Cuori da oceano

20061023 Copyright image 2006© Free for editorial use image, please credit: onEdition. Bernard Stamm (Cheminees Poujoulat), fights to for survival in a Force 10 storm in mountainous seas the Bay of Biscay, the day after the start of the VELUX 5 Oceans solo round the world yacht race, which features some of the best solo yachtsmen in the world today. The race, over 30,000 miles, is in its 25th year and starts in Bilbao, Basque Country, Spain and goes on to Fremantle, Australia, Norfolk USA and finishes back in Bilbao in the April 2007. For further details please contact Tim Kelly at Pitch PR on +44 (0)20 7494 1616 or +44 (0)7773 325 533 or email . For all photographic enquires please contact Tim Stonton at onEdition on +44 (0)20 7978 1459 or email . VELUX is one the strongest brands in the global building materials sector and is sold around the world. The VELUX Group has production companies in 10 countries and sales companies in nearly 40 countries. The Group is owned by VKR Holding A/S and, for competitive reasons, the financial results are incorporated into the VKR Group's consolidated accounts. In 2004, the VKR Group's total turnover was almost DKK 12.7 billion. This image is copyright the photographer 2006©. This image has been supplied by onEdition and must be credited onEdition. The author is asserting his full Moral rights in relation to the publication of this image. All rights reserved. Rights for onward transmission of any image or file is not granted or implied. Changing or deleting Copyright information is illegal as specified in the Copyright, Design and Patents Act 1988. If you are in any way unsure of your right to publish this image please contact onEdition on +44(0)20 7978 1459 or email:

Qualche sera fa mi è arrivata la mail dal commercialista con la scadenza dell’IMU.

Mentre digerivo le cifre (con quel particolare fastidio che solo l’IMU sa darti), mia moglie discuteva al telefono con mia suocera su come gestire il cenone della vigilia con rientro a casa entro le 10, mio figlio apprendeva da Eurosport che sabato ci sarà il derby Juve-Toro; intanto mia figlia chattava con i compagni di classe per decidere se l’indomani sarebbero andati a scuola in presenza o in DAD, e il telegiornale blaterava del nuovo DPCM con gli ultimi colori delle regioni.

Il nostro mondo. Le nostre vite.

Nello stesso momento, ma in un mondo lontanissimo da noi (nello spazio e nello spirito) Jean Le Cam recuperava Kevin Escoffier dalle gelide acque dell’Atlantico meridionale; di notte, con 35 nodi di vento e 5 metri di onda.

Già, perché mentre noi ci barcameniamo tra l’Imu, la Dad e le Chat delle Mamme, un gruppo di temerari sta affrontando la Vendee Globe, la sfida più dura concepita dall’uomo: il giro del mondo in barca a vela, circumnavigando l’Antartide, senza scali e in solitaria.

Che detto così potrebbe sembrare niente di che (a noi che siamo abituati a misurarci con imprevisti del calibro della foratura di una ruota o del conguaglio Amgas), ma che è effettivamente qualcosa di straordinario.
Provo a rendere giustizia a quello che è successo.

Kevin Escoffier, in quel momento terzo in classifica, era solo sulla sua barca (PRB), nel pieno del Pacifico meridionale ad un migliaio di km dal capo di Buona Speranza.

Kevin Escoffier

C’erano 40 nodi di vento (per avere un metro di paragone, già dai 35 il vento è così forte che gli aerei non decollano) e mare da tempesta. Kevin è in coperta, la barca fila veloce, e sembra andare tutto -relativamente- bene, quando incrocia un “treno” di onda anomale, riesce a prenderne bene un paio, ma la terza si infrange sulla coperta con forza inaspettata, e si sente un rumore orribile.

Kevin ha fatto più di un giro del mondo e ne ha viste tante, ma per un attimo non crede ai suoi occhi: la sua barca si è letteralmente spezzata in due, e la prua è alzata a 90° verso il cielo.

