Figli e l’abbandono della fatica, dialogo tra gente di sport

A seguito di un articolo pubblicato la scorsa settimana sull’abbandono sportivo di un adolescente, nei giorni successivi si è acceso un intenso dibattito tra i nostri lettori.

Il contributo era una lettera ricevuta in redazione, scritta da un padre che si dichiarava dispiaciuto delle decisione del figlio diciassettenne di lasciare l’atletica, in particolare i 400 metri piani.

L’articolo che ha fatto da sfondo al dialogo

Mio figlio ha smesso di correre

Tra i diversi commenti, tutti pacati e molto costruttivi, abbiamo scelto lo scambio tra due uomini di sport, nonchè genitori.

Alberto Regola: Purtroppo i ragazzi a quell’età, e anche prima, sono in dropout, smettono di fare sport.

è spiacevole ammetterlo ma gli studi ci dicono che chi smette prima, lo fa spesso perché inizia troppo presto con l’agonismo, con le gare e con la competizione sfrenata e fomentata da allenatori, società e genitori. Oltre a specializzarsi troppo presto in uno sport (sempre gli studi ci dicono che fino ai 13/14 anni non ci si dovrebbe specializzare ma sperimentare vari sport).

In Italia invece vogliamo i campioni subito a 14/15 anni e poi ci stupiamo se non diventano campioni quando servirebbe, ovvero da senior. Siamo indietro anni luce, non abbiamo cultura sportiva e pensiamo di avere campioni a 17/18 anni, quando invece i ragazzi dovrebbero vivere la loro vita. Magari sarebbe utile guardare al modello sportivo norvegese e imparare da loro….

Mario Benati : quello che lei riporta non corrisponde alla verità statistica. I migliori nelle competizioni giovanili italiane (cadetti) hanno il minor drop out nel proseguo e questo è un dato inconfutabile. Il problema del drop out in Italia nell’atletica è di tutt’altra natura. È legato al sostegno infimo o nullo che scuola e specialmente Università (tranne in qualche fortunato caso) danno ai giovani atleti, al contrario di quello che succede in altre nazioni, come per esempio la Norvegia.

Alberto Regola: in Norvegia fino ai 13 anni sono vietate le gare agonisti in ogni forma. Le consiglio di leggere la carta dei diritti dei giovani sportivi che tutte le società sportive norvegesi devono firmare e sottoscrivere se vogliono essere affiliate a quello che è il corrispettivo del nostro CONI. Li fanno crescere, divertire, acquisire molteplici schemi motori e sviluppare in modo adeguato il fisico senza andare a sollecitare sempre gli stessi gruppi muscolari (leggi specializzazione precoce in una sola disciplina sportiva). Ed evitano di farli competere presto perché hanno visto, tramite la ricerca scientifica in ambito psicologico, che fino almeno ai 16 anni non sono in grado di elaborare in modo adeguato nè la vittoria né la sconfitta. Pertanto vogliono evitare di “bruciare” potenziali talenti, preferendo che arrivino a vincere quando conta (Olimpiadi e mondiali senior) anziché quando è fine a se stesso (competizioni giovanili). Vada a vedere il rapporto medaglie olimpiche e mondiali su totale della popolazione norvegese…..
Infine, sempre la ricerca scientifica ci dice che delle giovani superstar in età giovanile, pochissimi diventano superstar a livello senior, sempre in rapporto ai giovani che non hanno risultati eclatanti a livello junior e poi diventato superstar a livello senior.

Mario Benati la ‘ricerca scientifica’ in questo campo è spesso fatta da persone che sanno poco di statistica e matematica, anzi diciamo pochissimo.

Il concetto di ‘pochissime’ superstar a livello giovanile è di ordini di grandezza superiore alle ‘estremamente pochissime’ superstar a livello senior. Basterebbe un ripasso su funzioni iniettive e suriettive e cardinalità degli insiemi per ribaltare queste considerazioni.

Le probabilità del primo della categoria cadetti di emergere a livello senior sono maggiori di quelle del secondo, e così via, con una funzione monotona decrescente che mi rendo conto dispiaccia nella sua crudità. Questo non significa che ogni cadetto ‘forte’ diventerà ‘forte’ (e questo concetto deve essere espresso con insiemi equipotenti…) da senior, né che un cadetto non ‘rappresentato’ non ha possibilità, ma che le probabilità sono a favore di quello ‘forte’ in maniera smaccata; e così anche per il drop out.

