Quando Marco mi ha chiesto di scrivere su Storiecorrenti di psicologia dello sport pensavo scherzasse.
Della psicologia dello sport da qualche anno si parla, è vero, ma la psicologia dello sport non si fa o, se si fa… non si dice.
La cultura sportiva italiana si basa ancora su concetti vecchi, legati principalmente all’ambito della preparazione fisica. Solo da pochi anni si è alzata l’attenzione sull’importanza della nutrizione, ad esempio, ma lo psicologo…. meglio di no! Lo psicologo cura i matti, lo psicologo interviene solo sui problemi.
Molti colleghi hanno tolto dai loro biglietti da visita la qualifica di psicologo dello sport (o l’hanno scritta piccola piccola), mettendo in evidenza piuttosto che sono mental coach o mental trainer. Sì, perché così fa meno paura al cliente.
Forse allora la cosa migliore che posso fare, per iniziare, è raccontare chi è e cosa fa lo psicologo dello sport e perché è utile non solo all’atleta o la squadra di alto livello, ma anche a coloro che praticano sport a livello non agonistico ed amatoriale.
Molti atleti dell’alto livello hanno nei loro staff lo psicologo dello sport: la sciatrice Sofia Goggia, l’ultra runner Francesca Canepa, la nuotatrice Federica Pellegrini, la tuffatrice Tania Cagnotto, i piloti di MotoGP Dovizioso e Vinales, così anche molte squadre: il Milan su tutti, antesignano in questo ambito che ha costituito il Milan Lab nel 2002, la nazionale italiana di Rugby Seven, la nazionale di calcio inglese, i Los Angeles Lakers in occasione della tragica morte di Kobe Bryant solo per citarne alcuni.
Ma la psicologia dello sport è utile anche all’atleta non professionista, a colui o colei che pratica sport a livello amatoriale, perché la psicologia dello sport è prima di tutto collegata al benessere, alla realizzazione delle proprie attività nel miglior stato mentale possibile.
Prendiamo ad esempio come si è evoluta la figura del nutrizionista: prima ci andava solo chi aveva oggettivi problemi di sovrappeso, oggi invece chi va dal nutrizionista non è perché è obeso, ma perché vuole stare bene, migliorare il proprio stile di vita ed ottenere dei risultati sportivi proporzionati all’impegno che mette negli allenamenti…è un plus ritenuto utile e complementare al proprio impegno fisico.
Ecco, lo psicologo dello sport andrebbe visto allo stesso modo: una figura professionale che aiuta a migliorare se stessi per ottenere il massimo dai propri sforzi.
E anche in questo mondo abbiamo i primi lungimiranti atleti, che magari incontriamo sulla ciclabile sotto casa, che si fanno affiancare da uno psicologo sportivo, come Camille Chenaux con la quale ho il piacere di lavorare.
Ma torniamo a chi è lo psicologo dello sport: è laureato in psicologia, iscritto all’ordine degli psicologi, ha fatto un anno di tirocinio, ha superato l’esame di stato ed ha conseguito una specializzazione, grazie a master o corsi, in psicologia sportiva.
Ha quindi una conoscenza approfondita dell’essere umano e del suo funzionamento psico-fisico, che applica non soltanto in “studio”, ma anche e soprattutto in campo.
Lo psicologo dello sport ha conoscenze psicologiche specifiche sui processi motivazionali, l’auto-efficacia, gli stati emozionali e possiede anche competenze relative alle scienze motorie e sportive (io ad esempio sono Tecnico Istruttore di atletica per la Federazione Italiana di Atletica Leggera) poiché il suo intervento considera le diverse tipologie di prestazione, gli aspetti psico-fisiologici legati alla percezione dello sforzo ed al controllo neuro-muscolare, gli effetti dello stress sulla prestazione sportiva, la regolazione emozionale nella prestazione di gara.
…Sì…bene…ma cosa fa allora lo psicologo dello sport!?
Stimola negli atleti le abilità mentali utili per l’incremento della prestazione, promuove le risorse latenti nell’atleta utili al miglioramento della prestazione. Tutto qua! Ma non è poco…
Il lavoro si concentra sulla formulazione degli obiettivi, la motivazione, l’autoefficacia, la gestione delle emozioni, la concentrazione, attraverso l’uso di tecniche specifiche come il self talk, i rituali pre gara, l’imagery, il training autogeno, la Mindfulness, le tecniche di respirazione.
E se per le singole tecniche ci si può rivolgere anche ad un mental coach sportivo, per l’individuazione dei processi mentali che stanno alla base della nostro compiere attività fisica e la messa a punto di un programma che consideri le premesse e non solo le azioni non potete che rivolgervi ad uno psicologo dello sport.
C’è poi un ambito clinico, più ridotto, legato alle reazioni emozionali agli infortuni e alle difficoltà di recupero, ai cambiamenti legati al termine della carriera agonistica, ai disturbi dell’alimentazione, alla dipendenza da esercizio fisico, all’uso di sostanze dopanti.
Quindi, come ha scritto qualche anno fa il collega Sergio Costa:
“Lo Psicologo dello Sport non è esclusivamente un motivatore…
Lo Psicologo dello Sport non è un mago…
Lo Psicologo dello Sport non è solo per i deboli…
Lo Psicologo dello Sport non è solo per chi ha problemi…
Lo Psicologo dello Sport non è solo per l’atleta professionista…
Lo Psicologo dello Sport non è un analista…
Lo Psicologo dello Sport non è un cartomante…
Lo Psicologo dello Sport non crea dipendenza…”
Anzi…Tania Cagnotto la pensa così:
“Nei tuffi, dove non ci possono essere supporti esterni, aiuto dai costumi, come nel nuoto in vasca, contano la forza che hai nelle gambe per la spinta e la forza che hai nella testa per la concentrazione. Per questo mi faccio seguire da uno psicologo dello sport che mi insegna tecniche di rilassamento prima di una gara”.
Coraggio allora, ci vediamo in campo!
Cecilia Somigli
cecilia.somigli @ gmail.com
https://roma.psicologidellosport.it/