Con un impaccio feroce, Georgia Joanna ha provato per prima tra i due a staccare lo sguardo dall’altro. Ha respirato la paura di uscire dal contesto dell’istante prolungato – la felicità sospesa, l’attimo perfetto, il resto congelato – e Cristiano non se ne è accorto perché in un primo momento le lacrime negli occhi gli impedivano di captare se la direzione dello sguardo di lei fosse cambiata o fosse la stessa.
Georgia Joanna torna con lo sguardo a lui e prova un sorriso, il primo movimento non strettamente oculare che si concede. Prova come se fosse il suo primo sorriso, come fosse un abito in cui si ha paura di non uscire ad entrare, il cuore che decide il suo ritmo e anche le parole, o il silenzio che continua a vincere.
Cristiano ora la vede sorridere e avrebbe l’urgenza di abbracciarla, almeno, ma la vince perché tra i mille timori che adesso percepisce c’è anche quello di non banalizzare il momento – la felicità sospesa, l’attimo perfetto, il resto congelato – e preferisce provare a parlare:
- Non mi sono mai sentito così.Preferisce non guardarla negli occhi, adesso.
- Non mi sono mai sentito così… così esposto. Così di qualcun altro. Ha paura di ferirla, di recriminare, ma vuole raccontare per intero quel che ha provato, quel che prova ora, l’inedito di questi giorni assurdi. Georgia Joanna inquadra per un attimo due fenicotteri rosa che si stanno avvicinando al cancello, verso di loro, non li ha mai visti così vicini al confine, così grandi, così colorati, nemmeno quando riaccompagnarono a casa quello che era uscito.
- Esposto?
- Sì. Al… al niente che sentivo dentro. Mi son sentito vuoto, non avevo una direzione, una necessità vera, un appetito. Non avevo niente.
- Mi dispiace, penso che nessuno dovrebbe mai sentirsi così.
- Non mi sono mai sentito così, infatti. Non me l’aspettavo.
- Mi dispiace se è colpa mia.
- E sto continuando così. Mi sto esponendo ancora. Non sono mai stato così sincero, non sapevo nemmeno come si facesse. Non ne sentivo la necessità. Georgia Joanna percepisce l’interezza della parola sincero sulle sue labbra.Un traditore sincero.
Potrà mai esser sincero un traditore?
Se Cristiano fosse anche sincero, sarebbe perfetto.
Un pensiero stupido che le si è affacciato alla mente mentre lo sguardo torna ai fenicotteri che sono sempre più vicini al cancello, sembra quasi che vogliano venirli a trovare.
- Io non so se questo è il coltello di cui parla Kafka. Mi sento scemo a dirlo ma l’ho pensato. Ne hai mai letto?
- Fortunatamente no. Magari averlo letto adesso mi farebbe ancora più dispiacere, non dev’essere una cosa bella.
- E’ brutta. Ma è necessaria. Se non vuoi stare tutta la vita al riparo.
- Il riparo, invece, è bello. Ed è necessario anche lui.
- Il riparo mi ha rotto. Preferisco rompermi in un modo diverso. Spezzarmi anche.
- Cristiano…
- Dimmi.Pende davvero dalle labbra, dai pensieri, dalle parole. Che cosa tirerà fuori adesso questo incrocio di pelle e spessore, di anima e sguardo, di intelligenza e cuore?
- Cristiano, sei all’alba di un matrimonio. E non posso pensare tu sia così stupido da esserti sposato per ripararti.I fenicotteri sembrano adesso animali da zoo – giraffe? Scimmie? Cavalli? Asini? – che si avvicinano ai visitatori per ricevere cibo, spighe, noccioline, carezze.
- Guarda…Lui la blocca così, cambia prospettiva.
- Sono arrivati da noi. Se non sbaglio quello a sinistra è quello che era alla villa.
- No, secondo me no.
- L’altro?
- No, quello sta lì vicino al laghetto. Guarda là, oltre quel salice, dopo l’aiuola.
- Dove? Non lo trovo?
- Lì! Lo indica.
- Vorrei vederlo con i tuoi occhi. Lo troverei subito.
Georgia è percorsa da brividi diversi. Vorrebbe far l’amore con lui con i fenicotteri testimoni di un amore che non sarebbe sesso. Davanti al cancello la testimonianza di un’unione più vera e più necessaria di tutto quello che c’è adesso attorno a loro.
Più dei passanti, più dei cancelli, più del fenicottero rosa che sta cercando le loro mani e trova quelle di Cristiano che lo accarezzano – sta succedendo davvero? – e trova quelle di Georgia Joanna che stringono il polso di lui e le teste si trovano e le bocche si baciano e le tempie quasi si feriscono perché sono proprio attaccate al cancello e i fenicotteri li guardano e non aspettano cibo né segnali e le mani non li lasciano e le altre mani si toccano e non rispettano più l’attimo perfetto ma il resto continua a congelare e la felicità non è più sospesa e non si ha più il terrore di rovinare niente e i corpi si intrecciano, ma non le tempie e non le mani – la sinistra di lui la destra di lei – e i vestiti si slacciano.
E i fenicotteri assistono all’unione più vera e più necessaria di tutto quello che li circonda e tutto il quadrilatero sta a guardare sta a non guardare due umani che fanno l’universo, che fanno la terra, che fanno il pianeta unendosi mettendo in questa unione tutto il loro passato, i loro errori, i loro ripari, le tempie che quasi sanguinano, il contatto con i fenicotteri, il cancello che fa da cornice, un’unione che però è per tre quarti, forse è per pudore che sono attaccati al cancello, forse per non percepire quanto siano avvinghiati, forse per non percepire i passanti che potrebbero assistere, qualcuno che li potrebbe arrestare, nessuno che li potrebbe fermare.
Elvio Calderoni