La Fatina di Brownsville

la fatina di brownsville

Lo sapete cos’è Brownsville?

Diciamocelo, è un posto di merda.
E lo era ancora di più negli anni 70, quando è iniziata questa storia.

C’è un gioco che faccio spesso durante le cene, quando parte la lamentela su qualche stortura dei nostri tempi.

Immaginate che il buon Dio voglia farvi un regalo, e prima di nascere, anziché mandarvi allo sbaraglio in questo pazzo mondo, si prenda il disturbo di chiedevi dove e quando preferireste incarnarvi.

Attenzione però, precisa l’Onnipotente. Potete scegliere l’anno ed il luogo, ma non la condizione sociale: potreste essere il figlio del Re o l’ultimo dei reietti.

Cosa scegliereste?

Pensateci bene. E pensate che, a parte una botta di culo eccezionale, ci sono statisticamente molte più probabilità di nascere povero che figlio del Re.

Dove avreste le migliori chance di sopravvivere, e di vivere una vita dignitosa pur nascendo poveri?
Io personalmente sceglierei senza esitazione l’Europa del ventunesimo secolo.

Ma è una mia idea, e naturalmente ognuno avrà la sua.
Sono però abbastanza sicuro che nessuno, se dotato di un minimo di sale in zucca, sceglierebbe mai Brownsville negli anni 70.

Mai.

Case crollate, baracche malferme, roghi di immondizia, uomini, donne e ragazzi che si dividono tra eroina, crack e alcolismo.

E poi delinquenza, prostituzione, violenza, i ragazzi che per sopravvivere devono affiliarsi ad una gang, e le gang che quotidianamente si menano e di tanto in tanto si ammazzano tra loro.

E poi la polizia, che anche lei mena. E spara.

La strada, la galera, la droga.

A fine anni novanta l’esercito ha aperto un ospedale per curare gli oltre seicento feriti di arma da fuoco che arrivavano da Brownsville ogni anno: più di due al giorno.

In un solo quartiere.

E negli anni ‘70 era ancora peggio, non a caso Brownville godeva della sinistra fama di “quartiere più pericoloso degli Stati Uniti”.

Ed è proprio in questo ridente rione che nasce il protagonista della nostra storia, il piccolo Michael Gerard, venuto al mondo in una famiglia un po’ così, come ce ne sono tante a Brownsville: padre andato via quando in figlio aveva due anni, madre alcolizzata.

Vivono al 178 di Amoy Street, in una baracca senza riscaldamento e senza acqua corrente.

E così il piccolo Michael deve cavarsela da solo in quella giungla, con solo una mamma che se appena riesce a nutrirlo, di certo non si occupa di tenerlo pulito ed in ordine, tanto che va in giro nel quartiere sempre vestito di stracci.

“Michelino il cencioso” sarebbe stato il suo soprannome in una novella del Verga.

“Dirty Mike” era uno dei soprannomi che la strada gli aveva affibbiato, e neanche il più difficile da portarsi dietro.

Il ragazzino arrivato a dieci anni presentava un collo taurino, sormontato da un testone che se fosse nato a Barivecchia sarebbe stato “Michele capagrossa”, ma a Brownsville diventava “Big Head Mike”.

Ma il nostro Michelino era anche cicciottello ed introverso, e oltre ad essere sporco e con la capagrossa, aveva un’altra caratteristica che a Brownsville non poteva passare inosservata: un animo gentile e sensibile, e un atteggiamento taciturno;

e quando parlava, lo faceva con una vocina sottile, quasi in falsetto che gli valse il soprannome di Fatina: “Little Fairy Boy”.

Ora, chi ha un minimo di esperienza delle cose del mondo, può ben capire come essere una Fatina a Brownsville, senza nessuno in famiglia a guardarti le spalle, equivaleva ad una condanna:

un ragazzo povero e cicciottello con la testa grossa, la voce in falsetto e il soprannome di Fatina non poteva che essere la vittima preferita dei bulli, che a Brownsville di certo non mancavano.

La vita della Fatina andava così: nessun aiuto né tantomeno amore a casa; violenza, umiliazioni e vessazioni per strada.

Il piccolo Mike però non reagiva mai: si prendeva gli insulti, gli schiaffi, le botte, senza reagire mai. Rimaneva in silenzio, incassava, appena poteva scappava via.

E appena poteva si rifugiava nell’unico luogo in cui pareva trovare pace e un minimo di serenità: il tetto del fabbricato di fronte a casa, dove allevava piccioni.

I piccioni erano i suoi unici amici: li prendeva in mano, li puliva, li nutriva, li accarezzava, teneramente li baciava.

