La Mindfulness, per un atleta, è una tecnica di mentalizzazione

Quando nel 2017 ho fatto il master in psicologia dello sport, una delle lezioni verteva sull’utilizzo della mindfulness nella pratica sportiva.

La lezione si teneva presso la piscina Y-40 Deep Joy di Montegrotto Terme, profonda 40 mt, regno incontrastato dell’apnea e delle immersioni.

Dopo aver seguito la parte teorica della mattina, la lezione prevedeva una parte esperienziale in acqua. Quindi costume e cuffia e via.

La pratica consisteva nel sperimentare una medesima esperienza prima e dopo esercizi di rilassamento corporeo e attivazione mindfulness: a coppie uno doveva tenere la testa sott’acqua per 45 secondi tenendo per mano l’altro che allo scadere del tempo dava il segnale di riemergere.

Gli esercizi consistevano che a turno uno dei due faceva il “morto a galla” ponendo l’attenzione alle sensazioni corporee sperimentate e ai pensieri, lasciando all’altro il compito di non farlo allontanare dal bordo della vasca e farlo ruotare lentamente. Successivamente il contatto fisico aumentava e, sempre a turno, uno “prendeva in braccio” l’altro e lo cullava regolando il ritmo e la velocità al respiro.

Dopo questi esercizi si ripeteva l’esperienza delle breve apnea notando se ci fossero differenze.

Sorprendente! I 45 secondi per me sono passati in un attimo e la mente era completamente vuota, mentre la prima volta avevo pensato in ordine “mi stringe il costume; speriamo di essere ben depilata; ho fame; speriamo che il mio partner non si distragga; a che ora ho il treno?”.

Raccontata così sembra l’ennesima cialtronata new age per cui basta che ti rilassi e tutto è più facile, ma l’applicazione della mindfulness e delle tecniche corporee alla prestazione sportiva è invece materia seria e “scientificamente riconosciuta”.

E’ stato John Kabat Zinn, un biologo molecolare statunitense a ideare nel 1979 un protocollo scientifico (Mindfulness based-stress reduction) a partire dalle antiche tecniche della presenza mentale di origine buddista, protocollo la cui efficacia è stata confermata in termini sperimentali e ampliata in diversi ambiti.

Concentrazione, focalizzazione, orientamento alla prestazione, problem solving… sono le competenze di base che ogni atleta (ma in generale ogni essere umano!) deve avere per ottenere il meglio dalle situazioni.

Bisogna imparare a neutralizzare il “sequestro emozionale” del cervello cercando di individuare l’emozione e la credenza errata che lo scatena e restituendo alla corteccia il suo potere di analisi e di riflessione sull’evento.

Bisogna cioè riportarsi in uno stato che viene definito di «mentalizzazione» e di consapevolezza del qui e ora.

In carenza di mentalizzazione sono ridotte la capacità di regolare le emozioni e di tenere a bada i pensieri negativi intrusivi.

La Mindfulness, per un atleta, è una tecnica di mentalizzazione.

Negli atleti che la praticano si registrano livelli minori di noradrenalina e altri ormoni legati allo stress e si registra invece una aumentata produzione di serotonina (ormone regolatore  dell’umore e della fame) e quindi c’è un maggior senso di benessere che porta alla possibilità di mantenere una migliore concentrazione e focalizzazione sul compito.

La mindfulness, negli sport di endurance, aiuta anche a gestire la fatica e il tempo. Il saper rimanere nel qui e ora in una gara su lunga distanza che obbliga il corpo a sforzi incredibili è certamente uno strumento utile, tanto quanto la buona integrazione o l’attrezzatura giusta.

 

 

Cecilia Somigli
Psicologa e una podista sorridente. Ho scoperto la corsa “da grande” dopo anni di pigrizia e da quel giorno non mi sono più fermata. Corro per sentirmi libera. Amo viaggiare e camminare e muovermi alla scoperta del mondo. Unire professione e passione mi ha reso una persona migliore e una professionista più competente.