Se nel quadrilatero del silenzio è in scena la stagione dei miracoli, a Sanremo c’è chi si sente circondato dai fantasmi e dalle inadeguatezze.
Bertrando torna in camera stravolto. Non pensava che una simile e banale manifestazione del male potesse colpirlo così tanto. Una vecchia conoscenza, un vecchio tout court, un volto che si dimentica, una persona tra mille che torna, dopo aver occupato e poi lasciato libera qualche piega della memoria, nel corso del tempo, ad invadere una zona del cuore lasciata imprudentemente attiva.
Di chi siamo e di chi siamo stati chi tradiamo da chi siamo stati traditi.
Che senso ha tutto questo?
Che senso ha questo pensiero?
Perché farsi colpire così al centro da parole così stupide? Lui, uno sciacallo? Lui?
Ci voleva proprio, era necessario, qualcuno che lo riportasse indietro al rispetto del gioco dei ruoli e cioé Marko immenso, Marko un mito, e lui, Bertrando, un artista medio cresciuto nella sua ombra. Cresciuto, aiutato, modellato, spinto. A 70 anni ancora una specie di raccomandato senza talento? Non può essere così, non può esserci qualcuno che lo pensi davvero. E chi è questo Giacomo da Firenze, dove ci siamo visti, ma ci saremo mai visti? Che rapporto aveva con Marko, prima di me, durante me, dopo di me, meglio di me. Che finitezza enorme ha l’essere umano e quanta meschinità alberga nei pensieri e negli intenti. E la memoria che scherzi fa, quante cose sottende, quante ne cancella, quante ne tira fuori. E che bell’approccio con i social, con le dirette su Instagram e che figura con Victoria e che pensieri distruttivi mi stanno distruggendo davvero adesso, su questo letto d’albergo, senza nessuna voglia di portare avanti questo progetto, senza nessun omaggio da realizzare davvero, solo la voglia di tornare a casa, al silenzio, allo zero clamore, al cupo degli interni che custodisce la mia intimità, solo mia, solo mia, solo mia.
Il pensiero che la casa, anche quella, non sia del tutto sua lo agghiaccia. Lo esclude dal senso di casa stessa, ha un capogiro nonostante sia sdraiato, non riesce a rilassarsi in alcun modo, il tormento, un tormento non produttivo, non ispirativo, lo circonda.
-Pronto, Samuele?
Ehi ciao, stai riposando?
Sì, sì, sono in albergo. Io… io credo di non farcela. Credo di non portare la canzone al festival. Non va, non va, non sta andando. Non mi somiglia, mi… non so che dirti.
Ma.. è per questa storia della diretta?
Ah… già l’hai saputo?
Chi era quel deficiente?
Chi è questo signore? Io non me lo ricordo, non… ma non è questo, è che proprio ho cambiato idea.
Cambiare idea? Nel senso? Non fare più Sanremo?
Eh, sì, ritirarmi.
Bertrando, calma. A parte che c’è una penale.
La penale lo so, lo immagino, inventiamoci che è già stata eseguita, che non è inedita, che è fuori dal regolamento, leggitelo bene, non credo che in quel caso ci sia la penale, io così non ci riesco.
Calmati, Bertrando. Calmati davvero, è stato solo un tizio idiota che voleva mettere in imbarazzo una persona famosa, anzi, due persone famose, ma non diamogli troppo spazio, per favore. Che c’entra col nostro progetto?
Non è solo questo, non lo so.
Bertrando, pensiamo bene, non mi sembra il caso di..
Sì, posso pensarci ancora ma non credo di riuscirci. Anche le prove non mi hanno convinto, non mi ha convinto Victoria, l’orchestrazione non mi piace come viene, non mi piace l’acustica, non mi piacciono le interviste, è tutto diverso da come credevo. Non penso di dover qualcosa a qualcuno a questo punto della mia carriera e non sarà un regolamento a inchiodarmi. Io così non lo faccio, non canto, me ne vado.
Mentre parla con Samuele, il suo factotum, più di un agente, più di un confidente, più di un segretario, sente di esser finto. Non è vero che Victoria non l’ha convinto e nemmeno che l’orchestra non valorizzi il pezzo, ha proprio avuto paura. Ha avuto la paura che portare a Sanremo il pezzo di Marko sia una pessima idea, sia il metter la firma sotto la sua mediocrità, sotto la sua dipendenza.
