Provare a capire chi parla sempre di calcio

Gli amici che parlano solo di calcio sono per te dei fenomeni immutabili, solidi come rocce. Per loro, invece, tu sei un enigma inspiegabile. Quante volte hai provato a seguirli, a resistere almeno dieci minuti durante quei lunedì pomeriggio, nella pausa caffè in ufficio, dopo l’ennesima giornata di campionato.

Con attenzione, tentavi di restare concentrato, ma i nomi dei calciatori stranieri ti confondevano sempre di più, perché ormai sono quasi tutti stranieri.

Non ce la facevi. Il calcio, per te, si è fermato nel 2001, forse anche prima.

Da quando sei diventato un runner, lo sport è diventato un fenomeno di massa che muove le persone, mentre il calcio, ai tuoi occhi, è un fenomeno globale che paralizza intere popolazioni.

Va detto che i tuoi amici ci hanno provato, a coinvolgerti, almeno quando il discorso cadeva sulla preparazione atletica dei calciatori. Ti chiedevano quanto corre un mezzofondista, quanto ci vuole per percorrere un chilometro, e ovviamente: “Quanto è lunga la maratona di New York?”.

In quel momento ti sentivi felice, circondato da cotanta ignoranza, finalmente risvegliato dal torpore che ti prendeva ogni volta che si parlava di calcio. Provavi a rilanciare con un commento sull’ultima prestazione di Yemaneberhan Crippa agli Europei di Monaco 2022. Ma il discorso, inevitabilmente, tornava alla campagna acquisti del Bayern Monaco. Poco male, almeno avevi cercato di difenderti.

In silenzio, tornavi nel tuo angolo, controllando il telefono per vedere cosa prevedeva la tua tabella di allenamento per il giorno successivo.

Poi, dal lato opposto della stanza, uno dei “professori” del dischetto di rigore ti fa: “Giovedì sera giochiamo a calcetto, ti va di unirti?”.

In un istante, hai ripercorso mentalmente tutti gli infortuni subiti dai tuoi compagni runner, vittime di qualche partitella di calcetto, con maratone poi saltate. La fatica di dover dire di no, ogni volta.

Ma stavolta è diverso. Vuoi rischiare, vuoi vedere fin dove puoi arrivare. Accetti l’invito con un deciso: “Sarà un piacere”.

“Ok, ci vediamo alle 20.00 al solito campo”… solito, per loro.

L’ultima volta che avevi giocato a calcio, Fabio Capello parlava ancora in romanesco. Tu avevi tutti i capelli e l’affitto del campo lo pagasti 10.000 lire. Ma non importa. “Andrà benissimo”, pensavi. “Corro tutti i giorni, sono allenato, farò un figurone.” Lo avevi detto persino a casa, mentre preparavi la borsa con gli scarpini ritrovati in cantina e una vecchia divisa della Legea, sponsor della nazionale di calcio della Corea del Nord.

La partita finisce 4-4, interrotta al 60’ da un diluvio che nessuno avrebbe potuto prevedere. Stanco e infreddolito, sei tornato a casa con 38.5 di febbre.

Il messaggio del tuo coach lo avevi ignorato: “Non andare a giocare, ti farai male”. Ora lo stai rileggendo, sdraiato sul lettino dell’ortopedico che ti ha appena diagnosticato quattro mesi di stop dalla corsa. Lo scontro con Paolone, il collega della logistica, ex giocatore di rugby, non ti ha lasciato scampo. Ma tu hai voluto comunque provare a scartarlo…

Il caffè con i colleghi ha ripreso i suoi soliti contorni grigi. Guardi fuori dalla finestra con una caviglia dolorante, e nel riflesso della vetrata provi a rivedere lo sguardo di Crippa negli ultimi metri dei 10.000 a Monaco.

La verità è che il calcio non è facile da capire. Ti ruba l’anima, ti fa battere il cuore, ti fa sudare quando fa freddo e sospirare quando fa caldo. Ti fa abbracciare uno sconosciuto solo perché ti siede accanto nel momento più emozionante.

Ti fa viaggiare per il mondo, anche se non vinci nulla. Il calcio è fatica, ovunque lo vivi: dal divano di casa, dove speri di poter urlare “ce l’abbiamo fatta!”, al campo sotto casa, dove vuoi vincere ogni partita con gli amici. Ma la cosa più strana è cercare di capire cosa spinga una persona a parlarne per tutta la vita, a condividerne le gioie e a custodire le disfatte.

Seduto in metro, in mezzo alla gente, hai finalmente capito che a una passione non si comanda. La vivi senza misura, con le caviglie doloranti, i capelli sempre più radi, qualche chilo in più, ma con l’animo sereno e la certezza che, proprio come una maratona, il calcio non ti lascerà mai solo.