Ho aperto la gabbia e sono volata via…solo per un po’

Se penso di aver corso per 42km, anche se solo una volta nella vita, essere “volata via” per 140 metri mi fa sorridere.

Ieri mattina mi sono svegliata con la solita voglia di far nulla che avvolge queste giornate surreali, piene di un sole che non possiamo sentire sulla pelle, avvolte in un silenzio che stordisce, cariche di luci e suoni nuovi che stupiscono.

Prendo Peppe, mi vesto quasi sopra al pigiama per portarlo giù prima che faccia danni, e cominciamo la nostra passeggiata.

Ritiro le buste della frutta e della verdura che mi ha portato Carlo, il mio ortolano di fiducia, e sua moglie mi dice “Non corri più?”

Quella domanda mi riecheggia nella testa.

Penso a tutte le rampe di scale che ho fatto per non perdere tono, per aumentare la resistenza, per non perdere peso, penso a tutte le volte che ho sognato di correre libera e sola in queste giornate surreali.

Si perché mi sembra che qui si dia per scontato che a noi runners piaccia correre in gruppo.

In realtà ci sono dei momenti conviviali meravigliosi, ma dei momenti di voglia di solitudine, di necessità di incontrare i propri pensieri, di sentire il proprio respiro, di trovare un contatto con il proprio io profondo che si conciliano benissimo col silenzio delle strade vuote e con il sole e il canto degli uccellini a primavera.

Mi risveglio. Ripeto tra me e me la domanda. “Non corri più?”.

La guardo quasi persa e le dico che preferisco evitare il più possibile di uscire, per mamma anziana, per le multe che non mi va di regalare e per le limitazioni che un po’ mi stanno strette e un po’ non sono chiare.

Quasi non mi ascolta.

Continua però inconsapevolmente a stuzzicarmi… “Venendo giù da Velletri stamattina non sai quanti ne ho visti che corrono, presto, quando non c’è nessuno. A te piace tanto, se rimani qua sotto chi ti vede?”

Si perché in realtà ne vedo tanti anche io.

Stamattina ho visto uno in pantaloncini con una camel bag sulle spalle. Forse veniva da Velletri anche lui come Carlo e sua moglie, anche se saliva su dalle scale della metro. Certo che…Piacerebbe anche a me riprovare quella sensazione.

Sentire le gambe che si liberano come le zampe di un puledro, il respiro che affanna, i piedi che mordono il terreno, il sudore che mi riga il viso.

La saluto, torno verso casa. Due buste pesantissime, Peppe che mi tira di qua e di la. La svogliatezza che mi pesa sulle spalle come un cappotto nero bagnato.

Davanti al cancello c’è il portiere del mio stabile. Piero.

“Lo sa signora che ho visto uno che correva con le converse? Stamattina. Certo che stanno uscendo proprio tutti! Ma lei non va più?”

Eccone un altro.

Ma stamattina chi vi ha mandati tutti?

Mi comincio ad innervosire. Mi sto innervosendo. Ok ho i nervi a fior di pelle. Sono stanca. Stanca di vedere gente che inforna roba da mangiare in mille post su Facebook, stanca di sentire lamentele sulla clausura, sulle multe, sui metri di distanza da casa. I social.

Questi nemici della vita semplice che danno una voce a tutti, ma proprio tutti e ti soffocano con le stesse domande senza risposta ripetute senza sosta fino allo sfinimento.

La tv che incessantemente ripete messaggi pseudomotivazionali che dovrebbero spingermi a comportarmi in maniera corretta e responsabile ma hanno un unico effetto su di me, che sono una tossica in crisi d’astinenza.

Fomentare la rabbia.

“Perchè agli italiani piace rispettare le regole” ma dove? ma quando?

Dal vecchietto con la mascherina da notte di seta rossa al posto della mascherina chirurgica a quello che la tiene a mo di sciarpetta da tirare su al momento opportuno, come quando negli anni 80 o 90 si portava il casco al braccio e lo si metteva su a 100 m dal posto di blocco.

Riprendo coscienza. Di nuovo.

“Si Piero lo conosco quello con le converse che ciondola con la tuta di acetato avanti e indietro per il quartiere. Beato lui che non se ne importa di nulla”

“Io fossi in lei andrei.”

Risuona come un invito. Come una mano tesa che mi invoglia a raggiungerla. In effetti potrei.

“intanto porto a casa il ragazzo…vedremo”

Porto a casa Peppe. Gli levo il guinzaglio, disinfetto le zampette con le salviette alla clorexidina per animali e non con la candeggina come consigliano i mostri della tv.

Mi siedo.

Mi viene in mente quello che chiamiamo il matto. Uno che corre in pantaloncini a torso nudo alla vigilia di Natale insieme al suo cane. Una persona simpatica che ama correre come me. Originale come pochi. Con un cane educato come pochi. L’ho incontrato e mi ha detto che lui corre lo stesso e che la cosa lo fa stare bene. “Tanto la multa non me la fanno!”

Voglio essere matta anche io. Voglio uscire. Il sole mi chiama, sono stanca di pixel e Led. Di gente che parla senza sosta, senza prendere fiato. Sono stanca delle stesse domande.

Voglio aprire la gabbia e volare via…per un po’.

Vabbè. La maggiore restrizione è 200m.

Se non vado sulla strada principale non incontro nessuno. In realtà posso rimanere in prossimità del portone. 140 metri verso destra e 140 verso sinistra. Avanti e indietro. Uscendo dalla gabbia sono prigioniera in una stanza, ma è comunque un ambiente più grande. Allaccio le scarpe e apro la porta.

Non resisto più. Comincio a correre già dal primo portone interno. Le gambe spingono. Non vedono l’ora. Non mi interessa il tempo, o la distanza. Voglio solo la libertà. Come quando apri un recinto ed escono fuori i cavalli al galoppo. Sono i miei unicorni, quelli della mia mente, tutti colorati che vanno.

Carlo ha spostato il suo furgone più avanti. Sta consegnando i pacchi lungo la via. Mentre vado sua moglie mi vede e mi incita “Daje bella!” Vado ancora più forte.

Giro e torno indietro.

Nella piazzetta vicino casa c’è il portiere con la moglie, mi guarda e sorride. Si sente un po’ meritevole per quel sorriso e quella luce di gioia che mi circonda come un‘aura.

Sembro una bambina sulla giostra. Una giostra da cui non vorrei mai scendere. Una giostra che gira in tondo ma non mi annoia mai.

Sorrido, mordo il terreno, per un attimo il cappotto bagnato è per terra e non mi opprime più. Il sole è dentro e fuori.

Domani mattina ritorno.

Dopodomani mattina ritorno di nuovo.

Avanti così fino al 4 maggio, avanti così fino a riguadagnare gli spazi aperti, i parchi, gli allenamenti, le gare, le mangiate con gli amici stanchi ma felici.

Ogni giorno un passo, ogni giorno taglio via un pezzo del cappotto nero, ogni giorno più leggera.

Ludmilla Sanfelice

 

Lui è Peppe
Ludmilla Sanfelice
Un giorno senza sorriso è un giorno perso. Non importa quanti pesi portiate sulle spalle, la vita è un battito di ciglia e va vissuta in ogni istante. Come l’ho scoperto? Allacciando le scarpe e cominciando a correre. Run Lud Run! Ogni giorno una nuova storia aspetta di essere raccontata.