Roma che corre…addio

Mo ve spiego in poche parole perché un giorno me ne so andato dalla Roma che core..

Me ne sono andato da quella Roma dove a corre erano sempre gli stessi, dove le gare erano sempre quelle, che pe’ fa un evento novo era un cordoglio e te dovevi ingrazia’ er Papa, er Presidente e pure er Campidoglio.

Me ne andavo da quella Roma de che t’avanza ‘n pettorale, che c’hai ‘na fotocopia, de quello rubato, ammanicato, ripiegato e mai pagato.

Da quella Roma co’ la maratona più bella der mondo, der traffico che è come un girotondo, de la foto coi gladiatori che te fanno by by co la medaglia e gli allori.

Me ne andavo da quella Roma dei Carcaterra, delle Fiacconi e dei campioni, dei signori e de li senatori.

Me ne andavo da quella Roma der mondo che ci invidia è viene a corre a casa nostra e che spende spande e piscia sulle bellezze e le storiche nefandezze.

Da quella Roma dei San pietrini, de li nasoni e der Colosseo, de Trastevere e der Giubileo.
Delle ciclabili sempre piene a tutte le ore, e da lì vecchi che alle 13.00 corono fino a fasse veni er crepacuore.

Me ne andavo da quella Roma delle corse a Caracalla, a Ponte Milvio, e nelle ville, delle piste aperte e chiuse, delle gare sparite, de quelle mai finite, di chi falliva e penava pe’ paga’ chi vinceva.

Da quella Roma che se famo ‘n giro, dalla Roma che se lagna e che guadagna sulle gambe de la gente, che tutto costa troppo e che 2 euro a km ce pare ‘n botto.

Da la corsa de li santi e dei profeti che se chiedi spiegazioni te dicono che loro non c’hanno li segreti.

Me ne andavo da quella Roma delle squadre e dei squadroni, delle feste e dei festoni, dai tesseramenti e dai senza maglia, de chi cambia colore e poi se sbaglia, dai gazebo sempre più grossi boni solo pe’ esse promossi, dai premi de categoria e dalla salamella che pe’ vincela rischi de torna’ a casa in barella.

Me ne andavo da quella Roma dei presidenti e dei baroni che dietro ‘n pettorale se sentono i padroni.

Me ne andavo da quella Roma dei bancari, dei ramarri, dei gatti e dei purosangue, dei negozianti e dei questuanti e de chi corre solo per la gente che gira corre arraffa e fa man bassa de allenati e strapagati.

Me ne andavo da quella Roma de la corsa de poro Miguel che dopo una vita intera è un gioiello e non se lo meritano manco se fossimo su’ fratello.

Dalle corse fino ar mare che dopo 50 anni le pagano sempre più care.

Me ne andavo da quella Roma che corre co l’aiutino, del non me di’ niente che so’ pulito, del cortisone, del cortisolo e del bombarolo, del massaggino e della scrocchiata benedetta che te fa corre pure sopra alla bandeletta.

Me ne andavo da quegli allenatori che promettono de fatte anda’ veloce come er conto ‘n banca che se so fatti senza alza la voce.

Me ne andavo da quella Roma che corre come ‘n criceto, e che dopo tutti sti anni non ha capito che in città semo noi romani fa li danni. Così senza speranze e senza disse manco buongiorno io sta Roma l’ho capita e forse a corre un giorno ce ritorno.

Roma che corre addio.

(Un podista romano)