Ho scoperto da poco il piacere del running condiviso e, per quanto alcune delle corse più belle che ho fatto siano state in compagnia, per quanto questa passione mi abbia permesso di conoscere persone davvero speciali, nasco come podista solitaria ed è questa la dimensione in cui più mi riconosco e mi sento davvero nelle mie scarpe.
E cosa fai quando corri centinaia, migliaia di km tutta sola?
A me succede che anche la mente, errante, inizi a correre a briglia sciolta.
Durante gli allenamenti più impegnativi no, entro in trance agonistica, o più banalmente credo che non mi arrivi abbastanza ossigeno al cervello: non penso a niente se non a muovere le gambe, regolare il respiro e non morire, possibilmente.
Ma durante le mie corse preferite, i lunghi lenti in cui il passo non conta e contiamo solo io e la strada, la mente si apre ad accogliere ed inseguire una moltitudine di pensieri, della natura più disparata, dai massimi sistemi alla lista della spesa.
Qualche domenica fa piovigginava, cosa non inusuale in questo inizio 2021, e io ero all’inizio della mia mezzamaratona mensile autoinflitta (in mancanza di gare, ci si inventa di tutto!). Per me, i primi km sono da sempre i più difficili: ci metto un po’ a carburare e allora tenevo il passo con fatica, sbuffando un po’ per il meteo infame e qualche doloretto.
Lungo uno sterrato, ho incrociato un podista davvero molto anziano e leggermente claudicante.
Correva lento lento sotto la pioggerella, in maglietta e calzoncini corti nonostante il freddo, passo incerto ma testa alta: saranno state le endorfine che iniziavano a circolare, ma l’ho trovata un’immagine così evocativa che pensieri e collegamenti hanno spiccato il volo, ben più veloci di me.
Avrà oltre settant’anni, mi sono detta, eppure stamattina è uscito a correre.
Non deve preparare nessuna gara, come tutti noi ahimè, eppure stamattina è uscito a correre.
Zoppica un po’, vuoi per un momentaneo infortunio, per un problema cronico o semplicemente per gli acciacchi dell’età, eppure stamattina è uscito a correre.
Piove, eppure stamattina è uscito a correre.
Non perché deve, ma perché lo fa stare bene.
Ho pensato: eccolo, il mio obiettivo a lungo termine. È proprio qui davanti a me.
Certo, in questo preciso momento, quelli che vedo da vicino, più o meno raggiungibili, sono obiettivi diversi, ma a ben guardare effimeri e relativi.
Prendiamo la velocità. Oggi, dopo lockdown, infortuni e stop&go di varia natura, per me un obiettivo sarebbe tornare a correre i 10km con il passo di un anno fa: un traguardo che, in un certo senso, guarda “indietro”. Certo, continuerò a provareprovareprovare e probabilmente, quando e se ci riuscirò, cercherò di alzare ancora il tiro, ma comprendo bene che si tratta solo di piccoli e stimolanti passi lungo un percorso, non certo di un fine.
E la resistenza? O, se vogliamo dirla con i numeri, i tanto agognati 42,195 km?
Certo che sì, almeno per chi, come me, deve ancora correre la sua prima distanza regina. Arrivare a tagliare quell’ambito traguardo sarà l’obiettivo di quest’anno, ma poi chissà. Quando non sarà più “la prima volta”, entrerò nella cerchia di chi spera ogni volta di fare un tempo migliore? O resterò tra quelli che “la maratona è già un’impresa finirla”? Intanto, facciamo la prima: obiettivo ambizioso, emozionante, sperabilmente ripetibile, ma certamente non finale.
E poi ci sono i piccoli obiettivi che un po’ tutti ci inventiamo, soprattutto in questo periodo, per trovare nuove motivazioni: correre una mezzamaratona al mese appunto, correre 1.000 miglia in un anno, correre 2.021km nel 2021, e via così, giocando con i numeri, i chilometri e la fantasia.
Ma, guardando un po’ più in là, oltre i numeri e oltre oggi, qual è davvero il mio obiettivo?
O, detta in altri termini, dove voglio arrivare continuando a correre?
Forse non è poi così importante saperlo, è bello vivere il qui ed ora, ma quella mattina la risposta mi si è parata davanti e non ho potuto ignorarla.
Era esattamente lì, verso il punto in cui stava correndo quell’anziano podista leggermente claudicante.
Io voglio, tra tantissimi anni, svegliarmi ancora la mattina prima dell’alba (e con l’insonnia della terza età sarà persino più facile!), vestirmi da runner colorata come un Teletubby e uscire a correre.
Anche se con queste dita tremanti mi allaccio le scarpe con qualche difficoltà.
Anche se mi fa male la schiena perché oh! alla mia età potrò pure essere un filino rigida.
Anche se zoppico un po’, perché quel fastidio che mi porto dietro “da quando ero giovane” mica è mai passato del tutto.
Anche se piove, perché “skin is waterproof” pure se assomiglia alla scorza di un limone.
Io voglio correre fino a quando, sul mio pettorale, scriveranno F100.
Voglio correre fino a cento anni.
Non perché dovrò, ma perché mi farà stare bene. Ancora.
Post Scriptum: che ne è stato poi della mia mezzamaratona, quella mattina? È successo che ho continuato la mia corsa con tutt’altro spirito: sarà che le gambe si erano un po’ sciolte, che è uscito un raggio di sole, che il percorso era bellissimo, ma sono scivolata per le strade di Roma più leggera, godendomi ogni singolo chilometro.
Donatella Torre