stilistica impensabile, però, che crea un clima, appunto, sorprendente. Continua a sentirsi insicura senza Jorge e ogni decisione le sembra sia a matita senza il suo placet, ma è confortata dal fatto che i lavori stanno andando avanti speditamente, nella sua stessa direzione e che la società non ha imposto nessuno stop.
Ha quasi paura di parlare con l’amministratore delegato del peso dell’assenza di Jorge ma è evidente che bisogna andare avanti. Il telefono le squilla mentre sta per passare dalla sala Kursaal al Pavillon des Fleurs:
Jorge sta raggiungendo la casetta che BluRose aveva appena affittato. Il tempo di aprirla, pagarla e di finire prima di cominciare. Entra tremando mentre infila le chiavi nella serratura, supera l’ingresso, sente fortemente il profumo di sua moglie, non sa da dove cominciare per radunare le sue cose. A cosa servono gli abiti adesso? Le scarpe? Le pentole e le padelle? Le tovaglie? Si era portata troppa roba come sempre. Apre l’armadio e ci trova stivali di ogni colore, sneakers chiare, scarpe con il tacco, scarpe basse. Gonne corte, gonne lunghe, abiti firmati alternati a vestiti da mercato, camicie. Tante camicie. Qualcuna di Jorge che si era portata in Turchia per sentire meno la nostalgia, per captare il suo odore. L’odore di BluRose sul letto è un’onda che invade al centro, sulle tempie e nel cuore. Jorge si accuccia sul suo cuscino, respira a pieni polmoni e comincia a piangere. Piange per rabbia, per incredulità, per consapevolezza, per assenza. Nulla ha senso. Nulla lo sfibrerà più di questo. Respira respira respira sul cuscino. C’è una vestaglia adagiata ai piedi del letto. Una camicia da notte blu di raso sull’altro cuscino. La tocca, i polpastrelli sul raso, il naso conficcato sui due indumenti che giacciono sul letto semi disfatto. Chiude gli occhi, è nel dolore più lancinante. Li riapre e li strizza per mettere a fuoco meglio gli oggetti sul comodino: oltre a una lampada di legno, c’è un quotidiano italiano, una penna rossa e un foglio piegato. Toglie le dita dal raso e prende il foglio in mano. Comincia a leggere, tra le lacrime:
L’amore è una cattedrale in fiamme. E cerchiamo sempre di seguire la scia del fumo che fa. Grazie per il tempo passato insieme. Un tempo interrotto, un tempo rubato ad altri, probabilmente anche a noi stessi.
Jorge riconosce la grafia di BluRose, riconosce la sua abitudine di lasciare degli aforismi sul primo pezzo di carta che capitava, il più a portata di mano, a volte strappato, a volte già scritto, appoggia sul naso il foglio, inspira profondamente e riprende a piangere. Pensa per un istante che l’incidente non sia un incidente, perché, si chiede, lo ringrazia per il tempo passato insieme? Sembra un addio. Una dichiarazione. Si riaccovaccia stretto al cuscino e passa un tempo incommensurabile in questa posizione. Rimanda ogni pensiero a dopo il riposo, al raggiungimento provvisorio di un sentire migliore di questo, conscio che non somiglierà mai più ad un senso di pace.