La Storia Ricorrente, 14a puntata

Tomaso e il ritorno dell’ossessione del quadro che torna prepotentemente a trovarlo. Il ricordo di Victoria, i rebus del signore che afferma di possedere l’altra metà dell’opera di Hackert. Ancora Thomas Feiner come soundtrack.   Casteo.    

Tomaso si riprende dal mezzo choc dell’incontro ravvicinato con la ragazza presso la Vittoria Alata, mette il file di Casteo di Thomas Feiner che ascolta spesso in loop, preso com’è dall’epica che respira tra le note di questo autore, con cui si è sempre sentito in simbiosi a partire dalla somiglianza del nome di battesimo. Ma appena lo sente suonare si sente inferiore e si chiede perché mai non abbia mai imparato a familiarizzare con uno strumento. Per superare la frustrazione, che rimane lì a guardarlo come una prova non superata, guarda le immagini di Feiner da vecchi cd che non suonano più da millenni e si sente almeno più bello di lui. Una mezza rivincita contro tanta perizia tecnica, contro un talento così grande.

Sta quasi per decidere di cominciare a prendere lezioni di clarinetto o di violino o di arpa quando squilla il telefono.

Un numero sconosciuto. Tomaso che esita a rispondere.

Poi al sesto squillo spinge e parla:
– Pronto?

  • Salve, Tomaso Meregalli?
  • Sono io…
  • Non è stato facile trovarla, sa?

Nel sentire quella voce che sembrava provenire da molto lontano, Tomaso è invaso da una zaffata di sandalo, la voce che gli riporta il profumo indietro, i pensieri densi di qualcosa che in passato l’aveva colpito, come quando non riesci ancora a mettere a fuoco ma già sai che dentro di te sta per arrivare la risposta certa, l’obiettivo raggiunto, il fuoco.

  • Sono Paolo Baragatti, la chiamo da Orta San Giulio.
  • Baragatti? Non…
  • No, non ci eravamo presentati nell’unica occasione in cui ci siamo visti.
  • Ovvero?

La risposta certa fatica a salire, ma man mano che l’uomo continua a parlare la familiarità lo invade, ne è sempre più certo, forse si tratta solo di abbassare la musica, o di concentrarsi, o di togliersi dalla testa l’immagine della ragazza nell’atrio del suo palazzo.

Toglie Thomas Feiner, quasi scusandosi con la copertina del cd da cui stava guardando ancora una volta il volto del cantante, a cercare la mezza rivincita.

– All’asta, ovviamente. Non si ricorda?

  • Ah, ma certo. Certo che mi ricordo. Lei profumava di sandalo. Non scorderò mai quell’odore.
  • Le dava fastidio?
  • No, no, anzi. Ma come ha fatto a trovarmi?
  • Beh, questo non è fondamentale. Più che altro dovrebbe chiedersi perché la stavo cercando. Forse è più interessante.
  • Ecco, sì, forse sì.
  • Ho l’altra metà del suo quadro. E’ stato un colpo di fortuna, non provi nemmeno ad indagare, ce l’ho e basta. E’ qui, ad Orta San Giulio. Ma guardi che io sono sopra, a Legro, forse ne avrà sentito parlare, il paese dipinto. Se viene… trattiamo.
  • .. sta dicendo sul serio?

Tomaso si sente come attraversato da una corrente improvvisa, un vento irrefrenabile che profuma di vita, più che di sandalo.

  • Beh, trovarla, appunto, non è stato impossibile ma nemmeno facilissimo, per cui non è che abbia voglia di scherzare su questo. Poi, se vuole, possiamo scherzare su tutto il resto.

Tomaso tace, proprio ieri ha chiamato Georgia Joanna per farsi aiutare per quest’ossessione che ad ogni primavera gli torna su e l’ha fatto con un sentimento più speranzoso del previsto, forse nella rassegnazione che non avrebbe mai trovato l’altra metà, fin quasi a dimenticare l’ipotesi che esista davvero. Dopotutto era la supposizione di uno strano vecchio. Che eccolo che torna, che parla, che invade:

  • Su cosa ama scherzare di solito?

La voce più giovane di come la ricordava, anche il ritmo, anche la scelta delle parole.

  • Di solito scherzo su tutto. E’ che mi prende un po’ in contropiede. Non la aspettavo, insomma.
  • Io invece da lei non mi aspettavo un modo di dire così banale come “mi prende un po’ in contropiede”. Non crede che sia un po’ abusato?
  • Continua a prendermi in contropiede.
  • Un po’…
  • Sì, un po’ in contropiede.
  • E quindi cosa la sorprende?
  • Eh, tutto. Il tono, l’idea di rivederci, l’idea che l’altra metà del quadro esista.
  • Di questo la devo ringraziare. Non avrei mai sognato di trovare un mezzo Hackert, probabilmente se ne fossi venuto in possesso prima di conoscerla non avrei mai cercato l’altra metà del quadro, si figuri. Avrebbe potuto essere in un sobborgo di Seattle, o in provincia di Mumbai, o, chissà… nella campagna di Perth, o a nord di San Pietroburgo. Non l’avrei mai cercata. E inveceno, siamo così vicini e non potevo davvero aspettarmelo. I quadri fanno certi giri che lei non immagina. Io e lei siamo a un tiro di schioppo. Niente male come modo di dire, vero?

Tomaso si sente in imbarazzo, non riesce, e non gli capita mai, a trovare la battuta giusta, la risposta pronta e spiritosa e sente che le cose peggiorerebbero se il vecchio – ma sarà poi così tanto vecchio- fosse davanti ai suoi occhi.

  • E lei l’altra metà dove l’ha trovata?
  • Venga a Legro, le racconto tutto. La aspetto domani a cena. Porti anche la sua ragazza. Me la ricordo. Aveva una grazia non comune.
  • Non stiamo più insieme, non è più la mia ragazza. Anzi, si è sposata.
  • Ah, mi dispiace.
  • A me no. Non più.
  • E’ andato al matrimonio?
  • Non sono stato invitato. Fortunatamente. Troppa gente. Troppi fotografi. Troppo famosa lei.
  • Beh, lei non è che sia poco noto, mi pare.
  • Non quanto lei. Non quanto Victoria Danse, non so se ha presente.
  • Purtroppo no. Va bene, venga con chi vuole. Anche da solo. Buona giornata, la attendo per le 19 domani davanti la Matilde. Arrivederci.

Tomaso non ha il tempo di ribattere niente, si chiede chi sia Matilde e perché il signore al telefono dia per scontato che lui possa conoscere il luogo e raggiungerlo facilmente, come fosse il Teatro alla Scala.

Il tablet sul divano, un motore di ricerca, Matilde – Legro e gli appare un quadro, come un affresco su un muro. Una donna affacciata sul lago, di spalle, senza mutande. Un vecchio che la guarda seduto su una panchina. Due cani che giocano dietro di lui.

Elvio Calderoni

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.