Roberto Canessa, nel 1972, aveva 19 anni ed era uno studente al secondo anno della Facoltà di Medicina in Uruguay.
Faceva parte della squadra di Rugby che visse una delle peggiori tragedie dell’aviazione civile raccontata nel film, disponibile su Netflix, dal titolo “La Squadra della neve“.
Quella dei Sopravvissuti delle Ande è senza dubbio la Storia con la “S” maiuscola.
A 50 anni dalla tragedia sono stati prodotti centinaia di articoli, tre libri e tre film, che ne hanno evidenziato il valore, il dramma, la paura e i mille dubbi esistenziali, etici e morali che hanno accompagnato i sopravvissuti nei 72 giorni nella fusoliera dell’areo precipitato il 13 ottobre del 1972.
LIBRI
– Clay Blair Jr, Sopravvivere! L’incredibile storia di sedici giovani rimasti isolati sulle Ande per settanta giorni, Sugar Editore, 1973.
– Piers Paul Read, Tabù, Sperling & Kupfer, 1974, ristampa 2006.
– Fernando Parrado e Rause Vince, Settantadue giorni. La vera storia dei sopravvissuti delle Ande e la mia lotta per tornare, Piemme, 2006.
FILM
– I sopravvissuti delle Ande (Supervivientes de los Andes), regia di René Cardona (1976)
– Alive – Sopravvissuti (Alive), regia di Frank Marshall (1993)
– La società della neve (La sociedad de la nieve), regia di Juan Antonio Bayona (2023)
Roberto Canessa e Fernando Parrado furono i due componenti della squadra che intrapresero un viaggio pericoloso attraverso le montagne in cerca di aiuto.
Dopo un trekking di 10 giorni, tra le vette, i pendii e le valli innevate, sopportando temperature rigide e notti impensabili con l’abbigliamento a disposizione, alla base di una valle cilena, incontrarono un contadino a cavallo a cui chiesero aiuto, salvando di fatto i sopravvissuti al disastro aereo.
La vita di Roberto Canessa, come quella di tutti e i sopravvissuti fu segnata per sempre dall’esperienza andina.
La sua esistenza è rimasta legata all’aiuto del prossimo, con una professione rivolta alla Cardiologia Pediatrica per neonati e feti affetti da cardiopatie congenite.
Uno come lui non poteva altrimenti che agire in uno dei campi più delicati della Medicina.
Roberto durante i suoi innumerevoli TALK ha saputo spiegare le connessioni; tante volte intangibili tra avversità estreme, come lo furono i 70 giorni sulle Ande; e a cosa ha dedicato poi la sua vita, cercando di salvare la vita di oltre 100 mila bambini, suoi pazienti durante tutta l’esistenza.
“C’è un filo di titanio e cristallo che collega quel passato che non può cambiare, e questo presente che è vivo e cambia ogni giorno, pieno di nuovi pazienti e sfide, in una disciplina in rapida evoluzione come la Cardiologia Pediatrica.”
Le parole sono del figlio Tino, anche lui medico, il quale sottolinea che suo padre è “dipendente dalla vita”.
Ciò che resta di quella straordinaria avventura e miracolo di vita sono ancora oggi le decisioni difficili prese per sopravvivere.
Le esperienze di Canessa e la storia di sopravvivenza continuano ad essere fonte di ispirazione per molti, sottolineando la forza dello spirito umano e la volontà di vivere di fronte a sfide inimmaginabili.