Nel quadrilatero di strade con cui stiamo familiarizzando continuano ad accadere cose in questo inizio di febbraio, in pieno inverno. Bertrando continua a celebrare quello che sta diventando l’anno di Marko, la sua memoria, la sua musica eternata nel pezzo che sta per proporre al festival. Per renderlo quasi meno sacro, per non farne un santino, ha chiamato Victoria a duettare con lui, presenza leggera ai limiti dell’inconsistenza, fresca moglie di Cristiano. Mentre Irene conttinua a prender confidenza con Palazzo Fidia…
Irene è a una via di distanza da Tomaso, attenta com’è a non sciupare nulla dello spazio che si trova ad occupare.
Più che a non sciuparlo, a lasciare inalterata ogni molecola, si direbbe, di tutti gli ambienti che sta abitando. Mentre compie azioni ordinarie senza intervallarle con lo sguardo intermittente sul cellulare, ha la piena consapevolezza di essere diversa, o di esserlo diventata.
Di aver fermato l’ossessione del tempo e di vivere la sua contemporaneità senza assilli, piena di zone d’ombra ( la morte di Alessandro e il provare a riprendersi la propria interezza dopo averne ceduto metà, i saliscendi della fede, i dubbi su chi essere nel mondo ), di mezzi passi, mai passi falsi, di voce sussurrata e fioca, di terra di mezzo tra sottomissione agli eventi e spirito di riconquista esistenziale.
Da quando Bertrando è partito, però, il cellulare lo controlla molto più frequentemente, sempre per il consueto sentimento di debito nei suoi confronti, di cortesia dell’ospite, di essere pronta a eseguire ogni possibile ordine.
Legge il consueto buongiorno di Federico, immobile nel suo affetto, nel suo farsi percepire a portata di mano e di sfogo, quotidianamente:
“Che ti racconta il cielo di Milano stasera? Giuro che un giorno di questi lo sconquasso sto quadrilatero del silenzio e mi metto a dirigere il coro in piazzetta Duse! Anch’io percepisco che possiamo rinascere tutti. Insieme.”
Federico c’è stato, in questi anni. Ha ereditato l’affetto di suo fratello per Irene e ha cercato pezzi di lui nello sguardo di lei. Hanno fatto, più o meno, la stessa cosa, dopo la sua morte. Cercare Alessandro nell’altro, nella consapevolezza che lui non era stato così vicino a nessun altro, che non si era mai lasciato andare così tanto, sé stesso senza filtri, senza schermi, sé stesso senza fiato, così come avrebbe voluto continuare a fare per tutta la vita. Cosi come devono fare loro, per illudersi di non esser soli.
Nel raggiungere il Teatro Ariston, Bertrando manda indietro ogni domanda possibile, ogni sensazione, invece che acuirla o renderla più intensa, come farebbe e fa qualsiasi artista, va invece gettata, cacciata, fatta tornare lontana.
Le domande, le sensazioni che tutti si aspettano, che lui si aspetta: tornare a Sanremo da solo, portare il pezzo di Marko, arrivare da vincitore annunciato, aver scelto per il duetto una cantante completamente e troppo distante dal loro universo, perché una presenza così glamour come Victoria Danse, carriera da influencer già a buon punto, credibilità da interprete tutta da costruire, come dire, una voce oltre le transenne che provoca ovunque vada, c’è?
Non bastavano le curiosità e le polemiche sul portare in concorso un pezzo di Marko uscito fuori dal nulla con tutta la storia dell’appartamento sulla bocca di tutti, nemmeno avesse fatto un trasloco in diretta su un social.
Non bastavano.
La scelta di Victoria, caldeggiata dalla committenza, certo, ma che a Bertrando è piaciuta da subito, proprio per quell’evidente difficoltà nel maneggiare una cosa più grande di lei, nella consapevolezza che questo le avrebbe fatto tirare fuori il meglio.
In certi sguardi laterali di Victoria, aveva percepito la sua specialità facendo fuori tutti i pregiudizi sul divismo da social, la popolarità senza saper far nulla, figlia dei reality e degli smartphone, del popolo della rete che non sbaglia mai, che idolatra come un fiume e scorre lungo le pagine web passando di clic in clic di dito in dito di bocca in bocca.
Ma forse Victoria serviva proprio a far scemare la tensione di mettersi in bocca le parole di Marko, di farle proprie sperando di farle proprie davvero, nel senso di riuscire a pronunciarle e di farle ascoltare come credibili, come autentiche e autorizzate.
Victoria forse faceva solo volume, si prendeva le home page del web, con i boccoli biondi e i vestitini d’oro e Bertrando avvertiva meno tensione, meno difficoltà.
E perdipiù era stato così facile incontrarsi, anche lei in fase di trasferimento, a pochi metri da Palazzo Fidia, a ca’ dell’Oregia, con questo enorme orecchio che un tempo era il citofono e che adesso dà il nome ed è il tratto distintivo dell’intero palazzo, a casa Cavalcabò.
Victoria Danse, trentunenne, dalla provincia di Verona non sapeva cosa farsene della sua bellezza. Capiva di non esser tagliata per i concorsi da miss, o tantomeno canori, né per lo studio, né, caratterialmente, per puntare sul suo aspetto fisico.
E se l’è chiesto, dopo aver raggiunto i cinquecentomila followers, cosa sarebbe stata la sua vita senza la rete. Quali canali avrebbe trovato non tanto per la sua popolarità ma per dare uno stracco di senso alla sua vita.
E le lezioni di canto leggero, quelle di canto lirico ( perché la credibilità va impostata secondo orizzonti altissimi, perché accontentarsi delle canzonette? ) avrebbero avuto un peso maggiore fuori dal web?
Le partiture di Schumann inquadrate nelle storie di Instagram, tra tazze, briciole, tende, tramonti, non facevano che peggiorare le cose, distanziandola dal mondo delle qualità a cui voleva appartenere.
Studiava, Victoria, per capire chi era, per migliorarsi e per rendersi pronta all’arrivo di ogni possibilità.
L’invito di Bertrando per Sanremo arrivò parallelo alla proposta di Cristiano di sposarsi, uno più inatteso dell’altro.
Cristiano, sei mesi insieme valevoli come sei anni, la scoperta, la consapevolezza, l’intensità. La sorpresa di come può essere facile e bello arrivare al desiderio di condividere uno spazio grande quanto una vita, bruciando ogni tappa, facendo passare poco tempo tra idea voglia e realizzazione.
Pronta al cambio di look radicale per il matrimonio e per Sanremo, quasi una benedizione auspicabile di radicalizzazione esteriore di una vita nuova. Addio boccoli biondi, addio sessioni estenuanti di maquillage .
Occhiali neri e possibilmente occhiaie, coda bassa, nessun trucco.
Ci provo così. Voglio provare ad essere così e a vedere cosa succede.
Ci soffriva davvero Victoria. Tanto che nei sei mesi di Cristiano ( perché gli ultimi sei mesi sono stati proprio suoi ) gliene ha parlato apertamente.
Di ogni fragilità, di ogni dubbio. E lui ha accolto con il protettivo paternalismo che l’ha attirata da subito.
Proprio come se l’aspettava lei, spingendola al nuovo, senza paure e senza rete, ma senza farla sentire inadeguata o sbagliata, con una mistura speciale di acquisizione necessaria di elementi nuovi nella conservazione delle caratteristiche peculiari che già la contraddistinguevano.
Ma il dubbio era ad ogni angolo.
Elvio Calderoni