L’altra sera siamo stati a cena alla casa famiglia l’Approdo, dove ad oggi ci vivono 12 minori migranti non accompagnati, per cui stiamo raccogliendo le donazioni grazie alla pubblicazione del nostro libro “Il running è una cosa seria”.
I fondi raccolti serviranno per fargli fare sport nel centro sportivo Maximo che è vicino alla casa famiglia.
Il clima che abbiamo trovato rispecchia benissimo il concetto di casa per una grande famiglia: caldo, accogliente con tanti ragazzi timidi, ma curiosi.
Sapendo della nostra presenza a cena avevano cucinato un bel menù, fatto di ricette semplici ma con i sapori delle loro terre, cumino, curry e peperoncino sopra a tutto.
A tavola eravamo in 16, di cui 12 ragazzi e noi con gli operatori in turno. Vederli tutti insieme, nell’unico momento che ciascuna casa ha per concludere una giornata e raccontarsi degli impegni quotidiani, ci ha fatto sentire in famiglia.
La cena è iniziata con un augurio di buon appetito in tutte le lingue del mondo, ma non il nostro mondo. L’augurio veniva da lontano, da terre che riempiono le storie dei migranti, di chi viaggia o scappa per trovare un mondo migliore.
Così dal turco, Afiyet olsun, al Prijatno bosniaco, al uegba shahiyà Arabo e Të bëftë mirë albanese, abbiamo capito che a tavola, quando si mangia, siamo compagni, ovvero coloro che mangiano il pane con altri. Coloro che dovrebbero condividere le storture di questo mondo e provare, con l’ascolto e l’accoglienza a migliorarlo, per tutti.
I ragazzi dell’Approdo sono i figli di un mondo in continua evoluzione che, con con il passare del tempo, sono sempre più i giovani di questo tempo storico che li accoglie.
Chi trascorre parte della propria adolescenza in italia, magari dopo un viaggio della speranza, lo fa fino al diciottesimo anno di età, transitando nei centri di prima accoglienza e poi, stabilmente, nelle case famiglia come l’Approdo.
Gli ultimi anni non sono stati facili, la “generazione precedente” che era ospite dell’Approdo, ha vissuto uno dei periodo storici più dolorosi in termini di accoglienza e integrazione, il Covid ha bloccato le ali a ragazzi che, in poco tempo, dovevano fare tantissimo, scuola, lavoro, autonomia in meno di 3 / 4 anni.
A noi non resta che ascoltarli, provando a capire le ragioni di una fuga, di chi lascia tutto a 14 anni e si mette in viaggio a piedi dall’Africa e arrivano da noi tramite le rotte balcaniche o sui gommoni in mare.
Sarà per questo che i soldi del nostro libro serviranno ad insegnare loro a nuotare, perché quel mare che li separa dalla casa natia non possa fare più paura, che possa essere un elemento accogliente e non divisivo, utile per le vacanze o solo per fare un bagno con gli amici d’estate.