Dipinti in cerchi. Terza Puntata

Il vuoto. L’estraneità. Malvina messa all’angolo da eventi che, dopo il moto di rabbia iniziale, le fanno fare i conti con una patina di inadeguatezza. Si sente meridionale, si sente provinciale, si sente una parvenu scricchiolante. Sente addosso tutta la piccolezza della sua piccola vita. La banalità di quello che per lei è un punto di svolta, un atto di coraggio e di volontà, spazzato via dagli eventi dei grandi. Tre parole e si ritrova sola. Tre parole che lei sente così lontane, quasi finte. Tre parole, anzi sei, che non le impediscono di pensare al suo di destino e non a quello di una sconosciuta: Mia moglie è morta in Turchia.

Una moglie mai vissuta, le verrebbe da dire, come se fosse morta da tempo. Mai vista. Sembra che sia tutto finto e che l’unica cosa vera, l’unica che urla nell’anima, sia che adesso Malvina è da sola a Merano, a cercare una linea comune tra “Comincia tutto tu” e “Forse salta tutto” senza trovarla.

Sei sola.

L’unico urlo è questo. Il lutto di Jorge, il lutto pesante, il lutto improvviso è cancellato da questa coltre di delusione e di sospensione. Una cosa finisce, una cosa così stupida quando stava per cominciarne una fondamentale, si ruba la scena, le emozioni, la progettualità.

Non ho mai visto BluRose. Penso che non sia un matrimonio impeccabile. O irripetibile.
Malvina peggiora le cose, si sente giudicante e comincia a cercare la notizia sul web: lo schianto in Cappadocia contro uno dei più spettacolari camini delle fate appare dappertutto.

Molti primi piani di lei, assai più bella del previsto, sguardi da attrice, intensità negli occhi, scura nei capelli, marroni, un marrone intenso su un volto altrettanto invaso dal marrone, negli occhi, in una pelle sì, certamente più chiara, ma comunque non così lontana dai capelli e dagli occhi. E dagli abiti che appaiono sia nelle foto che in un video, un tutorial di preparazione al volo ad uso turistico, pubblicato da una pro loco ligure. Non c’è un minimo di dolore da parte sua e questa cosa la spaventa. Non se l’aspettava. Ha paura davvero, anche di sé stessa. Il telefono riprende a vibrare. L’urgenza che spazza via i pensieri più scomodi e che ne porta altri, meno densi, ma altrettanto difficili.

Jorge Carrasco atterra ad Istanbul ma continua a guardare il cielo per cercare brandelli di vita. Si chiede come stia facendo a trovare la forza di prendere un taxi, di mettere un passo dopo l’altro nel suo cammino, con l’energia nelle gambe, energia che sente paralizzata nel corpo come nella mente e che continua a ricavare da angoli sperduti del suo essere, incavi da cui raschiare delle briciole che non sa fino a quando possano mandarlo avanti. Non c’è alcuna consapevolezza della scomparsa di BluRose e si chiede cosa sarà di lui quando si renderà conto davvero che sta andando a prendere una morta, anzi, sua moglie morta.

Nel modo più assurdo, nel luogo più distante, dopo giorni di comunicazioni frammentarie e falsate, lui preso come mai era accaduto prima dalla preparazione di “Dipinti in cerchi”, lei felice di aver ottenuto l’ingaggio per condurre le mongolfiere in Cappadocia, i velivoli più famosi del mondo. E anzi si erano anche detti che la lontananza avrebbe giovato perché un impegno così prolungato come quello di lui sarebbe andato a braccetto con la lontananza fisica di lei. Che, chiaro, sarebbe tornata a Genova ogni tanto e le sue pause avrebbero potuto coincidere facilmente con quelle di Jorge. La loro storia cominciata in Sardegna, quattro anni fa, si era del resto sempre cibata di lunghe pause e di telefonate intercontinentali. Una routine non esisteva. E se fosse esistita, probabilmente, non sarebbe mai cominciata la storia. Dopo il taxi un secondo aereo, la meta sempre più vicina di un viaggio che non avrebbe dovuto mai esser concepito. Mentre sale nuovamente sul mezzo, ripensa alle ultime battute con BluRose. L’ultimo sorriso, l’ultima risata. L’ultimo pensiero. Quelli con lui e quelli in generale. Gli arriva un messaggio prima di spegnere nuovamente il cellulare:
L’ho saputo adesso e sono troppo felice. Non mi sembra ancora vero, tra tutti quei professionisti, da cui c’è solo da imparare, che ho incontrato ai provini non mi sembrava di avere né le carte in regola né i santi in paradiso per farcela e pensavo di essere fuori dal cerchio contenuto nel dipinto! Cominciare questa cosa sarà per me una nascita. Grazie. Martina Neva Balbo.

