Giampiero Orsino, i figli e la fatica di continuare a correre

Sono cresciuto con la passione per la corsa. Non ricordo dove sia nata precisamente, credo tra le montagne, credo prima di trasferirmi al mare con la mia famiglia.

Mio padre ha iniziato con: “Domenica c’è una campestre, vuoi andare? ; “Sì, dai, allora devo allenarmi!” risposi. Credo fosse già mercoledì. Fu così che iniziai: ai vostri posti, pronti, via. Secondo, senza allenamento e forse anche senza riscaldamento.

Ho alimentato da solo quella passione, guardando Antibo in TV, divorando giornali di classifiche e gare, sognando di diventare come loro, i campioni. Un giorno prendo la cornetta del telefono, chiamo colui che sarebbe diventato il mio allenatore.

Avevo 13 anni. “Pronto?!” “Voglio correre professore”. “Vieni domani nella palestra del liceo con tuo papà”. È iniziata lì, ho corso con i più forti, molto più forti di me. Giacomo, Ottavio, Antonio e poi Mimmo, Domenico, Francesco. Tutti uniti da una passione: correre, superare, essere, diventare.

Abbiamo scritto pagine stupende della vita, abbiamo anche dovuto piangere, tanto, per colpa di un avversario scorretto. Alcuni lo chiamano destino, per paura o per timore, io a distanza di anni non so ancora dargli un nome. Ma abbiamo continuato a correre, per noi e per gli altri, come i nostri amici avrebbero voluto.

Siamo diventati uomini, ci siamo divisi su strade parallele tutte unite dal filo rosso, quello di un tartan che ha conservato nelle nostre narici un odore unico e indimenticabile. Corro ancora oggi, sono rimasto in quel mondo e in quello del diritto che appartiene a quel mondo.

Ogni volta che allaccio le scarpe ritorno a quel giorno. “Domenica c’è una gara, vuoi andare?”.

Si, voglio andare, voglio correre. Torno indietro nel tempo, correndo nel domani in attesa di sentirmi magari dire da mio figlio: “Papà, voglio correre”‘. Va bene, ma vai piano…almeno all’inizio vai piano, poi aumenta, aumenta, aumenta la tua passione e ama ciò che fai.