Il problema di aver letto durante l’adolescenza gente tipo Shakespeare, D’Annunzio, Proust, Wilde, Baudelaire, Austen nonché quelle stracciacazzi delle sorelle Brontë, è che ti convinci automaticamente che le relazioni umane – anzi, le storie d’amore, di vero amore – debbano essere complicate.
Perché se non devi lottare non è amore, se non c’è sofferenza non è amore, se non fai fatica non è amore.
Oggi parlavo con mia nonna di lei e mio nonno – tipica storia anni ’50 in cui entrambi sono stati la prima e unica persona della vita dell’altra, una vita per giunta tutt’altro che in discesa – e le ho chiesto, proprio in virtù di questo, come si fosse accorta che fosse lui quello giusto. Anche perché era una biondona da paura e pure ricca ergo non le mancava la fila di spasimanti.
“Era il più bello di tutti“, mi ha detto.
Vedo che quanto a rigidità nei criteri di selezione ho preso da lei.
“No ok nonna, certo, ho visto le foto: era una via di mezzo tra Hugh Jackman e George Clooney, in più era atleta, capisco, però ecco deve esserci stato qualcosa d’altro, che hai capito, mentre vi stavate conoscendo”.
Anche perché sceglierli bellissimi ho notato sia poco correlato al successo della relazione.
“È stato tutto facile”, mi ha detto.
E non ho capito.
“In che senso? Che cosa è stato facile?”
“Voi giovani d’oggi siete complicati. Vi piace essere complicati, forse perché vi rassicura. La realtà, secondo me, è che avete paura di tutto. Soprattutto delle cose belle. Di ascoltarle, di dirle, di provarle. Siete dei cagasotto”.
La tocca piano.
“L’amore, quello vero, deve essere facile. Non deve far soffrire. Non si deve lottare per averlo. Non si devono fare sforzi per farlo funzionare. L’amore vero non ha bisogno di niente. Nasce dal niente, che nemmeno te ne accorgi. E cresce da sé. Un tempo si ragionava così. Oggi invece quando è tutto facile vi divertite a complicarlo. Perché non capite, non avete idea, di quanto la vita sappia essere difficile e tremenda. Di quanto il tempo, ogni minuto, sia un dono. Oggi avete tutto subito, tutto facile. Quindi, l’amore, credete che valga solo se è complicato. Ma è una cagata. Non è neanche lontanamente amore, se non è più forte di tutto il resto”.
“Hai una visione troppo romantica, nonna”.
“Lo so, gioia. Ma quando amerai davvero ti accorgerai che è l’unica visione possibile. Vedi, le cose sono molto semplici. Vi dovete fare delle domande semplici“.
“Tipo se lui è il più bello di tutti?”
Ride.
“Quello sempre. Domande semplici, risposte secche: state bene quando siete insieme? State almeno un po’ male quando non lo siete? Vi capite? La pensate allo stesso modo sulle cose importanti? C’è quando hai bisogno di lui? Se volessi, gli potresti parlare di tutto? La stimi come persona, prima che come uomo o donna? È la persona a cui hai voglia di raccontare la tua giornata anche se è stata pessima? È la persona che porteresti con te se dovessi fare un viaggio di dieci ore in macchina? Vi piacete sempre, anche quando vi annoiate, anche quando non vi sopportate?”
“A me sembrano domande difficilissime“.
“Perché non sei abituata a ragionare semplice. Ti sei troppo raffinata, devi tornare alle basi. È su quelle che si costruisce”.
Echecazzo le vuoi dire.
“C’è altro?”
“Bè, anche: va tutto bene quando fate zinzin?”
“Nonna”.
“Eh”.
“Zinzin?”
“Quelle cose lì, insomma. È importante. Ah, e poi l’ultima cosa, dato che oggi avete i telefonini e feisbù e tutte quelle cagate lì”.
“Qual è”
“Tutto questo, siete in grado di dirvelo?”
E niente, nonna vs. vita: game, set, match.