Tommy Hughes domenica scorsa, alla maratona di Manchester, ha stabilito il record del mondo di categoria M60 con l’incredibile crono di 2:30.07.
Ripercorriamo le tappe di una vita difficile come venne raccontata due anni fa da Runner’s World, tra fallimenti e abusi, riscatto e orgoglio di un uomo che deve tutto alla sua famiglia e allo sport.
Tommy all’età di 62 anni riesce a correre con dei tempi incredibili. Ma se c’è una cosa che rende unica la sua storia, è che Hughes nella vita è arrivato sull’orlo del baratro dell’alcolismo, ha scavato si è fatto male fin dentro l’anima e ha saputo reagire tornado a rivedere la luce.
“Senza la corsa, sarei morto da tempo”, dice. “s port mi ha salvato.”
Hughes è stato un olimpionico, è padre di quattro figli, e ha lavorato come elettricista.
È stato un alcolizzato e non ha paura di ammettere la profondità del male che ha vissuto.
“Mi sono quasi ucciso”, dice.
Per capire cosa è successo iniziamo con le diverse fasi della sua vita
Nel 1992 Hughes corre in 2:13:59 la Maratona di Marrakech in Marocco, che lo qualifica a rappresentare l’Irlanda nelle Olimpiadi di Barcellona dello stesso anno , ma una frattura da stress al piede lo ha praticamente quasi fermato.
Alla maratona dei Giochi del ’92 , a causa della cerimonia di chiusura che si sarebbe svolta quella domenica sera, chiunque avesse avuto un tempo di arrivo superiore a 2h:45 sarebbe stato reindirizzato a un traguardo fuori dallo stadio di Barcellona.
Tommy mentre correva aveva un solo pensiero non finire fuori dallo stadio.
E lo fece, finendo 72° in 2:32:55.
Per la maggior parte della sua vita, Hughes è stato l’ultimo ragazzo che ti aspetteresti di vedere a una Olimpiade.
Dopo essersi sposato a 21 anni, si è trasferito a Maghera, nell’Irlanda del Nord, una piccola parrocchia nella contea di Down, uno stile di vita poco attento e abitudini sedentarie lo hano fatto ingrassare molto.
Per combattere il peso, si unì alla squadra di calcio gaelico locale e andò a correre da solo per perdere chili solo così scopre il suo dono rimasto nascosto per tutta la sua vita.
A 23 anni prova a correre la maratona di Belfast, chiudendola in 3h:01.
Nel 1991 vince la maratona di Dublino 2:14:46, ma il febbraio successivo, sei mesi prima delle Olimpiadi, si infortuna al piede a metà di una corsa sulle cinque miglia. Ma Hughes non ha mai smesso di correre.
“Ho zoppicato e non mi sono mai fermato, la mia è una dipendenza come quelli che fumano. Non puoi farne a meno”.
Ha amato i Giochi di Barcellona, ma finita l’euforia ecco di nuovo il vuoto che è familiare a molti olimpionici: “Nella mia testa avevo raggiunto l’apice. Dopo di che ho perso la motivazione”.
Dopo i Giochi di Barcellona, si è allenato tra alti e bassi. Dando spazio al suo lavoro di elettricista che per lui aveva la priorità.
Nei suoi primi 50 anni inizia a vivere una serie di sbalzi d’umore, la sua mente lo portava in luoghi semre più bui con una dipendenza preoccupante.
“Stavo entrando in una grave depressione e ho iniziato a bere molto. Andavo a bere tutte le sere per un paio di settimane, poi mi rimettevo in sesto e iniziavo ad allenarmi, ma gli sbalzi d’umore tornavano. Stavo peggiorando con il passare degli anni e poi ho passato tre mesi infernali in cui bevevo e basta”.
Nelle settimane in cui lavorava, beveva una bottiglia di vodka ogni notte, per poi trascinarsi fuori dal letto la mattina. Quando non lavorava, le cose diventavano ancora più pericolose.
