Il Runner a bordo vasca

Il Runner a bordo vasca lo riconosci subito: accappatoio di ciniglia, ciabatte sopravvissute alla Guerra Fredda, e quello sguardo smarrito di chi sta cercando di capire in quale delle corsie buttarsi: lenta, media o veloce.

Sfoggia un costume da gara che gli è costato un rene, palette pro, respiratore, ma la cuffia in tessuto e occhialini usati che tradiscono incertezza e inutile parsimonia.

Con la tavoletta, fa danni. Sostiene con grande sicurezza che “fare gambe non serve” — peccato che le sue affondino come un’ancora a Fiumicino.

Quando prova il dorso, sembra un cetaceo in pieno delirio riproduttivo: si dimena, annaspa, e ogni tanto emette suoni che sfidano la fisica.

Poi c’è lo stile libero, dove trionfa, o almeno così crede. “Qui vado un po’ meglio,” dice con la spocchia di un veterano a chi ha divide la corsia con lui. Peccato che le sue bracciate schiaffeggino l’acqua — e chiunque gli capiti a tiro.

Due vasche ed è già in iperventilazione, perché non ha mai capito che può respirare da entrambi i lati. Le gambe affondano per mancanza di acquticità, ma lui non demorde.

Il vero problema del Runner in piscina non è la sua tecnica discutibile. È che devi nuotarci insieme. Non solo occupa la corsia come se fosse solo al mondo — dritto non ci va mai — ma chiacchiera con chiunque gli capiti a tiro.

Spesso e volentieri, si vanta di un futuro triathlon, come se questo giustificasse la scia di caos che lascia dietro di sé.

Entra in vasca quando tutti hanno già fatto il riscaldamento ed esce quando ancora metà gruppo è in pieno allenamento.

Stanco e fiero, torna negli spogliatoi soddisfatto della sua “impresa”. Euforico, stanco, torna negli spogliatoi fiero della sua “impresa”.

La macchinetta asciuga-costume, per lui è il vero motivo per cui torna a nuotare. E no, non provare a contraddirlo.