Dopo aver premuto invio, Martina Neva si guarda allo specchio della sua stanza sul Lungopo, focalizza il blu acceso dello smalto e si succhia l’indice. Ha passato il pomeriggio a cercare informazioni su tutti gli altri non professionisti che saranno con lei nel programma. E’ quasi certa di essere la più giovane, nessuno le sembra sotto i 25 anni. Si aspettava una maggioranza schiacciante di genovesi e così non è. Si è focalizzata su Nathan Meravigli, modesti tentativi di cantare uniti ad un poderoso talento per gli scacchi ( immagini di tornei, interni pieni di trofei, un alfiere tatuato sul collo ), da Trieste. Occhi verdi, ricci biondi. Non ha trovato praticamente nulla su Lena Curci, salentina, solo un paio di immagini in cui entra in una gabbia dove c’è una tigre, in un luogo che potrebbe essere un tendone da circo, un’arena non meglio identificata.

Non pervenuto nemmeno il suo viso, sfocato e lontano com’è, caratterizzato solo da una cascata di capelli lunghi e lisci, dal colore indefinito. L’unico scatto nitido, quello ufficiale del programma, la rimbalza per la prima volta sul web ed è talmente nuova da sembrare un volto architettato da un’app, ritoccato ad arte, bianco ed antico, rossastro nella pelle, nelle lentiggini, in alcuni riflessi dei capelli. Narciso Torrisi se l’è studiata bene ed è l’unica che teme. Non professionista come lei sì ma con l’arte addosso. Ha la tentazione di andare a vedere le sue pagine social ma poi si libera dal pensiero e va oltre. Si guarda allo specchio di nuovo, non sente la stessa patente di talento, ma, rispetto a Narciso, almeno, è figlia d’arte, madre pop star e padre attore, un’unione durata il tempo di un concepimento, ma in grado di aprirle ogni porta anche in mancanza di un talento. Se lo sguardo è un talento, però, Martina Neva ce l’ha. Possiede un enigma raro, un’inquietudine rarefatta che ti costringe a volerne sapere di più. Poca presenza sui social, un gioco studiato in sottrazione, per creare un’aura di mistero. E lo sguardo che rimane dentro. Che sia bistrato di trucco scurissimo o che perda la cornice della sofisticazione e rimanga naturale, il risultato è sempre lo stesso: un’attrazione forte. Vissuta tra Torino e gli States. L’ultimo dei non professionisti è Fidel, studente di astrofisica. Aria da intellettuale demodé, figlio di un attivista ebreo di sinistra non allineato che non si riconosce in nessuna sinistra e abbandonato dalla madre da bambino.

Sui social non fa mistero del proprio dolore ma, dice, solo per fungere da esempio e da sprone per chi non sente la famiglia come un porto sicuro. Cappotti scuri, occhiali da vista neri, un’aria da fuori dal mondo, fatta salva la familiarità scaltra con il mondo dei social. Le sarebbe anche simpatico se non fosse che l’ultima sfida per guadagnarsi il posto nel programma ha spopolato sul web, complici le creuze e il mare e questa sorta di duello cerebrale e fisico che ha subito fatto storcere il naso ai difensori dell’imparzialità.

