Dipinti in cerchi. Seconda puntata

Malvina ha deciso di cominciare dal rione Steinach, come a seguire un ordine cronologico per scoprire la città ma anche una scelta obbligata per via dell’alloggio a lei assegnato. Passa sotto Porta Passiria e sorride per il rumore dei tacchi sul selciato. Si sente scomoda e fin troppo etichettabile con il suo trolley che fa più rumore dei tacchi ma non fuori luogo, sembra il manifesto di un arrivo in città, gli occhi curiosi, il passo non lento ma necessariamente sospeso dall’incertezza sulle strade da prendere per raggiungere il suo appartamento, visto così tante volte dal computer e dal telefono che non sembra quasi vero possa avere una dimensione di realtà, peso e odore.

Inquadra da lontano Villa Iolanda e legge, alzando lo sguardo verso la targa su un palazzo bianco, la conferma che è proprio nella via che sta cercando: Passeggiata d’Inverno.

Si sente avvolta da vibrazioni promettenti mentre attraversa il ponticello che la conduce all’ingresso del villino color ocra. Anche l’aria le sembra ocra, così sospesa e densa com’è. Mentre si introduce nell’appartamento che la ospiterà a Merano, il ritiro delle chiavi, la sorpresa di sapere che è al piano terra, si rende conto che non sa minimamente se questa sarà una parentesi lavorativa, se invece sarà l’inizio di un capitolo più definitivo che la spinge a pensare che non tornerà mai più.

Sui tempi Jorge Carrasco non si era dilungato più di tanto: le prime due settimane per le ultime battute della preparazione, le ultime scelte di casting, i colloqui, la messa a punto della scenografia, sbirciata da alcuni scatti e vissuta come un sogno psichedelico. E poi il via all’esperimento vero e proprio. Esperimento, novità, la storia dello spettacolo che cambia direzione, una mutazione che potrebbe incontrare il favore del pubblico immediatamente o scandalizzare per la commistione inedita di forme di intrattenimento. Malvina ci aveva creduto subito, invece. Altro che scandalo, soltanto la forza dell’idea di Jorge servita da un apparato produttivo meno faraonico di quanto si possa pensare ma coraggioso nel portare avanti la scelta di base: surclassare il confine tra vero e verosimile, fregarsene e far interagire, in un copione esibito, come in uno spettacolo teatrale, dieci attori personaggi. E farli andare avanti per mesi, nello stesso posto. A ricreare nel Kurhaus di Merano una residenza anni ’20 di Bloomsbury, Londra.

Filmare gli attori personaggi come in un reality, toglier loro la luce di notte, costringerli con delle prove ad uscire e a rientrare dal copione, mescolare professionisti a non professionisti, ricreare lo spirito democratico e irriverente di “quelli di Bloomsbury”. E, improvvisamente, senza avvertire gli attori personaggi, far entrare nelle sale del Kurhaus il pubblico, negli snodi chiave del copione, tirando allo spasimo la corda della distanza e della vicinanza tra spettatore e “spettato”, giocando con la resistenza e con il pudore, col corpo dell’attore messo a nudo quanto la sua anima, con la persona che ha l’obbligo del personaggio, come se ne fosse dimorato ed innamorato fino alla fine, fino all’osso.

L’unica ad aver sposato, senza battute d’attesa e senza spiegazioni ulteriori, la visione di Jorge Carrasco era stata proprio Malvina. Entusiasmo per questa esperienza ai limiti, per l’eleganza della scelta del canovaccio da seguire e dei personaggi a cui dar vita, per l’inedita combinazione di cinema, teatro e televisione, come a mangiarsi tutti i precedenti.

Contenuti alti ed estremi, l’intellettuale, e l’attore con lui, che si presta, ma fino a un certo punto, alla curiosità meschina del telespettatore, l’invasione del reality con mezzi e trucchi cinematografici e orizzonti culturali raffinati. Jorge Carrasco aveva imposto da subito che il tutto doveva essere la rievocazione filologica, quantomeno negli ambienti, nei costumi, nei quadri, della comune di Bloomsbury. E, insieme a Malvina, aveva girato l’Europa alla ricerca di una location che fosse adatta o quantomeno adattabile e soprattutto libera per un tempo non definito. Un luogo in cui montare delle scenografie reali alternate a sale che saranno occupate dai nuovi mezzi di cui tutti parlano. 2 palazzi del ‘700 a Vienna, un casolare nella campagna della Provenza, una fattoria a Sitges, una masseria sul Gargano erano, per così dire, arrivati in finale, curiosamente nessuna ricerca in Inghilterra, comprese tre sortite a Bloomsbury, aveva prodotto frutti significativi. Alla fine, Jorge che tira fuori come un coniglio dal cilindro il Kurhaus di Merano. Costi meno alti e spazi molto più ampi: entra nella Sala Ohmann e gli prende un colpo perché “vede” la stessa intimità degli spazi di Charleston e di Bloomsbury, immagina le voci delle sorelle Stephen e dei loro invitati, i fruscii dei tessuti, i colori dei tappeti.

