“Chi ha paura del dottore?” Io.
C’è un giorno ogni anno in cui dobbiamo fare i conti con il nostro cuore, il giorno del certificato medico agonistico.
Ogni anno ci vado con l’angoscia nel cuore pensando “Questa è la volta che mi ferma” o cose ancora più orribili tipo “E se sono malata di cuore?” – “E se quel tonfo al cuore che ho sentito dopo le ripetute è una extrasistole sopraventricolare che mi costringe a limitare se non a depennare dalla mia esistenza la corsa e ogni genere di sport conosciuto relegandomi su un divano unto e polveroso con i piedi per aria mentre mi ingozzo di triplo fritto e gasatissima coca cola mentre tutto il mondo è fuori ad allenarsi e io sono qui inchiodata ad una croce sempre più pesante e guardo tutti i miei sforzi vanificati mentre il mio corpo assomiglia ogni giorno di più a quello di Bud Spencer che interpreta Piedone d’Egitto?”.
Respira.
Ogni anno la stessa storia. Conosco ogni mio punto debole, ogni sfumatura del mio battito cardiaco rigorosamente monitorato dal mio cardiofrequenzimetro, ogni respiro, ogni malanno con cui convivo e che da extrasistole per sua natura.
Quando Dio ha inventato la tiroidite e la gastrite autoimmune per punire chi passa la vita ad autoflagellarsi ha detto “il vostro primo sintomo sarà l’extrasistole” e lo ha stampato a fuoco sul DNA dell’autoflagellante di turno come nemmeno Sauron è riuscito a fare sull’anello del potere.
In questo caso l’autoflagellante sono io e i miei ormoni combattono a colpi di cannone il mio stomaco e la mia tiroide convinti che la vittoria della battaglia gli porterà onore e gloria quando invece sarà l’apocalisse per loro e per me, o quanto meno una gran rottura di scatole.
Quando sta per avvicinarsi il giorno della visita arretro e scalcio come un mulo. Credo che il mio cane sia più coraggioso di me quando lo porto dal veterinario, anche se è pur vero che è un mercenario che per un biscotto si venderebbe padre, madre e sette fratelli e probabilmente rilancerebbe regalando anche i suoi due umani.
Ho la fobia del cuore.
Nel senso che se vedo un documentario sul cuore vado automaticamente in fibrillazione e come minimo mi prende un attacco di panico. Sono anni che è così, se devo fare un elettrocardiogramma faccio respiri corti e brevi mentre scruto la faccia del cardiologo per tentare di scoprire, dal suo sguardo severo, se ho una cardiopatia incurabile.
Ho anche una parte razionale che mi dice che il certificato medico sportivo non si fa solo per gareggiare ma per correre con la consapevolezza che è tutto a posto e non stiro le zampe al primo 1000.
Quindi la mia parte razionale è circondata dalle mie elucubrazioni mentali che le girano attorno come uno sciame meteoritico disturbando la ricezione del segnale.
La scorsa settimana c’è stato il mio giorno buio.
È cominciato la mattina. Porto giù il cane e sento un affanno terribile.
“Ecco, lo sapevo, affanno perché il cuore non ce la fa, stasera mi dirà che è tutto un disastro, che mi devo fermare, che ho avuto una nuova forma occulta di Covid 19 2.0 che non si manifesta ma lascia una scia di sintomi tra cui campeggiano in cima alla lista affanno e stanchezza a lettere cubitali illuminate a Led”
La mia parte razionale cerca di comunicare con l’astronave madre ricordando che la mascherina FFP2 ha una trama piuttosto fitta che praticamente impedisce la respirazione riducendoti ad un asmatico allergico in primavera, ma il segnale è disturbato dallo sciame meteoritico ipocondriaco che cancella i dati inviati a meno di un minuto dalla loro trasmissione.
Chiedo a Divanoman di accompagnarmi. Devo arrivare bella stressata se voglio essere al peggio della mia condizione e sviscerare ogni possibile problema. Dirò solo il titolo del film che voglio citare. Fast and Furious.
Quando non è sul divano, divanoman si trasforma in pilota esaurito e folle che ti fa arrivare a destinazione nel più breve tempo possibile, ma con i capelli bianchi e alle soglie di un infarto del miocardio, sempre che prima qualche autista più esaurito di lui non apra un buco in testa a tutti e due. Lui alla guida non perdona. A suo dire “educa”, a mio dire “logora” il mio sistema nervoso.
Arriviamo allo studio medico, sono temprata a dovere, compiliamo la cartaccia burocratica, mi chiedono l’esame delle urine. C’è una sola cosa che dimenticherai sempre quando vai a fare la visita per l’idoneità, questa cosa è l’esame delle urine. Non importa quante volte tu l’abbia fatta, ogni volta che devi fare la visita medico sportiva è sistematico che sei così preso dal risvolto cardiologico che lasci il referto delle analisi delle urine sul tavolo da pranzo, a migliaia di miglia dallo studio medico dove inesorabilmente dovrai tornare. Stavolta no.
Me lo sono legato al collo come la fiaschetta del San Bernardo perché al solo pensiero di riattraversare Roma a qualsiasi ora, in una macchina guidata da divanoman, mi tornano gli attacchi di panico. Gli do le mie analisi, gli elenco le patologie dalla settima generazione della mia famiglia citando tutto l’albero genealogico fino a me, gli dico che non fumo cercando quella occhiata di approvazione che non trapelerà mai e poi mai dal suo volto severo e mi appresto a farmi visitare.
Mi misura la saturazione. Nonostante lo smalto e il doppio giro della morte in macchina con Divanoman, la saturazione è 98. Resto sorpresa.
È la volta del cilindro di cartone. Respira forte e soffia più forte che puoi. Il risultato è peggiore di quello di un ultranovantenne con l’enfisema che ha appena finito il suo terzo pacchetto di sigarette quotidiano, ma a quanto pare è sufficiente.
Non traspare nulla dal suo viso, provo a sbirciare, ma me lo rende impossibile. Salgo sulla bike e ogni volta che volgo lo sguardo in direzione del monitor con le orrende sinusoidi del mio battito, lui alza il livello di difficoltà. Devo pedalare con la mascherina e affanno da matti, mi giro di scatto e leggo un 130. Pensavo sinceramente di stare a 180. Le gambe vanno da sole. La mia caparbietà mi impone di non fermarmi anche quando la bike è durissima e i pedali non girano più. Mi ferma e mi fa fare il defaticamento.
“Va bene Ludmilla, è tutto a posto”
“Che vuol dire?”
“Che stai benissimo, puoi correre senza problemi, non rilevo extrasistole sotto sforzo, sei andata alla grande, sei idonea”
Lo sciame meteoritico è terminato e la mia parte razionale riesce a trasmettere un messaggio di coraggio. Ludmilla cuor di leone.
“Dottore, possiamo dare un’occhiata a questo cuore? Non ho mai fatto un’ecocardiogramma. Forse è il caso di cominciare, sa…i precedenti in famiglia non sono dei migliori”
Il dottore, armato di santa pazienza mi fa stendere sul lettino, prende la sonda e mi guarda il cuore. È meno spaventoso di quanto credessi, pensavo fosse più piccolo invece a quanto pare ho il cuore grande, questa cosa è buffa.
“Dottore è tutto a posto?”
“È bello”
“In che senso?”
“Che è un cuore in forma, allenato, è a posto direi”
“Domani posso fare le ripetute?”
“Se proprio ti fa piacere…”
Io amo le ripetute.
Ludmilla Sanfelice