Il running è tra le attività sportive che, almeno a prima vista, sembra dominare lo spazio urbano. Basta uscire di casa per vedere qualcuno correre: nei parchi, lungo i marciapiedi, ovunque. Ma è davvero così diffuso come appare?
La percezione è influenzata da un noto meccanismo psicologico: vediamo ciò che ci interessa. È lo stesso effetto che si manifesta quando stiamo per comprare una certa auto e improvvisamente notiamo quel modello ovunque. Così, se ci stiamo appassionando alla corsa, ci sembra che il mondo intero stia correndo con noi.
In realtà, la corsa è uno sport accessibile, immediato, ideale per chi vuole rimettersi in forma. È una risposta spontanea all’inerzia, un’attività che sembra a portata di mano… almeno fino a quando non diventa un’abitudine.
Ma cosa ci spinge davvero a correre, e cosa ci trattiene?
Secondo il paleoantropologo Daniel Lieberman, docente ad Harvard, correre senza uno scopo preciso rappresenta un’anomalia evolutiva: “Dal punto di vista biologico, una corsa di dieci chilometri senza motivo è uno spreco di 600 calorie. I nostri antenati correvano per cacciare o fuggire, non certo per hobby”. Eppure, proprio questa attività apparentemente insensata è una delle migliori medicine preventive esistenti.
Lieberman sottolinea che il nostro corpo è perfettamente progettato per la corsa di resistenza: dita dei piedi corte, arco plantare, tendine d’Achille lungo, glutei forti e un sistema di sudorazione che ci permette di dissipare calore correndo a lungo. Ma allo stesso tempo, il nostro cervello ci spinge a risparmiare energie, una tendenza che oggi si traduce in sedentarietà cronica.
Tuttavia, gli effetti della corsa sul corpo sono profondamente benefici.
Uno studio del 2024 ha mostrato che bastano due o tre sessioni di running a settimana per migliorare la forma fisica, ridurre la frequenza cardiaca e aumentare la capacità aerobica. I benefici includono la riduzione del rischio di morte per malattie cardiovascolari (-27%), per cancro (-20%) e in generale (-23%).
Eppure, la maggior parte delle persone corre in modo disomogeneo, stagionale. I parchi si riempiono in primavera e si svuotano ai primi freddi. Pochi riescono a trasformare l’entusiasmo iniziale in un’abitudine duratura. Perché?
Forse, perché il running è uno sport solitario. La paura del confronto ci spinge a correre da soli, ma superata la fatica iniziale avremmo bisogno di qualcuno con cui condividere progressi ed emozioni. E qui spesso ci si blocca.
A differenza del calcetto, che mantiene la sua ritualità immutata nel tempo, la corsa richiede uno sforzo mentale maggiore. Correre richiede organizzazione, costanza, superamento della noia. Ma anche una piccola corsa settimanale, se regolare, porta benefici enormi. La “compressione della morbilità” — vivere a lungo e ammalarsi solo alla fine — è uno dei risultati più ambiti dell’allenamento costante.
Allora, cosa ci trattiene ancora dall’infilare le scarpe da corsa e uscire? Probabilmente, solo i nostri istinti primordiali. Ma come dice Lieberman, “non siamo evolutivamente sviluppati neanche per leggere. Anche quella è un’abitudine nuova”.
Se smettiamo di leggere e iniziamo a correre, scambiamo un’abitudine moderna con un’altra — che ci riporta però molto più vicini alla nostra natura.
Buone corse a tutti.