Questo è vero su uno studio (con criteri matematici) per le categorie cadetti del 2005, 2006, 2007 in Italia, si possono trovare su Queen Atletica, pubblicato qualche tempo fa.

Inoltre, una prova semplice è quella della ‘funzione inversa’: veda, per esempio, la graduatoria mondiale all time dei 100 mt. maschili e prenda i primi 50.

La cosa stupefacente è quanti di loro andavano fortissimo da giovani. Riguardo la Norvegia, confesso che non conosco la legislazione vigente e quindi seguirò il suo consiglio. Muovendomi per aneddotica, tuttavia, ho ben chiaro il ricordo delle imprese giovanili degli Ingebritsen, con l’allievo Jakob ora campione olimpico, partecipare al Campionato Europeo della categoria superiore nei 1500, nei 300o siepi e nei 5000!! E ricordo Warholm (Campione Olimpico) fare i 400 della gara individuale ad un Europeo giovanile dopo i 400 del Decathlon (!). Inoltre, si vede che non aveva letto gli studi psicologici sopra citati, perché gareggiava eccome prima dei 16 anni, senza evidentemente avere subito grandi traumi.

Mi rendo conto che l’aneddotica non fa statistica, tuttavia i due esempi sono emblematici. (PS.: se qualcuno dice che fare il Decathlon ad un Campionato Europeo non è specializzazione lo prego di farlo in questo post).

Alberto Regola: sapevo che sarebbe arrivato a Ingebritsen e Warholm, abbastanza scontato. Non bisogna però confondere gli “unicorni” (che potrebbero prevalere anche in altri sport, come ad esempio Adam Ondra bela caso dell’arrampicata) con le superstar che unicorni non sono…. Tant’è che i fratelli di Jacob, pur allenati come lui dal padre, non sono al suo livello. Yemen Crippa giocava a calcio fino si 12/13 anni, Jacobs ed esploso 2 anni fa (con risultati discreti prima ma meno di Tortu ad esempio). Come detto prima, visto che si interessa di statistica, faccia il calcolo delle medaglie della Norvegia alle ultime Olimpiadi invernali e vedrà che il rapporto medaglie/abitanti è impressionante. Quando devono vincere, sono pronti. Delle gare giovanili hanno poco interesse, perché sanno che gli atleti sono tali (unicorni a parte) dai 20 anni in su, se non addirittura dopo! Se poi vogliamo discutere sull’arretratezza sportiva e culturale del nostro paese, allora sfonda una porta aperta. Ma non diamo la colpa solo alla scuola o all’università, perché purtroppo anche a livello di società ed allenatori federali, di parecchie discipline, il livello di competenza è ben al di sotto della decenza……

Mario Benati: mi permetta un’ultima replica e poi mi taccio: sono anni che giro in Europa, e giovani europei norvegesi, inglesi, spagnoli, gareggiano senza problemi in categorie giovanili (EYOF, E18, E20, Mondiali), con risultati spesso ottimi, senza essere unicorni, non si lamentano di turni di 400 mt a distanza di poche ore, gareggiano in casa loro su distanze olimpiche a partire da età bassissime, non come da noi dove sembra che fare un 300 da cadetto sia meglio che fare un 400 o un 200. Le rispettive federazioni pubblicano statistiche sui risultati da età da scuola elementare, senza paura che questo turbi le loro giovani menti o invogli i loro allenatori a lottare per i favolosi guadagni e/o il poderoso ritorno mediatico. Sono generalmente consapevoli che l’attività atletica può finire da un momento all’altro e studiano spesso con profitto, supportati da federazioni e università. Grazie comunque del confronto educato e con argomentazione. A presto

Alberto Regola a me piace confrontarmi con persone come lei, che purtroppo si trovano raramente sui social! Fa sempre bene avere confronti con chi si impegna e si spende per lo sport. Io personalmente vedo i dropout come un insuccesso per tutti quelli che lavorano nell’ambito sportivo. Forse, e lo dico avendo girato spesso da corridore prima e da tecnico in arrampicata poi, dovremmo essere meno pressanti coi ragazzi e capire che il vero atleta è quello che ha,non solo successo, ma anche una carriera lunga. Vedo troppi ragazzi promettenti fermarsi a 20 anni perché non supportati da società, federazioni e famiglie. Non va bene. Purtroppo.