Domenica 24 novembre in una Roma imbronciata e piovigginosa, annoiata ma vigile, pronta a rovesciarti addosso un acquazzone come si deve se je rode er chiccherone, mi ritrovo con la mia coach e gli amici di squadra a riscaldarmi alla Deejay Ten.
Il clima di gara non è diverso da altre gare a cui ho partecipato anzi, dovessi dirla tutta, è senz’altro meno entusiasmante che alla Corsa dei Santi o alla We Run Rome, per non citare la Miguel con la quale non c’è storia ma che, tuttavia, si svolge in altra parte della capitale.
A pensarci bene di diverso in effetti finora ho visto poco; il pacco gara è come tutti gli altri e forse vi sono più stand che non fanno però più festa che in altre manifestazioni.
Mi infilo tra chi correrà la competitiva e mentre dalla torretta laterale si alternano speaker più o meno famosi che, devo dirlo, si impegnano poco a creare quel clima di entusiasmo che dovrebbe precedere ogni manifestazione podistica che si rispetti, tant’è che pochi alzano le braccia al cielo alla richiesta espressa di “fatevi vedere”, tiro su una serietà da teatro greco, che poco si addice al mio spirito di runner.
Sono concentrata, ho fatto una promessa a me stessa ed ho un obiettivo in testa che non è solo legato al tempo di gara, ma anche alla mia vita.
Sapete quelle scemenze tipo se farò la gara in 50 minuti allora succederà questo se la farò in 51 no, ma se la finisco in 49 allora… non ditemi che non sapete di cosa parlo perché non ci credo!
Per fortuna davanti a me si gira un ragazzone moro con gli occhi profondi che mi guarda e accenna un sorriso … e come si fa a non rispondere a un sorriso seppur connotato da una timidezza rispettosa?
Non si può! E così di rimando allargo il viso anche io senza esitazioni.
Gianni è di Torino ed è al nastro di partenza da solo perché i suoi amici, un po’ per il tempo, un po’ per acciacchi vari, hanno deciso di non correre oggi la Deejay Ten.
Poco male la corriamo insieme, io senza fiato in salita perché i quadricipiti non sono ancora duri a morire come dovrebbero, ecosì anche in discesa perché mi corro anche l’anima. Lui in salita tira come un mulo e poi per recuperare in discesa rallenta e in qualche modo mi aspetta.
La gara è silenziosa, non c’è musica, non c’è gente ai lati della strada, non c’è incitamento se non un bambino che al balcone di un palazzo grida senza sosta “dai, dai”.
Un paradosso: ma non doveva essere la gara della musica? La gara della festa? Insomma non era corri come un dj? Non ci penso troppo su, cerco di non perdere la concentrazione e mi ritrovo sempre con Gianni nei dintorni dei miei passi.
Nei pressi del traguardo la mia coach e i suoi amici nemmeno a farlo apposta sono vicini e strillano i nostri nomi all’unisono, mentre senza risparmio tagliamo il traguardo mano nella mano.
Ci abbracciamo e ci facciamo quel bel selfie che vedete qui sotto.
Bè che dire la corsa è sempre sorprendente: la gara non era come doveva essere, nemmeno nel ristoro e pacco gara finali, i 50 minuti li ho sforati anche se ho fatto un pb che comunque rallegra l’anima, ma soprattutto ho trovato un amico di corse!
Daje Gianni sai che ti dico? Il prossimo anno vieni a trovarmi ma invece della Deejay Ten se famo Corri alla Garbatella che, come se dice a Roma, è na gara più sincera… insomma dai meno cazzara!
Chiara Scardaci