Tomaso ha fatto clic.
Vuole riavvolgere il nastro e lo fa con le armi che ha sempre avuto a disposizione: l’intelligenza, la determinazione, la velocità di pensiero.
-Pronto, Irene?
-Ehi.
La stanchezza nella voce non lo blocca, non lo frena, adesso sa esattamente cosa deve fare e come deve farlo, ha sulle labbra le parole perfette e nella testa le mosse una dopo l’altra.
-Irene. Costringi Sveva a far due passi.
– Due passi? Sveva? Verso dove?
-Venite qui. Prima che scoppi il casino.
-Cosa stai dicendo?
-Ti fidi di me?
Perché ho questo freno, adesso? Perché sento come se qualcosa si fosse rotto e perché non c’è la musica nelle sue parole, la stessa musica che fino a poco fa c’era?
-Ehi, ti fidi di me?
La pausa più lunga degli ultimi giorni.
-Certo.
-Ci hai messo tanto ma ti sto aspettando. Venite. La strada la conosci. Non farti sedurre dalla Vittoria Alata e salite.
-Ma c’è Victoria?
-C’è la soluzione ai problemi di un sacco di persone. Sbrigatevi.
Tomaso riattacca subito. Ha paura di quella stanchezza percepita nella voce di Irene. Non vuole più sentirla. Pensa non c’entri nulla con loro due. Guarda Victoria del tutto ignara. Cristiano che fortunatamente sta tardando nel venire a prenderla, tutto gli fa pena, tutto lo tormenta, i dubbi che martellano dentro, la dolcezza instabile di Victoria mai apparsa in tutta la sua sincera fragilità.
-Faccio un caffè?
-Lo faccio io
-Non ti fidi del mio caffè? So dove sta la caffettiera. Me lo ricordo.
Che male c’è se abbiamo amato prima di amare qualcun altro?
Perché, me lo sto chiedendo, mi sento in colpa se Victoria apre l’anta, tira fuori la caffettiera, la lava, sa benissimo dove trovare il caffè e perché devo sentirmi morire se la cosa mi fa anche piacere?
La guarda preparare la macchinetta e le sembra stia riprendendo vita.
Gli sorride:
-Da quando c’è Isacco ho imparato a controllare il respiro degli altri.
-Il respiro?
-Sì. In questi giorni, per sentire se respirava, mi fermavo. Mi fermavo e controllavo. Non so spiegartelo meglio ma è stata una cosa inedita.
-Il controllo, intendi?
-Il sapere che gli altri possono dipendere dalle tue azioni. O da quel che non fai. Ho pensato anche a noi.
-A noi?
-Sì. A come non ti ho mai controllato il respiro. ad esempio. Non mi sono mai fermata. Devo esser stata insopportabile.
-Ma no. Diciamo che nessuno dei due controllava troppo il respiro dell’altro.
-No, tu lo controllavi. Non facevi altro. Eri davvero proteso verso di me. E l’ho sempre dato per scontato. Chiaramente ti sei stufato a un certo punto. Come ti sei sentito?
-Non me lo ricordo. Sembra passato un secolo.
-Hai sofferto quando ci siamo lasciati?
-Beh, era un periodo complesso. Diciamo che mentre ci lasciavamo, stavano cominciando tante cose per entrambi. Penso che questo ci abbia aiutato molto.
-Ci ha distratto tanto, sì. Vai ancora alle aste d’arte?
-Sì. Ci vado.
-Qual è la fissa di questo momento?
Tomaso guarda la scintilla sotto la moka e decide di non andare oltre. Troppi sguardi trattenuti, troppe pause, troppe parole preludio, troppi sorrisi, il copione si interrompe qui.
-Victoria, bisogna saper ricominciare. Trovare le risorse per modificarsi e ricominciare, migliorando.
-Sembra uno dei tuoi slogan delle politiche sociali. A proposito, mi sembra un po’ tutta appannata quella situazione.
-Ti sbagli. Non è appannata.
-Beh, a quest’ora ti avrei già visto davanti al pc. Prima sei stato rapido. Di solito l’analisi dei giornali e dei siti dura molto di più.
-Sono innamorato. Penso sia questo.
La pausa assume un sapore diverso da quelle di poco fa.
-Innamorato. Sono contenta. Te lo meriti.
-Grazie.
-Fatti trattare bene stavolta.
-Non mi hai trattato male.
-Davvero?
Victoria si avvicina, a Tomaso sembra sia pronta per baciarlo, non ha avvertito sufficientemente il cambio di clima oppure se ne frega e vuole cambiarlo lei, il clima.
Lo sguardo è veramente indifeso, trasparente. Simile alle ossa che mostra così apertamente.
Si avvicina ancora di più, Tomaso ne avverte il profumo.
Victoria lo guarda. Gli getta le braccia al collo e scoppia in un pianto:
-Perché dev’essere tutto così difficile?
Tomaso ricambia l’abbraccio, la stringe.
-Adesso renderemo tutto più facile.
Tomaso scende le lacrime scendergli sulla camicia. I singhiozzi li sente ripercuotersi sul suo petto. Ha paura di quel che sta per accadere ma in qualche parte della mente è certo che le cose torneranno a posto, che gli eventi accadranno in maniera naturale e addirittura quieta. Il citofono spezza l’abbraccio improvvisamente mentre il caffè comincia a salire.
-Aspetti qualcuno?
Tomaso non le risponde e al citofono sussurra:
-Salite.
Victoria va a spegnere il caffè.
-Tomaso, chi sta salendo?
-Irene. E Sveva.
Rivedere Irene e rendersi conto che entra per la prima volta a casa sua. Visualizzare subito Sveva e la sua inquietudine sull’uscio, percepire gli sguardi interrogativi di tutte e tre. Tutto che potrebbe crollare, tutto che potrebbe andar bene. Isacco al centro della stanza che continua a dormire.
Le istantanee che si susseguono una dopo l’altra ma come se ci fosse una densa nebbia in questo open space:
Sveva che scoppia a piangere appena vede Isacco.
Victoria che si asciuga le lacrime mentre beve il caffè.
Irene che guarda la casa e percepisce tutte le conferme che cercava da Tomaso. Ogni parete le sta dicendo che si trova nel posto giusto.
Le parole di Sveva, non dette: io non so se sto capendo quel che sta succedendo. E quel che è successo, come è potuto succedere?
Le parole di Irene, dette a Tomaso: quanto è durato questo distacco? Mi è sembrato infinito, mi sembrava che fosse tutto un sogno. Ma quanto possiamo essere scemi e inutili e a pezzi?
Le parole di Victoria: —
Il resto è molto veloce. Sveva che prende in braccio Isacco, che gli dà il latte, Victoria che trema, Irene che bacia Tomaso. Il citofono che suona di nuovo, Cristiano che entra e che abbraccia Victoria, che smette di tremare e di pensare: figurine sullo sfondo della stanza, un teatro della verità che squarcia ogni altra possibile situazione di questa città in questo preciso momento.
Tomaso che prova a rassicurare chiunque gli capiti a tiro ma che ha uno sconquasso che spaventa persino sé stesso. Incrocia gli occhi di Sveva e capisce che quel che ha trovato Irene in lei, l’urlo silenzioso della richiesta di aiuto, la possibilità di diventare un bene per gli altri, un bene sociale, un bene personale, è un modo, l’unico, o comunque il più bello, di occupare un posto nel mondo e di rivestire un ruolo sensato.
Elvio Calderoni