– Bertrando, aspettiamo.
Ok, sì, ok, d’accordo, aspettiamo, ma penso che la mia decisione sia questa.
Non farne parola con Victoria di questi discorsi. Victoria, comunque, lo sai che ha un seguito assurdo. Te ne sarai accorto.
Sì. No, non lo dico a Victoria ma è stato davvero brutto. Mi ha fatto ripiombare a qualche anno fa.
In che senso?
Non lo so. Non lo so cosa sto dicendo. Ciao, Samuele, ti saluto. Cerco di calmarmi.
Ciao Bertrando, vuoi che venga lì?
No, non c’è bisogno. Grazie. A dopo.
Si è vergognato di parlare con Samuele. Si è proprio vergognato di porgli delle domande come: ma io valgo davvero così poco? Così tanto meno di Marko Taglia? Se sono famoso è solo perché sono stato il suo amante? Perché mi ha portato al successo solo perché ci amavamo? E quello che ho costruito, un piccolo regno di fronte al suo impero, d’accordo, ma un piccolo regno su cui mangiano almeno venti famiglie e su cui hanno mangiato forse in cento, anni fa, è tutto casuale? Tutto dovuto a qualcosa che con la musica non c’entra nulla? E davvero posso sembrare uno sciacallo a questo punto, in cerca di un rilancio? E quest’impressione può solo aumentare se impongo il duetto con Victoria Danse che non ha praticamente mai cantato prima? Ci sarà qualcuno che penserà ad un’apertura di cuore istintiva o tutti che grideranno allo sfruttamento della star del momento? Due mondi che non sarebbero dovuti venire a contatto mai? Stanno dicendo questo? Stanno ridendo tutti del vecchio e della stonata a Sanremo a portare il brano capolavoro di un mito?
Si sente circondato da questi pensieri, è come se la stanza fosse piena di bolle di sapone a cerchi che lo stanno invadendo, gli piombano addosso e ognuna, sempre più grande man mano che gli si avvicina, contenesse una di queste domande. E su tutte sempre la stessa, la solita da quando esiste Bertrando Berna, da quando esordisce:
Valgo davvero così poco rispetto a Marko Taglia?
Gli squilla il cellulare e si volta dall’altra parte. Ha paura del telefono. Ha paura delle conseguenze della diretta, quando una cosa è appena successa il mare infinito delle possibilità è una tempesta, può accadere di tutto e ogni scenario può realizzarsi, i fantasmi che si mescolano alle bolle di sapone piene di domande e al trillo del telefono sempre più fastidioso. Si rigira verso il cellulare solo per farlo tacere ma vede il nome di Irene lampeggiare, lo prende in mano di scatto:
-Pronto…
-Ehi, che cos’hai?
-Eh… non sto benissimo, diciamo. Dimmi pure.
Volevo chiederti una cosa. Ci son problemi se domani vado in Piemonte per tutta la giornata, giuro che recupero dopodomani, sto lavorando bene, per ora. Non sono lenta come prevedevo.
Irene, ma scherzi? Certo che non ci sono problemi. Non devi nemmeno pensarlo.
Ti ringrazio. Ma che voce hai? Cosa succede?
Eh… succede tutto e non succede niente.
Problemi con il brano?
Mah… è difficile parlartene per telefono. Vorrei che fossi qui, davvero. Non è una frase fatta.
Bertrando è sul punto di piangere, si guarda da fuori e si fa pena, si compatisce come mai prima d’ora. Disprezza tutto di sé, in questo momento, dall’età, alla storia, all’amore per Marko, alla carriera, all’idea di tornare a Sanremo, con questo brano, con Victoria, con le dirette, con tutto.
Sentiamoci dopo, ti dispiace? Vorrei dormire un po’. Ciao Irene, scusami.
Irene non ha il tempo di replicare e guarda Tomaso negli occhi che attendeva una risposta a tre metri da lei, attorno allo stesso tavolino del caffè di Villa Necchi, non proprio di fronte, non proprio accanto. Tomaso sta trattando Irene come se fosse una porcellana ritrovata in fondo ad un baule ricoperto di sassi, legni, pezzi di carbone e di calce, un tesoro inaspettato che ha appena accettato la sua proposta di accompagnarlo sul lago d’Orta a prendersi l’altra metà del quadro.
Elvio Calderoni