Effettivamente, un’onda di popolarità così a ridosso dell’inizio di un programma che fino a qualche giorno fa ha fatto del non detto la propria forza suona come un vantaggio inaudito, una possibilità che agli altri non è stata data, compreso il totale obbligato riserbo su partecipazione e contenuti richiesto a tutti i partecipanti. Ma Fidel, se lo sussurra davanti allo specchio, non sa cantare. Lei sì. Sta trovando la sua voce. Una voce che sia coerente col suo sguardo. Si sente più forte di tutti, quantomeno dei non professionisti. Di tutti, o quasi.

– Ecco, quello è libero.
Genova accoglie Tessa e Warren di ritorno dalla Turchia con una pioggia che sembra incessante, incattivita, in crescendo continuo. Lei ha indicato un taxi, vi entra e ha quasi paura che scrollandosi l’acqua dai capelli agitando la testa, potrebbe bagnare lui. Attraversano la strada nel buio illuminato dalle gocce trasversali, dai fari che tagliano la notte e fanno sembrare l’acqua gialla, i soprabiti gialli, i volti ingialliti come pagine corrose dal tempo. Warren, entrando nel taxi, si chiede se vedere Tessa così corrosa nella faccia sia un segno metaforico di quel che stanno portando a compimento: il reciproco abbandono.

-Sono così giallo anch’io?
Tessa lo guarda.
-Sì, è il riflesso dei fari del piazzale.
Hanno parlato poco in aereo, poco tornati in albergo dopo l’incidente, anzi, per niente. Per niente dell’incidente stesso, per niente dei finali improvvisi e dei finali programmati. Tutto sembrava uno spot su come si può finire qualcosa, o come può finire qualcuno. L’attenzione di Warren è presa dalle notifiche del telefono, appena riacceso.

-Sono usciti i nomi. E’ arrivata la mail.
-Davvero? In anticipo?
-No, è appena arrivata.
-E… che nomi ci sono?
– Non lo so ancora.

Si ritrovano con i volti appaiati, sarà l’ultima volta? Come due bambini a scorrere un telefono in attesa del regalo del premio o della delusione.

-No, sulla mail non c’è nulla.
-Vuol dire che non ci hanno presi?
-No, dice che stasera spiegano il lenzuolo sul Ponte Morandi.
-A che ora?
-Che ore sono?
-Le 22,15
-Adesso.
-Ci sarà una diretta? Controlla.
-Non mi pare.
-A me non è arrivata neppure la mail. Forse han preso te e me no.
-Nulla di più improbabile.
-Non c’è la diretta. C’è il post! Pubblicato adesso.
-Dipinti nei cerchi?
-Si chiamerà così il programma.
-Eccoci.
-Ci siamo!

WARREN SARTOR, PROFESSIONISTA sarà DUNCAN
MARTINA NEVA BALBO, NON PROFESSIONISTA sarà LYDIA
TOBIA SPILIMBERGO, PROFESSIONISTA sarà SAXON
MICHELLE MONNATI BLANCHARD, PROFESSIONISTA sarà VIRGINIA
FIDEL RISI, NON PROFESSIONISTA sarà THOBY
TESSA DESSY, PROFESSIONISTA sarà VIOLET
LENA CURCI, NON PROFESSIONISTA sarà VITA
NATHAN MERAVIGLI, NON PROFESSIONISTA sarà DAVID
NARCISO TORRISI, NON PROFESSIONISTA sarà VANESSA
ORLANDO SPILIMBERGO, PROFESSIONISTA sarà MORGAN

-Cavolo, che botta!

