Tre mesi per colorare la mia Maratona di Valencia

Ogni anno dal primo giorno di settembre sento il profumo dell’aria che cambia e si riempie di odore di libri nuovi e matite colorate.

L’odore dell’estate lascia spazio a quello dell’autunno e ai primi brividi sulle braccia. Tutto prende la forma e i sensi di un nuovo inizio, che poi a pensarci è curioso perché in natura tutto si ferma lentamente per acquisire la forma statica dell’inverno buio e freddo.

Forse è per questo che ho deciso di fare l’architetto. Io che non sono mai cresciuta e da quell’odore di matite colorate non sono mai riuscita a staccarmi.

Un quaderno nuovo, una pagina bianca, per me è sempre stato come cominciare a scrivere per la prima volta. Armata di cautela ed attenzione per non macchiare la pagina più bella con un errore.

La prima. Prima di una lunga serie.

È quella emozione della prima volta, quella che si prova solo una volta nella vita e che invece l’autunno ti regala ogni anno. Tabula rasa e via da capo.

Il mio progetto è partito prima dell’estate, ha avuto una brusca frenata e poi è ripartito nuovamente il primo giorno di settembre.

Un giorno pieno, i muratori in casa quella noiosissima vibrazione del Garmin ad ogni notifica, mail, messaggio. È una mail. La più bella di tutte. Vado a Valencia.

Io non la volevo proprio fare una seconda maratona. Dopo il trauma della prima ci avevo messo una bella pietra sopra. Una pietra grande come l’Everest, ma poi come al solito la voce della mia coscienza e della mia coach hanno fatto il resto.

Dopotutto è stato bello seguire allenamenti programmati con un obiettivo, avere uno scopo, finalizzare tutto questo correre e allora “Run Lud Run!” come dice la mia amica Theresa parafrasando Forrest Gump.

Avevo prenotato uno di questi viaggi all inclusive ma qualcosa è andato storto e mi sono ritrovata in lista d’attesa. Ero al numero 1128. Altre 1127 persone si erano segnate prima di me e nella mia testa avevano una motivazione ferrea almeno quanto la mia.

Si perché quando decido una cosa la porto avanti fino all’ultimo respiro con una caparbietà da farmi sospettare una leggera forma di disturbo dello spettro autistico. Mi fermo solo se non respiro più.

1128 mi sembrava un numero impossibile da scalare, ma lo guardavo ogni istante, controllavo la mia posizione in lista come un’ossessione ed era sempre ferma li.

Comincio a scoraggiarmi. Nessuno mollerà e io devo cominciare a prepararmi.

Come posso cominciare la preparazione per una maratona senza sapere se sono iscritta o meno. Magari arrivo fino al lunghissimo da oltre 30km e poi scopro che non sono entrata. Erano di questa natura i pensieri che mi affollavano la testa come serpenti con le loro lingue biforcute.

Un giorno mi sveglio e 100 persone hanno rinunciato. 1028.

Un lumicino piccolo piccolo di speranza si accende in me. Un lumicino piccolo come il culetto di una lucciola.

Il mese di agosto per molti versi quest’anno si è composto di almeno 60 giorni. Ogni giorno valeva doppio. Il caldo asfissiante. Le corse mattutine completamente sola e a minimo 30 gradi. La lista d’attesa per la maratona. La sabbia nella clessidra delle risposte in sospeso è sempre più lenta di quella delle altre clessidre sulla mensola del destino. Vale almeno il doppio.

Ho passato giornate intere ad aspettare come un bambino la notte della Vigilia di Natale. Ogni due o tre giorni scalava di una cinquantina di persone, poi rallentava, scalava di uno o due.

Una mattina mi sveglio, apro la mail, controllo la lista e mi ritrovo improvvisamente al numero 118.

Stropiccio gli occhi per vedere bene. Lo faccio leggere anche al mio divanoman più infastidito che felice per me come al solito. Il culetto della lucciola è diventato una centrale nucleare. Ce la posso fare. Calatrava, la Spagna, il mare in un inverno più caldo del nostro e una nuova avventura sono li davanti alla mia porta e stanno per bussare.

È lunedì. Io odio il lunedì. Gli operai arrivano puntuali alle 7.30 pronti a sporcare dove avevo appena pulito con le loro sacche di cemento e il rasante per riparare i muri su cui avevo cambiato i termosifoni. Peppe li accoglie slacciandogli le scarpe e portandogli i giochetti, io gli preparo il caffè e loro cominciano ad impastare e a chiudere le tracce.

Il Garmin vibra. Devo assolutamente togliere questa funzione, è fastidiosissima e il 90% delle volte mi mostra offerte di Amazon, spam e guasti del gestore dell’acqua di Massa Lubrense.

Non è nessuna delle tre cose. Una mail.

Il primo pensiero è stato “ok questa è come al solito qualcosa da pagare, qualcosa che ho dimenticato e che arriverà con una mora da mille e una notte”.

La apro subito pensando di levarmi un cerotto ed eccola li “Hai 48 ore per confermare il pettorale per la Maratona di Valencia! Corri con noi!”.

Comincio a saltare come un grillo, prendo Peppe e lo faccio volteggiare compatibilmente con i suoi 12kg di dolcezza. “Mami va a Valencia!Mami va a Valencia!”.

Mami va a Valencia. Blocco subito il pettorale. Altro che 48 ore, mi sono bastati 48 secondi.

48 secondi di gioia liquida da imbottigliare e utilizzare come un gel durante gli ultimi km dei lunghissimi. E adesso?Cosa mi aspetta?

Onestamente non lo so.

La mia prima maratona aveva l’allenamento perfettamente programmato su carta che avevo stampato e attaccato al frigo e che spuntavo accuratamente ogni volta che eseguivo uno step.

Stavolta è tutto diverso. Ho un allenatore vero, un allenatore TOP che non mi dice nulla, mi confeziona l’allenamento come un sarto settimana dopo settimana in base alla mia risposta a quello precedente.

Sicuramente sono più serena, ma lunghi, lunghissimi e ripetute non me li leva nessuno. Un po’ come a scuola. Tra tutte le materie che amavo c’era sempre la matematica, il mio Everest, quella che mi toglieva il respiro con la sua presunzione di perfezione e la sua asettica scientificità. Io sono sempre stata donna di colori, fantasia, con la mente che corre a briglia sciolta nella più totale assenza di perfezione.

Coloro tutto. Coloro i lunghi vedendo film interminabili, coloro le ripetute pensando a cosa scriverò dopo. Coloro la fatica come la fotografia sulla settimana enigmistica rendendola buffa e meno spaventosa.

Siamo a settembre.

Ho tre mesi per colorare la mia Maratona di Valencia, ho già i miei pastelli nuovi e il mio foglio bianco.

Si comincia…

 

 

Ludmilla Sanfelice
Un giorno senza sorriso è un giorno perso. Non importa quanti pesi portiate sulle spalle, la vita è un battito di ciglia e va vissuta in ogni istante. Come l’ho scoperto? Allacciando le scarpe e cominciando a correre. Run Lud Run! Ogni giorno una nuova storia aspetta di essere raccontata.