La visione sana dello sport

Nello sport, così come nella vita, ogni risultato si ottiene attraverso un lavoro lungo e faticoso, costante e impegnativo.

La medaglia conquistata ha un doppio valore: il “diritto” quale specchio della vittoria e il “rovescio” simbolo della fatica profusa per vincerla.

Da sempre lo sport è un mezzo per la formazione di uomini che affrontano le sfide della vita, insegnando loro a sopportare la fatica e a lavorare con determinazione per raggiungere un traguardo.

Grazie ad esso si impara a contare su se stessi ma anche a cooperare con i compagni di squadra.

L’attività fisica è fondamentale per la società, perché oltre ad insegnare a comportarsi nel rispetto delle regole, garantisce un adeguato equilibrio fisico e mentale ai cittadini.

Per alcuni può rappresentare un semplice passatempo, per altri può essere un lavoro, mentre per altri ancora è un “salva vita”.

Si può definire così perché diventa una valida alternativa a inevitabili situazioni difficili in cui vivono molti giovani: è un modo per evadere dalla realtà quotidiana, uno sfogo per liberarsi dallo stress.

Durante l’attività sportiva, sopratutto nelle gare, la competizione e l’aggressività sono necessarie per raggiungere il risultato, queste, tuttavia, devono essere adeguate al rispetto degli avversari, delle regole sportive, e del proprio corpo.

Molte vicende sportive ci hanno purtroppo dimostrato che il traguardo si può conseguire anche senza rispettare i diritti e i doveri di una competizione, utilizzando scorciatoie quali, ad esempio, le sostanze dopanti.

Il solo pensiero di voler provare a vincere in tal modo, rappresenta il rifiuto dei principi universali su cui si fonda lo sport.

Se è vero che esso è lo specchio della vita, noi giovani dovremmo prendere esempio dalle vicende di atleti che hanno rispettato le regole, mostrando solidarietà con avversari anche a discapito del loro risultato finale.

Così accadde per la vicenda dei fratelli britannici Brownlee.

Durante i mondiali in Messico uno dei due fratelli, Jonny Brownlee, accusò, a pochi metri dalla vittoria, un forte colpo di calore: un assistente provò a condurlo fuori dalla pista, proprio quando alle sue spalle arrivava fratello Alistair, anche lui in gara, che invece lo sorresse accompagnandolo fino al traguardo.

Sul quel podio salì al primo posto il sudafricano Shoeman, ma a nessuno importò perché tutta l’attenzione era rivolta ai due fratelli e al gesto di altruismo a cui avevano tutti assistito.

Un altro episodio da prendere come esempio di altruismo è quello che coinvolse Michael Phelps durante le Olimpiadi di Atene del 2004, in cui vinse ben sei medaglie d’oro.

Il nuotatore americano, invece di provare a vincere la settima medaglia, partecipando alla staffetta 4 x 100 mista, lasciò gareggiare un altro compagno di squadra dandogli la possibilità di salire sul podio.

Fu un gesto semplice che non influì negativamente sulla carriera di Michael, bensì gli fece acquisire ancora più prestigio, non solo come atleta, ma anche come persona, facendo vivere un’emozione grandissima a chi altrimenti non ne avrebbe avuto l’occasione.

Purtroppo, sono altrettanto frequenti i casi di atleti che, per raggiungere a tutti i costi il risultato migliore, non rispettano né le regole delle competizioni e né gli avversari.

Questo comportamento può essere causato non solo dall’ambizione sfrenata ma anche dall’ambiente che circonda l’atleta: gli allenatori e le persone che ricavano profitto dalla sua vittoria possono spingerlo a infrangere le regole.

A questo proposito, l’episodio che mi ha molto delusa, ha riguardato la squalifica di uno dei nuotatori cinesi più forte di sempre: Sun Yang.

Già durante le Olimpiadi di Rio de Janeiro era stato definito come un “dopato imbroglione” da molti atleti presenti alla manifestazione.

Riuscì a sfuggire più volte dal controllo antidoping, distruggendo addirittura una delle provette contenente un prelievo di sangue fattogli inaspettatamente.

Dopo varie udienze e complicazioni nel processo, a febbraio del 2020, il Tribunale arbitrale dello sport di Losanna lo ha squalificato per otto anni con l’accusa di doping.

Gli stessi atleti, che fin dalle Olimpiadi del 2016, avevano capito il motivo dello strano comportamento del campione Cinese, protestarono.

Il paladino di questa protesta fu il nuotatore Marck Horton, che già ai mondiali di Gwangju del 2019, durante la cerimonia di premiazione della gara 400 metri stile libero, decise di non salire sul podio al fianco di Sun Yang.

Il nuotatore cinese, nonostante la protesta di Horton, salì sul gradino più alto del podio, senza stringere la mano agli avversari e adottando un atteggiamento molto arrogante e poco sportivo.

I video e le foto di quella cerimonia fecero in poco tempo il giro del mondo e crearono scalpore tra tutti gli appassionati del nuoto, i quali da sempre definivano Sun Yang un atleta leale e un esempio da seguire.

Anche il campione del mondo Gregorio Paltrineri, che molto spesso si era trovato a dover gareggiare contro Sun Yang, rimase molto deluso e rattristato dal comportamento dell’avversario.

In un’intervista disse che non riusciva a gioire per il verdetto della sentenza, e che era molto dispiaciuto perché , fin da quando era piccolo, Sun Yang rappresentava il campione che un giorno avrebbe voluto battere sfidandolo fianco a fianco nelle competizioni internazionali.

Il numero di atleti che si comporta come Sun Yang è sempre più in aumento e in molte occasioni il mondo dello sport riesce far passare inosservati certi comportamenti non sanzionandoli propriamente.

Ciò rappresenta un problema non solo dal punto di vista morale ma anche per il cattivo esempio che si dà agli atleti più giovani, i quali non sarebbero più stimolati ad impegnarsi duramente, preferendo usare scorciatoie per raggiungere il risultato migliore.

Nello sport, come anche nella vita di tutti i giorni, ci saranno sempre queste persone, di conseguenza, sta ad ognuno di noi scegliere come raggiungere l’obiettivo prefissato e a chi ispirarci per farlo.

Lo sport mi ha insegnato tanto, ed essendo ormai da anni nel settore agonistico, ho imparato a riconoscere gli atleti leali da prendere come punto di riferimento perché, purtroppo anche in competizioni di livello inferiore si verificano casi del genere.

Senza dubbio sono di più coloro che si comportano correttamente alle competizioni;

Queste persone, che sono sia atleti che allenatori, mi hanno resa come sono oggi: mi hanno aiutato, così come le tante esperienze fatte nel nuoto, a sviluppare una forte determinazione, e a rialzarmi dopo un fallimento.

Sono sicura che il duro lavoro e i tanti sacrifici fatti durante questi anni saranno ripagati nella mia carriera sportiva e nella vita da adulta che mi aspetta.

 

Giulia Raffaelli

 

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