Elegge quel luogo a unico luogo possibile per il progetto. Immagina che il gruppo si sposti nella Sala Kursaal per i balli e le cene di gala, allargando la cerchia degli eletti ad un possibile pubblico. I cinque incontri trattativa con il Comune di Merano si erano risolti, in tempi accettabili, in un placet piuttosto lungimirante per l’amministrazione, che avrebbe avuto i suoi introiti immediati dalla produzione e i suoi ritorni, in termini di esposizione mediatica e turismo, sulla media durata. A far sì che l’attesa del progetto amplificasse la sua portata, ci aveva pensato il direttore creativo dell’omonima maison Michelangelo Bach, dando il suo appoggio a Carrasco in fase embrionale.

La fissazione per “quelli di Bloomsbury” di Bach era, da tempo immemore, pari a quella di Jorge per cui la presenza di un nome dell’alta moda così alto era veicolo sia di curiosità che di garanzia della qualità del progetto. Quando Carrasco portò Bach nella Sala Ohmann e a visitare tutto il Kurhaus, la rotonda, la sala degli specchi, la terrazza e tutti gli altri spazi, Bach si disse pronto a firmare la collaborazione col sangue. Era il posto più giusto che potesse essere immaginato, aveva abbracciato Jorge Carrasco, pieno di gratitudine per palesare la completa disponibilità a partecipare da subito. Malvina ripensa alla genialità e alla capacità di Jorge di contagiare chiunque gli capiti a tiro, a quanto il suo cambio radicale di vita, geografico, di occupazione e personale, sia dovuto a lui, legato a lui. Nessun altro avrebbe potuto portarla via da Napoli così facilmente. Dalla sua vita ordinata ma stimolante. Dalle sue abitudini portate avanti come punti fermi, come un lasciapassare per la solidità emotiva. Il rifiutarsi pedissequamente di scendere ogni mattina dal Vomero al centro di usare la funicolare o gli altri mezzi pubblici per scegliere i 400 gradini della Pedamentina, per vivere ogni giorno la città obliqua, dalla Certosa a Corso Vittorio. Invasa dal silenzio prima e dopo il caos, per mantenere un cuore da turista nella sua città, per fare movimento appena alzati, per sentirsi, in qualche misura, speciali. E la proposta di Jorge la lesse proprio una mattina alla fine dei 400 gradini e le sembrò immediatamente l’occasione della vita, il treno da non perdere, l’azzardo che migliora.

La lista delle cose che le mancheranno non si esaurisce con la Pedamentina: la nuvola densa degli affetti, oltreché dei luoghi, un incarico che viene e che va alla Federico II come ricercatrice in comunicazione, come effetto del master svolto in Inghilterra, un ruolo importante per la sua età all’interno della città come organizzatrice di eventi e punto fermo per le pubbliche relazioni di eventi organizzati da altri. Eppure, spesso le sembrava di vivere la vita altrui. Di non sentirla veramente propria, di meritare un’eco diversa per il suo impegno.

Il successo fin qui raggiunto come una prova generale di quello reale. Aver conosciuto Jorge Carrasco all’Università e guadagnarsene la stima in tre o quattro occasioni, sia accademiche che mondane, all’ombra del Vesuvio, l’aveva fatta crescere. E questo voleva continuare a fare: crescere con lui. Fascinazione reciproca, dacché Jorge aveva trovato in Malvina una spalla perfetta, più di una segretaria pensante, più di un’assistente volenterosa: una persona con idee, in grado di accogliere senza filtri quelle degli altri, di farle andare a braccetto con le sue, facendole diventare reali. Concreta, spiccia eppure sentimentale e altrettanto contagiosa. Le aveva dato la responsabilità di scegliere l’ultimo attore del casting. Ed era stato onerosissimo. Vedere la brama negli sguardi di Fidel e Bengala, averli seguiti fin dal primo provino, vederli superare brillantemente tutti, fino a pensare, era stata sua l’idea, di portarli al programma entrambi, addirittura di scrivere un ruolo in più, un personaggio, o il raddoppiamento dello stesso, un lui allo specchio. Idea impercorribile, a detta di Jorge e banco di prova per Malvina: scegliere il non professionista Fidel, pareggiando così i numeri tra professionisti e non, o il super preparato Bengala, anche regista, di recente balzato alle cronache come protagonista di un videoclip in cui si dà letteralmente fuoco?