A Warren viene spontaneo darle un bacio. Il volto di Tessa non gli sembra più ingiallito dai fari del piazzale, in effetti si stanno muovendo verso il centro città, Tessa reagisce aprendo la bocca. Se ne pente l’istante successivo, si sente la parte debole della decisione sin dal primo giorno in cui è stata presa. Si stacca, addirittura, la scusa è parlare:

-Non ho parole! Ma chi se l’aspettava. Ero certa che quella Sveva, la bionda di Stoccolma, sarebbe stata presa. Un clichè perfetto per Violet.
-Forse troppo perfetto.
– O troppo clichè.
– C’è anche quell’ Orlando, l’abbiamo incontrato al provino, il fratello di Tobia Spilimbergo.
– C’è anche Tobia.
– Addirittura?
-E Michelle. Va beh, scontato. Speriamo non sia altrettanto scontata la vittoria.
-Perché scontato? Io non lo davo per certo. E’ un po’ agèe rispetto a tutti gli altri. Non conosco i non professionisti ma credo siano tutti under 30.
-Ma che bisogno c’era poi?
-Di cosa?
-Dei non professionisti.
-L’hanno detto sin dall’inizio. Parola chiave osmosi. Chiaroscuri. Ambiguità. Giocare sul limite. Ad ogni provino, ad ogni scheda di presentazione del progetto.

Man mano che ci si avvicina al centro, Warren è coinvolto dalla familiarità della sua città, è felice di esser tornato, di rimandare a domani ogni turbamento.

Entrambi si stanno chiedendo che senso avrà convivere in modo forzato dopo aver scelto di interrompere la convivenza. Se farà bene, se farà male, se li farà star peggio o se sarà un’ancora di salvezza. Se, chissà – ma perché sembra l’ipotesi meno percorribile? – farà aggiustare le cose e la prospettiva e il rispetto di questi dieci anni.

Si indovinano gli stessi pensieri scrutandosi nel semibuio dell’abitacolo, hanno davvero dignità e davvero paura, adesso. Di false speranze dell’altro e delle proprie, di questo evento che prolunga, bene o male, seppur con altre otto persone e mezzo mondo attorno, una cosa che avevano di comune accordo deciso di sospendere. I vetri appannati, il rumore della pioggia genovese, i gialli che imbiancano, il traffico a sprazzi e tutto che sa di malinconia nella sua testa, di progetti piccoli piccoli, di intenti altrettanto mediocri e fallaci, di mosse tanto soppesate che vengono spazzate via da movimenti meno pensati eppure spiazzanti e spazzanti quei poveri intenti. Tessa lo guarda e gli intuisce i pensieri, così vicini ai suoi, con un ghigno quasi intenerito dal fatto che il destino si sta facendo beffa delle loro borghesissime decisioni.

Warren si guarda nel riflesso del finestrino e pensa alle inquadrature che incorniceranno il suo volto, A quanto sarà tv, a quanto sarà cinema, a quanto sarà volgare reality, a quanto sarà teatro, a quanto sarà utile, se lo sarà, tutto il teatro che ha fatto. Alle ragioni per le quali è stato scelto. La postura? La dizione? Il volto? Il corpo? Il timbro della voce? La capacità di dipingere? Quella di suonare? Quella di sorridere spesso e bene e di saperlo fare a comando senza che sembri forzato. Eppure qualcosa lo sta turbando, continua a turbarlo e manda sullo sfondo ogni pensiero creativo, ogni riflessione di appagamento, ogni vittoria e persino ogni dubbio.

Tessa coglie questo turbamento dalle pieghe degli angoli delle labbra e lo attribuisce, senza nemmeno chiederlo, a questo stop che profuma di fiasco, tra loro due, a causa di questa coincidenza. E’ tentata di credere ad un segno del destino, alla mano di qualcuno che ha deciso per loro, a un disegno cosmico ma rigetta il pensiero subito dopo averlo pensato, bollandolo come infantile, banale e sognante, fin troppo femminile. Si allontana da queste considerazioni pensando al personaggio che “ha vinto”: la mite Violet innamorata di Thoby, tenuto in vita, dopo la morte, dalle lettere false, piene di menzogne buone, di Virginia Woolf.
-Certo, affidare Vanessa Bell ad una non professionista…

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.