I soprannomi del ghetto, di tutti i ghetti del mondo, sono crudeli ma precisissimi.

Il nostro Michelino aveva davvero un animo da Fatina, aveva bisogno di dare e ricevere amore, e nella vita di merda che gli era toccata in sorte gli unici esseri viventi che potevano aiutarlo erano quei piccioni su quel tetto.

Probabilmente non sbagliamo di molto se diciamo che quei volatili erano tutto quello che aveva.

Finchè un pomeriggio, dopo le solite vessazioni e la consueta fuga nel suo rifugio sul tetto, non si accorge di essere seguito dal peggiore dei suoi carnefici, Gary Flowers.

Gary è un tipaccio: ha quindici anni (che a Brownville significa che è un uomo fatto e finito), è stato più volte al riformatorio, è molto più grosso di Mike, è violento e spietato.

Gery lo segue sul tetto, assiste a tutto il rituale, ma non agisce subito.

Aspetta che Mike se ne sia andato e prende un piccione. Poi col volatile nascosto sotto il cappotto lo raggiunge in mezzo alla strada, dove ci sono tutti gli altri ragazzi.

“Ehi fatina. Fatinaaaa”

Mike fa finta di non sentire e continua a tirare dritto.

“AH la Fatina è sorda, ma non è muta. Con noi non parla, perché preferisce parlare coi piccioni. Ci parla, li bacia, e se li scopa pure”

Mike sente che c’è qualcosa che non va. Che ne sa Gary dei Piccioni? Ora non può far finta di niente.
“Bugiardo!” gli grida girandosi.

“Non è vero!” grida con la sua vocina, tra le risate di tutti.
“Ah no? E questo cos’è” dice il bullo, tirando fuori il piccione con gesto teatrale.

“Lascialo!”grida disperato, sempre con quella vocina che fa tanto ridere i ragazzi. Mike prova un misto tra disperazione e terrore.

Non ha mai parlato davanti a tutta quella gente, e ogni volta che apre la bocca tutti ridono.

Ma non può sopportare di vedere a creatura tra le mani di Gary.
“Ridammelo!”
“Lo vuoi?” fa il bullo, “E va bene te lo ridò”
Mike fa l’errore di sperare, per un istante.

Ma Brownsville è un posto brutale, e le speranze sono destinate a rimanere deluse.

Gary fa un sorriso malvagio e con un gesto fulmineo stacca la testa alla bestiola, poi lancia il corpo decapitato addosso a Michelino, imbrattandogli di sangue la maglietta.

E in quel momento qualcosa si rompe nella testa di Mike.

Senza capire più nulla si lancia addosso al ragazzo più grande e più grosso.
Gary è sorpreso dalla reazione di Mike, non aveva mai reagito, non se l’aspettava.

Confuso prova a fare un passo indietro e a schivare, ma Mike carica a testa bassa come un toro, e fa partire pugni rabbiosi alla rinfusa.

Molti vanno a vuoto, ma un destro colpisce il bullo alla bocca dello stomaco, e Gary per un attimo perde il respiro e abbassa la guardia.
E allora Mike lo colpisce col sinistro in piena faccia, e gli spacca un dente.

Incurante del dolore alla mano continua a colpire, con tutta la rabbia che ha, di nuovo con il sinistro gli spacca il naso, poi il destro alla mascella.

Gary va a terra, tra lo stupore generale: la Fatina – dieci anni – ha steso Gary Flovers.

Ma Mike non si ferma, gli salta addosso e continua a colpirlo alla faccia, massacrandolo. Qualcuno cerca di fermarlo, ma lui continua a colpire, come impazzito.

Dovranno mettersi in quatto per riuscire a staccarlo dal corpo di Gary, ormai ridotto ad una maschera di sangue.
Da quel giorno nessuno l’ha più chiamato Dirty Mike.
Da quel momento nessuno ha più riso di Big Head Mike.
Quel giorno è morto Mike Fairy Boy, ed è nato Iron Mike.

Mike Tyson, il massacratore.
Mike Tyson, la bestia.
Mike Tyson, per vent’anni incontrastato campione mondiale dei pesi massimi, definito l’uomo più cattivo del pianeta.
Mike Tyson, i cui incontri ancora mi ipnotizzano, con quei pugni che trasudano una sorta di brutale poesia.

Mike Tyson, che aveva un animo gentile, e per dieci anni ha dovuto assorbire tutta la bruttezza del mondo.
E poi di colpo l’ha buttata fuori.

la fatina di Brownsville

StorieDaCaffè