Hughes riconosce il merito di averlo costretto ad affrontare i suoi demoni alla sua partner, Anne, di essergli stato accanto nei momenti difficili.
Dopo una crisi da consumo eccessivo di alcol venne portato in ospedale e fu un punto di svolta per Hughes. Un esame del sangue rilevò livelli estremamente elevati di calcio nel sangue, causati da iper-paratiroidismo.
“La mia ghiandola paratiroidea prendeva il calcio dalle mie ossa e lo pompava direttamente nel mio flusso sanguigno. Se non fosse stato rilevato, negli anni a venire le mie ossa sarebbero diventate fragili e non sarei stato in grado di camminare. Bere è stata la benedizione grazie a cui ho scoperto il male”.
A Hughes venne detto che poteva assumere farmaci per contrastarlo per il resto della sua vita o subire un intervento chirurgico per rimuovere la ghiandola.
Lui scelse l’intervento, andando sotto i ferri nel settembre 2018. Alcune settimane dopo tornò a correre, aiutando l’Irlanda a conquistare il bronzo a squadre nella mezza maratona ai Campionati Mondiali Master in Spagna.
“Da allora le cose sono andate sempre meglio.”
Alla maratona di Rotterdam aprile 2019, ha corso 2:30:15 e nell’ottobre a Francoforte ha collaborato con il figlio maggiore Eoin per diventare il maratoneta padre-figlio più veloce di tutti i tempi . Tommy ha registrato un record mondiale over 55 di 2:27:52, mentre Eoin ha segnato 2:31:30 per un tempo combinato di 4:59:22.
“È il risultato più grande per me”, dice Tommy. “Più grande delle Olimpiadi”.
I suoi allenamenti non sono cambiati molto nel corso degli anni. Quando si prepara per una maratona corre fino a 190 km a settimana.
I lavori giornalieri sono di 16 km al mattino e 16 la sera. La domenica è per i lunghi e una volta a settimana va in pista con suo club il Termoneeny Running. Non controlla mai la frequenza cardiaca o i suoi tempi, e corre in base alle sensazioni.
“Se sento di aver bisogno di riposo, mi riposo ed è fantastico che il corpo possa ancora resistere ai miai carichi di lavoro, questo è ciò che più mi stupisce”.
Fa regolarmente sessioni di potenziamento e la sua dieta è fattta solo di cibi sani senza mangiare mai cibo spazzatura.
Tommy Hughes non tocca una goccia di alcol dal 2018. “Vorrei averlo fatto prima, ma non posso riscrivere la storia. Devo guardare al futuro”.
Non ha mai fatto terapia psicologica, consapevole che ne sarebbe uscito da solo.
“Sono molto volitivo e forte mentalmente. Non ho avuto un aiuto esterno a parte la mia famiglia”
È consapevole che la dipendenza può essere un flagello, che svanisce ma poi riappare. Potrebbe sembrare una vera ossesione il rapporto con la corsa ma Hughes ci tiene a sottolineare che il suo rapporto con lo sport è sano.
“La gente potrebbe pensare che io sia dipendente perché mi vedono sempre fuori ad allenarmi”, dice. “Ma ho uno scopo, un obiettivo.”
Ora Hughes a 62 anni imposta la sua vita intorno alla corsa, come faceva quando si allenava per le Olimpiadi. Per molti anni ha lavorato 12 ore al giorno, sette giorni su sette, come elettricista, ma ora fa solo lavori saltuari per l’azienda di sua figlia.
Di recente gli è stato offerto un lavoro ben pagato in Finlandia, ma Hughes ha deciso di rifiutarlo per non rischiare di perdere il tempo da dedicare allo sport.
“Devi pensare: cosa voglio veramente…” lui dice. “Ho abbastanza soldi per pagare le bollette e sono totalmente impegnato a correre. Io quando corro mi diverto, e questa è la cosa più importante”