Ma non ha il tempo di rimanere a bocca aperta di fronte a quella visione incredibile: ha la freddezza di correre immediatamente sottocoperta (anche da qui avrà l’inusuale visione del mare aperto a prua), lanciare un segnale d’allarme:

“Sto affondando, non è uno scherzo. Mayday”

ed indossare la tuta di sopravvivenza.

Kevin Escoffier

Pochi secondi e l’acqua invade tutto, gli impianti elettrici vanno in corto e Kevin non può far altro che saltare sulla zattera di salvataggio; da lì vedrà la sua amata barca andare a picco in mezzo alla tempesta, per poi rimanere solo.

Solo, su una zattera di un paio di metri quadri, che fa su e giù da onde di cinque metri.

Solo, senza neanche aver potuto mettere in salvo il telefono satellitare.

Solo, in mezzo all’oceano in tempesta, fuori dalla portata degli elicotteri e di qualunque mezzo di salvataggio, a più di mille chilometri dalla terraferma.

Solo, con una certezza ed un’unica speranza: nessun aiuto sarebbe potuto giungere dal nostro mondo, quello grigio dell’organizzazione e della burocrazia, delle navi e degli eserciti; gli unici a poterlo aiutare erano gli appartenenti al suo strano mondo, pazzi poeti e sognatori che su coloratissime barche di dodici metri osavano sfidare le potenze della natura, senz’altro aiuto che la propria preparazione ed il proprio coraggio.

Ed è andata proprio così: la direzione di gara comunica alle imbarcazioni più vicine le coordinate del naufragio.

Il più vicino è Jean Le Cam, sessantunenne (SESSANTUNENNE!) pluripremiato navigatore oceanico, che nella scorsa edizione della stessa regata era a sua volta naufragato, e salvato (a volte la vita è stupenda) proprio da PRB, la barca appena affondata.

Jean al timone della sua barca (Yes we Cam) arriva sul posto circa tre ore dopo il naufragio con 35 nodi di vento e onde da cinque metri.

Tradotto in termini terrestri, significa onde alte come una palazzina di due piani e vento che ”spezza i ramoscelli e rende impossibile camminare controvento”(cfr. Scala Beaufort).

Jean individua la zattera di Kevin, gli si avvicina e si rende conto che in quelle condizioni, e senza l’ausilio motore, il recupero è troppo rischioso.

Così urla a Kevin di aspettare e va a compiere le operazioni per accendere il motore (che su quelle barche serve solo per le manovre in porto e di emergenza, ed è piombato), con l’idea di rimanere in vista della zattera finché le condizioni del mare (previste in attenuazione) rendano il recupero più sicuro. Ma come nelle grandi sceneggiature, qualcosa va storto ed il motore si rifiuta di accendersi.

Jean deve armeggiare un bel po’, ma quello proprio non vuole saperne.

Alla fine torna fuori, rassegnato a fare senza, e si accorge con sgomento che la situazione è cambiata: si è fatto buio, e lui è scarrocciato molto sottovento rispetto alla zattera, che intanto non si vede più.

A Jean non resta altro da fare che risalire il vento a vela, mettendosi di bolina (con quel vento e quel mare!) a cercare Kevin nella notte.

Non è facile cercare qualcosa in acqua con mare formato, la ricerca diventa tridimensionale: il cercatore e l’oggetto della ricerca potrebbero essere vicinissimi ma non vedersi perché uno sulla cresta, e uno nel cavo dell’onda successiva; i momenti di visibilità reciproca si riducono a quando sono entrambi sulle creste, oppure nel cavo della stessa onda.

Immagino la sua angoscia nel pensare di averlo trovato per poi perderlo di vista, e posso solo intuire -da marinaio d’acqua dolce quale sono- quante ne avrà dette contro quel maledetto motore che gli ha fatto perdere tempo.

Ma Jean non si arrende, e in quel casino, solo in mezzo al nulla, con la barca che fa su e giù come sulle montagne russe, ad un tratto vede qualcosa, come un flash che ogni tanto compare tra le onde.

Teme che sia solo un riflesso della luna su qualche cresta, ma ci si avvicina.

