Due settimane fa ho preso parte al Rimini Challenge, il sabato come spettatore dello sprint e la domenica come partecipante del medio.
Due dei miei compagni di squadra e la mia coach si sono cimentati nello sprint il sabato e, naturalmente, dovendo gareggiare la domenica, io mi sono occupato soprattutto di incoraggiare e tifare per loro.
Come da tradizione, sin dal lunedì avevamo cominciato a monitorare il meteo e le condizioni del mare: chi doveva gareggiare il sabato era particolarmente preoccupato per le condizioni del mare che, sin dai giorni precedenti, non promettevano nulla di buono per la frazione nuoto.
Il sabato mattina, arrivati sulla spiaggia, si è capito subito che sarebbe stato complicato nuotare; al via, molte atlete sono andate subito in difficoltà sia per l’altezza delle onde, sia per la fortissima corrente che rendeva davvero complicato nuotare verso la boa.
Dopo pochi minuti un gruppetto di ragazze si trova spostato dalla boa direzionale di oltre 100 metri.
Nel frattempo i soccorsi e i cani da salvataggio si danno un gran da fare per scongiurare ogni possibile problema; alla fine saranno oltre 50 a doversi ritirare senza neanche arrivare alla prima boa, e un paio di esse aiutate e portate in salvo dai soccorsi in evidente stato di shock.
Mentre assistevo preoccupato a quanto accadeva, non ho potuto fare a meno di notare davanti a me una ragazza, lì, da sola, con indosso la muta e le sue infradito in mano, che aveva evidentemente deciso di non partire e di non avventurarsi in un mare così insidioso; ha tenuto molto a lungo lo sguardo fisso sulle sue compagne che lottavano tra i flutti e su quel mare che l’aveva tradita, che più di ogni altra cosa avrebbe desiderato domare e che le aveva tolto il sogno di quel giorno, preparato e coltivato da chissà quanto tempo.
Vedere quella ragazza sulla spiaggia prima dal vivo, e rivedere la stessa in scena poi in foto, mi ha fatto riflettere e fatto interrogare sul sottilissimo confine che esiste tra l’imprudenza e il coraggio, tra la paura e il rimpianto; quella nuotatrice ha fatto bene a seguire il suo istinto e non tuffarsi, oppure ha avuto solo un eccesso di prudenza?
Impossibile emettere un verdetto, non sappiamo quanto esperta fosse, quante volte avesse nuotato in mare, che vissuto avesse con l’elemento (conosciamo troppe storie di nuotatori molto esperti inghiottiti dal mare anche in condizioni di assoluta calma) e sappiamo tutti che con il mare non si scherza mai, che gli va portato profondo rispetto.
Una delle lezioni che lo sport ci insegna è che abbiamo sempre una possibilità per riscattare una delusione, un ritiro: ci sarà sempre una nuova gara in cui potremo riprenderci il sogno che ci è stato tolto da un infortunio, da un imprevisto, da una paura.
Eppure, nonostante tutto, non sapremo mai se quel senso di rimpianto resterà per sempre in quella ragazza per non averci provato come tutte le sue compagne, per non avere tentato di rimuovere la paura dalla sua anima, oppure se la scelta di rimanere sul bagnasciuga l’ha resa più forte e consapevole, e lo dimostrerà già alla prossima occasione. Per decidere, abbiamo solo questa foto e l’interpretazione che ciascuno di noi preferisce dargli.
Massimiliano Arcieri