Bengala l’assennato e fascinoso, o Fidel e il suo mistero mai apparso prima? L’idea di come toglierne uno dei due le era venuta scendendo la Pedamentina e l’aveva proposta a Jorge: venire a Genova e percorrere la creuza che va da Forte Diamante fin giù al mare, filmando i passi le parole e i pensieri, scritti su un blocchetto, di Fidel e Bengala. Il primo avrebbe dovuto risalire dal centro fin su al Forte, il secondo l’esatto contrario. Circa due ore di cammino nel quale si sarebbero incontrati e avrebbero dovuto improvvisare un dialogo sul canovaccio di due amici che, dopo una lite terrificante, sono sorpresi di vedersi. Raggiunta la meta, avrebbero dovuto fare il percorso a ritroso, rincontrarsi con l’opzione di rappacificarsi una volta per tutte. L’idea era piaciuta a Jorge perché metteva in gioco fattori come resistenza psicologica, orgoglio, rivalità, sforzo fisico e avrebbe potuto avere una bella eco anche sui social, ad aumentare l’attesa. Aveva fatto firmare ad entrambi la liberatoria e il nulla a pretendere sulla pubblicazione di quest’ultima sfida ed effettivamente l’hype per il programma aveva raggiunto livelli insperati. E Malvina aveva compiuto la sua prima, tormentatissima, scelta. Gli occhi di Fidel, il modo di pronunciare le parole e soprattutto i pensieri del blocchetto l’avevano convinta:

non sarebbe una sfida se non fosse la vita. E questo cammino sembra un riassunto delle occasioni che mi si sono presentate. I treni, gli aerei, le navi. Tutte insieme, tutte a sfilare, come in una danza di elementi noti e nuovi. Mi butterò.

Jorge aveva visto il materiale che Malvina aveva preparato ed era rimasto molto soddisfatto. La scelta di Genova come sfondo e della creuza, oltreché dettata da ragioni pratiche, si era rivelata di sconvolgente intensità. E da lì era scattata l’ultima idea genovese: pubblicare i nomi dei prescelti per il progetto su un lenzuolo attaccato al Ponte Morandi nuovo di zecca. Un lenzuolo bianco con i nomi e i cognomi dei finalisti che parte dal suolo del ponte e arriva fino al fiume. Dieci nomi uno dopo l’altro, in stampatello, vernice rossa, enormi e, si direbbe, già popolari. Prima di essi, in corsivo primo ‘900, la scritta con il nome del programma. Il lenzuolo è pronto e verrà spiegato stasera:

Dipinti in cerchi

WARREN SARTOR, PROFESSIONISTA sarà DUNCAN
MARTINA NEVA BALBO, NON PROFESSIONISTA sanarà LYDIA
TOBIA SPILIMBERGO, PROFESSIONISTA sarà SAXON
MICHELLE MONNATI BLANCHARD, PROFESSIONISTA sarà VIRGINIA
FIDEL RISI, NON PROFESSIONISTA sarà THOBY
TESSA DESSY, PROFESSIONISTA sarà VIOLET
LENA CURCI, NON PROFESSIONISTA sarà VITA
NATHAN MERAVIGLI, NON PROFESSIONISTA sarà DAVID
NARCISO TORRISI, NON PROFESSIONISTA sarà VANESSA
ORLANDO SPILIMBERGO, PROFESSIONISTA sarà MORGAN

Riguarda la foto con la lista del cast, si compiace dell’idea dello striscione enorme che parte dal ponte e giunge fin quasi a toccare il torrente. La qualità industriale delle scritte, come un ciclostilato d’antan, l’aggressività invasiva, si direbbe quasi occupante, del tutto, le sembrava un apice di creatività e di stile. Indugia sulle foto dei dieci ragazzi che verranno pubblicate a tappeto sia sui social che sui cartelloni per strada. Volti esibiti e indagati da chi passerà, sguardi pronti a diventare familiari dopo esser stati misteriosi. Irrinunciabili l’attimo dopo che finiranno di essere sconosciuti. Una seduzione capillare, condivisa. Il telefono vibra e appaiono le cinque lettere del nome di Jorge.

-Pronto, sono appena arrivata! L’appartamento è bellissimo, non…

Tutto l’entusiasmo del mondo bloccato dalla prima sillaba.

– Malvina, io non sono in Italia. Son dovuto partire.

Il tono è velocissimo, distante.

– Partire? Oggi? Ma… Jorge, con tutto quello che…
– Mia moglie è morta in Turchia. Sto andando a riconoscere la salma.

Malvina si sente infinitamente piccola. Infinitamente stupida.

– Comincia tutto tu. Non so che tempi avrò. Non so cosa fare, a dirti la verità.
– Immagino come tu stia. O forse no, non lo immagino.
– No, non lo immagini. E’ morta sulla mongolfiera. E’ morta sul lavoro. Non doveva succedere. Non a lei, non a me.
– Certo
– Forse salta tutto.
– Salta tutto?
– Ti richiamo io. A presto.

 

 

Elvio Calderoni
Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.