La lucina compare e scompare, la perde di vista, pensa di essersela immaginata, ma poi per un attimo, mentre lui scende da un’onda un’altra muraglia d’acqua la solleva bene in vista, prima che sparisca di nuovo: la zattera di Kevin!

Quando gli arriva vicino, per quanto vicino si possa arrivare in quelle condizioni, Kevin gli chiede “torni dopo?” e Jean deve aver detto -naturalmente in francese- qualcosa del tipo: “Col cazzo! Dobbiamo farlo adesso!” e gli lancia il salvagente, assicurato da una cima.

E qui è necessaria un’ultima spiegazione, per capire la drammaticità del recupero fatto in quel modo, e perché in un primo momento Jean aveva voluto rimandare in attesa di condizioni più favorevoli.

Innanzitutto, in quelle acque gelide la tuta di sopravvivenza garantisce la tenuta per circa un’ora, poi sopraggiungono gradualmente l’ipotermia e la morte.

In un mare in quelle condizioni poi è impossibile tenere ferma la barca, e tantomeno la zattera.

E Ancora, con cinque metri di onda e senza motore, è impensabile accostare barca e zattera, in modo da permettere un trasbordo “asciutto”.

E con la tuta di sopravvivenza addosso si galleggia, ma proprio non si riesce a nuotare.

E così quando Jean ha deciso “dobbiamo farlo adesso!” sapeva bene che l’operazione non aveva un margine di errore: nel momento in cui Kevin avesse lasciato la zattera, questa si sarebbe allontanata e sarebbe stata per lui irraggiungibile.

Inoltre Kevin una volta in acqua, di notte con quelle onde sarebbe stato praticamente invisibile, e Jean se non l’avesse preso al volo avrebbe dovuto manovrare a vela per tornare da lui e probabilmente non lo avrebbe ritrovato in tempo.

Penso a noi, marinai della domenica, che al sicuro nelle acque calme nel porto, con la barca in retro ad un quarto di nodo, lanciamo la cima di ormeggio al marinaio in piedi in banchina ad un metro di distanza. In palio c’è solo il rischio di una figuraccia.

Eppure qualche volta sbagliamo.

E immagino Jean che di notte, in mezzo all’oceano con trentacinque nodi di vento e cinque metri di onda, in una situazione in cui è difficile anche solo stare in piedi, lancia la cima alle braccia tese su quella zattera che fa su e giù, sapendo che in palio c’è la vita di Kevin.

Non sappiamo se l’ha presa al volo, o se il salvagente è caduto in acqua vicino alla zattera.

Sappiamo per certo che ad un certo punto Kevin ha dovuto fare un atto di fede, e ha lasciato la zattera per buttarsi nelle acque nere e gelide, con la certezza che, se lui fosse riuscito a non mollare quella cima, in qualche modo Jean l’avrebbe tirato fino alla barca, e l’avrebbe salvato.

E in qualche modo Jean ce l’ha fatta a tirarlo fino alla poppa di Yes We Cam (priva ovviamente di qualsiasi scaletta o appiglio) e con uno reciproco sforzo sovraumano riescono nell’impresa di portare Kevin a bordo.

Il resto sono abbracci, lacrime, e Kevin che si aggira per gli anfratti di Yes We Cam per cercare la riserva di vino che si vocifera che Jean porti sempre con se nelle sue regate intorno al mondo.

Mi piace pensare che quella riserva l’abbiano poi trovata, e finita. Magari tenendo da parte giusto qualche bottiglia, da stappare alla prossima avventura.

C’è un altro mondo oltre a quello delle bollette e dei cenoni, della Dad e dei bar chiusi.

C’è un mondo fatto di iceberg e tempeste, di maestosi albatros e di uomini con un cuore grande come l’oceano.

Mi piace pensare raccontarlo sia un modo di rendergli omaggio.

E mi piace sognare che leggere queste storie in qualche modo ci aiuti ad affrancarci dalle nostre miserie, e ci faccia muovere qualche piccolo passo verso qualcosa di più puro.

Andrea Sylos Labini

 

Kevin Escoffier e Jean Le Cam, a bordo della Yes We Cam