Due donne e 80 anni di identità diverse

La scorsa settimana ho accompagnato mia figlia a fare la carta d’identità elettronica.

Allo sportello, un solerte impiegato ha registrato i suoi dati e scansionato le impronte digitali, creando così un documento che porterà con sé molte informazioni personali, senza il rischio di rovinarsi nel tempo.

Nello stesso momento mia madre mi ha mandato la foto che vedete in copertina.

Lei è la mia bisnonna, e il documento è stato ritrovato tra le cose di casa, chiuso in una scatola.

Venne rilasciato dal Podestà del paese in cui viveva la mia bisnonna ed emesso dal Regno d’Italia il 23-02-1939.

Aurelia, così si chiamava, in quella foto aveva 37 anni, un marito reduce dal primo conflitto mondiale, tre figlie di cui la maggiore, di 15 anni, era la mia nonna.

Da lì a poco Aurelia si ammalò di un brutto male che non le lasciò scampo; nel frattempo l’Italia entrava in guerra per la seconda volta e tutto divenne fame e disperazione per un paese intero.

In Italia la carta d’Identità era stata introdotta dal Regio Decreto n. 773 del 18.06.1931.

Come riporta la bella calligrafia sulla copertina, quella era la Carta D’Identità numero 26 emessa dal Comune di Mentana dove la mia bisnonna viveva con la sua famiglia.

Mi piace pensare che Aurelia decise di farsi il suo primo documento mossa da una timida coscienza civica, comandata anche dalla paura crescente di un’altra guerra alle porte.

Infatti, circa un mese prima, il 2 gennaio, Mussolini aveva aderito al patto Patto d’Acciaio con la Germania, e l’Italia entrò ufficialmente in guerra il 22 maggio dello stesso anno.

L’effetto che fanno le vecchie foto dei nostri nonni è sempre lo stesso: ci sembrano molto più vecchi, loro, dell’età che avevano, e tutto è avvolto da un fascino rurale e semplice come era la società di quegli anni.

L’Italia nel 1939 stava vivendo una situazione economia catastrofica: 20 anni di fascismo, la guerra in Etiopia del 1935, l’intervento in Spagna tra il 1937 ed il 1938 e la presa dell’Albania nel 1939 avevano compromesso la tenuta del paese.

Aurelia era figlia di contadini, sposata con un contadino e le tre figlie avrebbero seguito il suo stesso destino.

Tra la carta di identità elettronica di Giulia e quella della mia bisnonna sono passati 82 anni che se ci pensate sono nulla… ma ci fanno capire meglio quale fosse il ruolo delle donne in quell’epoca.

La risposta sta scritta sul documento voluto dal Re, dove, alla voce PROFESSIONE, c’è scritto: DONNA DI CASA.

Sì, perché la funzione delle donne in quella società rurale era di procreare ed occuparsi della casa.

Non esercitavano una professione, se non di insegnanti o domestiche, non avevano il diritto di avere un conto corrente o libretti di risparmio se l’agiatezza della famiglia lo consentiva, non votavano, non avevano alcun ruolo nella società civile. Anche se pensate come “angeli del focolare”, viste come sante, la loro condizione giuridica era spaventosamente misera.

Insieme a mia figlia abbiamo confrontato e commentato i dati che sono stati registrati sul suo documento elettronico e quelli scritti a mano con il pennino su quello di Aurelia nel 1939.

Il pensiero è andato subito a cosa è successo in poco più di 80 anni.

Quante battaglie sono state combattute a favore dell’emancipazione femminile e quante ancora se ne stanno combattendo sulla pelle e nelle coscienze di milioni di donne nel mondo, di quelle donne che ancora oggi vivono la precaria situazione di chi deve solo essere “donna di casa”.

Mi piace pensare che tra 82 anni i nostri pronipoti troveranno quel documento elettronico prodotto nell’aprile del 2021 e grazie ad esso rileggeranno la storia di un paese che, al pari delle conseguenze di decisioni fallimentari di un dittatore, è a pezzi per colpa di un nemico invisibile che ci ha tolto la serenità e oscurato le prospettive.

Mi piace pensare che la ragazza di oggi sarà la persona adulta che avrà fatto valere i suoi diritti di donna domani.

Che sarà stata in grado, insieme alle sue coetanee, di risollevare le sorti di un paese sfaldato e che avrà raggiunto i suoi traguardi senza aver dovuto sgomitare o avvalersi di favori altrui, combattendo le sue battaglie quotidiane ad armi pari nel mondo del lavoro e nella società civile.

L’aprile del 2101 ci sembra impossibile anche solo da pensare, per la rapidità con cui cambia la nostra giornata, per i fatti che ci stanno facendo arretrare socialmente.

Sono certo che la consapevolezza di oggi, il senso civico evocato a seguito del Covid e la cultura dell’uguaglianza tra le tante anime della società saranno la macchina del tempo che nei prossimi 80 anni condurrà tutte le donne fuori da quelle case che le vogliono ancora sante, devote e schiave di uomini.

Marco Raffaelli
Appassionato dello sport e di tutte le storie ad esso legate. Maratoneta ormai in pensione continua a correre nuotare pedalare parlare e scrivere spesso il tutto in ordine sparso