Sono certa che sulla corsa di miguel è già stato scritto tutto e il contrario di tutto.
Perchè la corsa di Miguel è uno degli eventi più belli e partecipati del podismo romano.
Andando oltre al suo significato storico e sociale, guardandola soltanto con gli occhi del podista, Miguel è la gara di casa per me.
Una manifestazione che mi fa correre dove mi alleno ogni giorno, ma a parte questo, l’arrivo dentro lo stadio Olimpico, quel tunnel in cui rimbombano le voci prima di vedere la luce e il traguardo, è una emozione unica, per un romano, per un tifoso, per un non tifoso, per lo sportivo in genere.
La Miguel insegna sport ed emoziona con lo sport ed è per questo che fa dei numeri di partecipanti degni di una gara ben più blasonata, numeri rari per una 10 km.
Ma oggi, a parte la presenza di Gianni Sasso, un monumento alla tenacia, sempre un brivido vederlo correre, sempre una lezione di vita vederlo tagliare un traguardo dopo l’altro, è altro però che mi ha emozionata.
Mi ha emozionata la corsa delle Joelette, la Miguel delle Joelette.
La joelette è una speciale carrozzina monoruota, che permette ai disabili di percorrere km, gareggiare sia su strada che in montagna.
Ma cosa è la Joelette ormai lo sappiamo tutti, ciò che non sappiamo forse è quanto sia complesso portarla, in mezzo a 10.000 runners, su un ponte pieno di sanpietrini, su un percorso con delle curve (anche a gomito).
E’ un gesto di immensa solidarietà, è il regalo più grande che si possa fare ad una persona che non può praticare sport o che non può più praticare sport, è una delle più alte forme di inclusione, di solidarietà sociale, di altruismo senza alcun tornaconto personale.
Ho pianto oggi vedendo arrivare le Joelette ma in particolare vedendone una, una squadra i cui portatori indossavano quattro maglie diverse, quattro maglie di conosciute squadre romane: Purosangue, Bancari Romani, Go Running ed LBM.
Li ho visti arrivare stanchi e sudati, in 46′ che hanno fatto esultare il loro pupillo, esultare e ballare mentre loro.
Li ho visti, dietro gli occhiali scuri avevano gli occhi lucidi, sotto quei muscoli in acciaio e quelle gambe forti c’erano cuori di burro in quel momento.
Mi sono sentita orgogliosa di conoscerli tutti, di essere loro amica, di sapere che avrebbero potuto fare un ottimo personale se avessero gareggiato ma hanno subito detto “si” quando gli èstato detto di correre per altri, per una causa, per un sorriso di un’altra persona.
E mi sono sentita ancora più orgogliosa quando hanno scelto di sfoggiare le loro maglie, ciascuno della propria squadra, senza divisioni per una causa.
Senza divisioni, perchè lo sport unisce, non divide. Perchè potranno fare tutte le polemiche del mondo, tutti le discussioni del mondo, ma lo sport è come l’amore: VINCE, sempre.
Peppa Randazzo