Numero 261 : il diritto di correre una maratona

Katrine e il diritto di correre una maratona

Siamo negli anni ’60 i movimenti femministi cercano di dare voce sempre più forte a tutte le donne. Nello sport e in tanti altri ambiti della vita umana perché ancora resistono forti pregiudizi.

In questo contesto, per ottenere finalmente visibilità, alcune donne cominciano a tentare imprese fuori dal comune.

Ad esempio? Correre la maratona che all’epoca era un’attività riservata solo al genere maschile. Far cadere certe barriere  e pregiudizio era aver conquistato almeno un diritto.

Il diritto a correre una maratona,

per esempio, è quello per cui proprio nel 1967 dovrà lottare Kathrine Switzer, una ragazza che ama la corsa di fondo.

Pare che all’epoca ci fosse la concezione che le donne non fossero fisicamente in grado di correre una maratona e, addirittura, che la corsa potesse essere nociva per la loro salute.

Sempre negli anni 60, queste vecchie credenze sono state scardinate da due paladine dei diritti per le donne: Bobbi Gibb e Katrine Switzer

La prima donna a tagliare il traguardo di una maratona fu Bobbi Gibb.

Si fu proprio lei a portare termine il percorso di una maratona e lo fece a Boston nel 1966. Dato che la competizione era ufficialmente chiusa alle donne, Bobbi indossò i vestiti del fratello e aspettò il via nascosta dietro un cespuglio, poco distante dalla linea di partenza.

Corse l’intera distanza senza alcun pettorale, ma la sua fu un’esperienza positiva: gli altri atleti la sostennero e la incitarono fino a quando tagliò il traguardo, in 3 ore, 21 minuti e 40 secondi.

Ma una piena accettazione delle donne in maratona era ancora lontana.

La storia cambierà nel 1967 quando ancora ignara di quello che poi sarà in grado di fare Kathrine stessa. Proprio in quell’anno la ragazza frequentava il College di Syracuse e seguiva lo sport solo da giornalista.

Ma a lei piace correre e spesso si allena coi maschi  fino a che un giorno conosce l’uomo che cambierà completamente e per sempre la sua vita .

Arnie Briggs, un postino dell’università un signore di circa 50 anni. Lui ha già partecipato a 15 edizioni della Maratona di Boston.

Decidono di correre insieme e mentre il postino la aiuta a migliorare nella sua corsa le racconta le grandi imprese dei maratoneti a Boston. In una sera fredda, durante un allenamento, Katrine sente il desiderio sempre più forte di correre una maratona e decide di sfidare se stessa.

Tre settimane prima della maratona, corre con Arnie per 26 miglia.

Alla fine lo porta a correrne altre 5 e, quando finiscono, lui è stravolto. Non credeva che potesse riuscirci.

La mattina dopo Arnie arriva alla sua porta con il modulo di iscrizione. Kathrine chiede di partecipare alla Maratona così come ha fatto Bobbi Gibb l’anno precedente.

“ Se devi correre devi essere in gara ufficialmente con un numero sul petto proprio come gli uomini “

–  così disse Arnie , dato che sul modulo di iscrizione non veniva esplicitamente richiesto il sesso dell’atleta partecipante.

Così Katrine si firmó allo stesso modo con cui si firmava sui suoi articoli di giornale, con le sole iniziali: K. V. Switzer.

E’ pronta, ma prima di mettersi in viaggio racconta tutto al suo fidanzato Tom Miller, all’epoca lanciatore di martello nella Nazionale, il quale decide di iscriversi anche lui insieme ad un altro compagno di corsa un certo John Leonard.

Non è bel tempo sta piovendo ghiaccio, ma su quella linea di partenza Katrine è con il suo pettorale numero 261 e i suoi compagni di corsa Arnie, John e Tom si sente serena la sua corsa inizia mentre altri corridori sorpresi chiedono se possono portare anche le loro mogli a correre. 

Sembra filare tutto liscio quando ad un tratto, dietro di lei, si apre la portiera di una macchina e un rumore di scarpe che corrono veloci mentre cercano di raggiungerla.

“VATTENE DALLA MIA DANNATA CORSA E RIDAMMI QUEI NUMERI!”

È Jock Semple il direttore di gara della maratona di Boston (anche lui maratoneta)  nell’edizione 1967 quando si accorse che tra gli atleti ce n’era uno di sesso femminile. Il famoso numero 261.

L’immagine in cui Kathrine Switzer viene malamente strattonata da Semple è entrata a far parte de

“Le 100 foto che hanno cambiato il mondo”

La giovane ragazza è spaventata e sta per cadere quando Tom Miller placca Semple con tutta la forza e  suoi 106 chili, lanciandolo a bordo strada come un pupazzo.

“Vai Katrine corri come il demonio!” le urla Arnie

Ma la ragazza è sconvolta ad un certo punto pensa di ritirasi ha paura di essere arrestata sulla linea del traguardo, ma prosegue anche se il freddo rallenta la sua corsa…

SAPEVO CHE SE AVESSI SMESSO, NESSUNO AVREBBE MAI CREDUTO CHE LE DONNE AVEVANO LA CAPACITÀ DI CORRERE PER OLTRE 26 MIGLIA. SE AVESSI ABBANDONATO, TUTTI AVREBBERO DETTO CHE ERA STATA UNA TROVATA PUBBLICITARIA. SE AVESSI RINUNCIATO, GLI SPORT FEMMINILI SAREBBERO TORNATI INDIETRO NEL TEMPO, INVECE CHE IN AVANTI. SE AVESSI SMESSO, NON AVREI MAI PIÙ CORSO A BOSTON. SE AVESSI MOLLATO, JOCK SEMPLE E TUTTI QUELLI COME LUI AVREBBERO VINTO. LA MIA PAURA E LA MIA UMILIAZIONE SI SONO TRASFORMATE IN RABBIA.”

Arrivano al cartello con scritto “Finish” insieme: lei, Arnie e John che nel frattempo l’avevano raggiunta.

Katrine chiude la sua maratona in 4 ore e 20 minuti.

Il numero 261 è partito e arrivato in fondo come quello degli uomini e quindi il suo nome ufficialmente non può essere cancellato dalla lista dei partecipanti. 

I giornalisti al suo arrivo la bombardano di domande:

– Perché l’hai fatto?

– Perché mi piace correre. Più corro meglio sto.

– O dai, perché Boston? Perché hai voluto avere una pettorina?

– Le donne meritano di correre. Uguali diritti.

– Correrai ancora?

– Sì.

Dopo gli eventi, la Switzer non soltanto proseguì brillantemente la sua carriera di atleta, correndo oltre 40 maratone e vincendo quella di New York nel 1974, ma divenne un simbolo e un’attivista a favore dell’inclusione femminile nello sport.

Ed è grazie a lei che milioni di donne ora sono autorizzate al semplice atto di correre.

Perciò ogni volta che indossate quel pettorale ricordatevi che noi donne siamo un po’ tutte quel numero 261.

Grazie Katrine