I mondiali di atletica di Budapest sono terminati ieri con le ultime prove, e noi siamo di nuovo punto e a capo. Oggi siamo di nuovo orfani di atleti bellissimi, forti, che sono lo specchio di un mondo che fa fatica a venire fuori.
Schiacciati nelle retrovie della comunicazione sportiva, dove è sempre più articolato raccontare il rovescio della medaglia: raccontare il lavoro che fanno solo per arrivare sul campo di gara è faticoso, figuriamoci spiegare cosa vuole dire conquistare una medaglia.
I giorni lenti delle gare di questo agosto caldo e vacanziero ci hanno cullato con le telecronache serali dal bellissimo stadio della città madjara.
Uomini e donne che rivedremo impegnati nelle rispettive specialità tra un anno agli Europei di Roma e subito dopo alle Olimpiadi di Parigi. Ci consoliamo con uno spettacolo che ci ha visti ben posizionati in quasi tutte le gare.
Uno sopra a tutti: è proprio il caso di dire che ci ha fatto saltare dal divano, per averci portati lì dove tutti speravamo, a una medaglia d’oro che mancava a Gianmarco Tamberi, il capitano della Nazionale, coronamento di un mondiale bellissimo.
Le telecronache di una passione condivisa da chi era al microfono e dagli atleti che si prestavano a raccontare la loro prova.
Sentirli parlare è stata gioia e soddisfazione: una nazionale aperta, colorata nei toni e comunicativa nelle emozioni provate, figlia di un paese che è cambiato da oltre 25 anni, ma che politici di certe fazioni non accettano per il solo scopo di dare voce a una minoranza del paese.
L’atletica è uno dei pochi sport in grado di misurare un mondo nuovo e che nessun generale, primo ministro o politico di turno, potrà fermare.
Bravi ragazzi, e adesso andiamo a Parigi.