Difficile raccontare una storia, soprattutto se è della propria vita che si deve scrivere.
Ma al compimento dei miei 40 anni, il 27 dicembre 2010, decisi, da runner appassionato ma assolutamente amatoriale, che volevo correre la maratona di New York.
Mai avrei pensato che il percorso per arrivarci sarebbe stato (ed è ancora, perchè ad oggi non so ancora quando riuscirò a farla, ero iscritto alla 50^ edizione annullata nel 2020 causa COVID e ad oggi l’ho riprogrammata per il 2023) così difficile e allo stesso tempo entusiasmante.
Per iniziare col piede giusto smisi di fumare, accendendomi le ultime due sigarette del pacchetto all’aeroporto di Madrid al rientro dal capodanno il 2 gennaio 2011, e da li iniziai ad allenarmi con maggiore regolarità (ci ho messo dieci anni a capire cosa fosse una “preparazione”, ma di questo parlo dopo) con l’obiettivo di arrivare l’anno successivo alle gare e poi alle distanze della maratona.
Come spesso succede però la vita riserva qualche sorpresa, non sempre positiva, e proprio quando iniziavo a prenderci gusto, alla fine di ottobre ebbi un grave incidente in moto.
Curioso che all’arrivo in pronto soccorso la prima frase che dissi ai medici che mi levarono la scarpa sinistra e si trovarono a constatare il disastro del mio piede fu “oh, che io a novembre prossimo devo correre la maratona di New York!!!”.
Non mi dilungo a raccontarvi le espressioni delle loro facce, e del mio amico radiologo che mi confessò qualche anno dopo che temette fortemente che stessi rischiando l’amputazione di parte importante del piede, altro che maratona.
E invece tutto si risolse con l’amputazione di tre falangi, la ricomposizione delle fratture multiple di quattro dita, il ricucire il tendine estensore dell’alluce e l’asportazione della parte anteriore della pianta del piede necrotizzatasi a seguito dell’urto ad alto impatto.
Due anni di peripezie, penso con più augmentin che sangue dopo una brutta infezione, tanto per non farsi mancare nulla, ma alla fine ne esco.
E per tigna (quella sana attitudine del runner che già avevo sviluppato evidentemente) nel 2014 corro la Roma Ostia, con una preparazione limitata e difficile per i postumi del trauma, senza neanche pensare a cercare una scarpa più adatta alla mia mutata condizione ma tanto, tanto entusiasmo.
La mia prima gara, quanta gente, quanti colori, quanta gioia, un viaggio verso ostia pieno di belle sensazioni, emotivamente fantastico, a parte il dettaglio di dolori al piede sempre crescenti fino a diventare quasi insopportabili all’arrivo dopo oltre due ore.
Nei giorni successivi fatico a camminare, e spaventato dalla reazione avuta arrivo a considerare come forse i danni riportati non sono compatibili con la corsa, specialmente se si parla di distanze “significative”.
Allora abbandono, dedicandomi alla palestra, al massimo con qualche seduta breve di camminata veloce sul tapis roullant.
I problemi però si amplificano progressivamente in questa situazione di inattività sportiva, e comincio ad avere sempre maggiori difficoltà anche nella normalità della camminata, quando per capirci ti fai una passeggiata, specialmente su quei fantastici sanpietrini che pavimentano il centro della nostra meravigliosa Roma.
E questo ovviamente mi fa preoccupare, a 45 anni posso far pace con l’impossibilità di camminare a piedi nudi su una superficie dura, ma non riuscire a farmi una bella camminata in centro vuol dire che quando invecchierò la situazione potrebbe essere un po complicata.
E allora, da brava testa dura, faccio questa riflessione: se a stare fermo il mio piede peggiora, allora io provo a farlo di nuovo muovere seriamente, dopodichè “se non ce n’è” mi apparirà subito evidente, viceversa forse le cose anche se lentamente miglioreranno.
Però stavolta mi rivolgo ad un negozio specializzato in scarpe da running, dove un addetto veramente eccezionale (Francesco, runner lui serio, e diventato poi un amico a cui ovviamente continuo ad inviare chi mi chiede consigli) dopo avere preso atto delle mie problematiche mi indirizza alla scarpa giusta per me, e riparto!
Qualche difficoltà si, ma dal primo momento la scarpa finalmente adatta mi consente di affrontare gli allenamenti con continuità e vedere sensibili miglioramenti anche nella quotidianità.
La mia prima gara è la We Run Rome di fine 2016, corsa con runcard ancora, tante risate e una fatica boia a chiuderla in meno di 60′, ma quanta felicità all’arrivo, perchè il problema ora era solo il fiato e la preparazione, non i dolori.
E inizia a riaffiorare nella mia mente quell’obiettivo della maratona così ambizioso e affascinante.
L’appetito come sempre viene mangiando, agli allenamenti comincio a prenderci gusto, qualche gara (tipicamente ancora la Roma Ostia e la We Run ancora con runcard) e poi un’altra svolta in questa strana storia… iscrivermi ad una squadra.
Mai pensato di farlo finchè una persona che conoscevo, anche lei runner, mi suggerisce di entrare a far parte della sua squadra, l’ASD Piano ma arriviamo.
Ero sempre rimasto lontano dalle squadre proprio perchè mi spinge a correre il piacere di farlo e il fatto che mi fa stare bene, fisicamente e mentalmente, non la competizione che ho spesso visto e associato ad un certo mondo del running.
Però della persona mi fido, e allora divento un “bradipo” (simbolo della squadra) anche io. Mi ritrovo in un ambiente bellissimo e sano, frutto della persona impagabile che lo ha creato, fatto di persone che amano divertirsi, senza alcun vincolo e nella massima serenità, ognuno al suo ritmo (ci sono fra noi atleti veri oltre ai tanti amatori), ma sempre in allegria.
Non potevo chiedere di meglio, e quando il presidente Giuseppe Minici, diventato in breve un amico sincero, mi da qualche buon consiglio i frutti non tardano a venire.
Faccio la mia prima maratona a Roma nel 2019, e finalmente scendo sotto le quattro ore sempre a Roma nell’ultima edizione a settembre scorso.
Questa maledetta pandemia ci ha condizionato tanto gli ultimi due anni, a parte la “mia” New York quante gare abbiamo rimandato o cancellato e quante occasioni di vivere la nostra passione si sono perse, ma anche qui la vita mi ha riservato la bella sorpresa della nascita di mio figlio nello scorso mese di aprile (con Alessandra Bonadies, lei che mi aveva portato nella squadra e che è nel frattempo diventata la mia compagna).
Insomma la corsa ancora non mi ha portato ancora a tagliare il traguardo del Central Park, ma mi ha regalato una ritrovata normalità nella salute, nel muovermi e nel correre, la gioia di farlo in una squadra unica, nuovi amici, una compagna e un figlio, che non vedo l’ora di spingere sul passeggino in una prossima occasione, magari una 10 km in compagnia.
Sono a 51 anni entusiasta e felice di essere un runner e grato a quanto la corsa mi ha regalato.
Ci vediamo nelle prossime gare.
Giovanni Cinquina