In un contesto dove da un anno lo sport è fermo, la mia riflessione sulla fuga dalla fatica parte dagli strumenti a disposizione degli allenatori per non perdere il passo dei loro ragazzi.
Essi hanno soprattutto la parola, il convincimento: porre degli obiettivi ambiziosi, ma possibili, magnificare le gesta degli atleti e proiettare nel futuro la possibilità di un loro riscatto, aiutandoli così a non buttare al vento tutto ciò che fino ad ora hanno costruito faticosamente. Solo attraverso il diretto contatto gli atleti possono riuscire a superare questo difficile momento.
Le famiglie sono la leva necessaria; in particolare, poi, dove ci sono situazioni di distacco dallo sport, dove non c’è cultura dello sport, è allora necessario lavorare anche sui genitori. La situazione è più delicata e soprattutto lunga.
Bisogna agire anche sulle scuole, sulla buona politica locale, sulla comunicazione istituzionale. Bisogna cercare in ogni modo di favorire gli svantaggiati, recuperare quel senso di appartenenza che forse non c’è mai stato e fare squadra laddove non esiste niente. Bisogna costituire centri di socialità per i giovani e non lasciarli a decidere inopportunamente come trascorrere il loro tempo, che non tornerà mai più indietro.
Personalmente, da atleta e uomo di sport, in particolare in un centro di formazione sportiva come il Tevere Remo (Daniele Masala è il Presidente del RCCTR), ho puntato molto sugli allenatori.
Non dimentichiamoci che lo sport è la terza agenzia educativa della nostra società e che, pertanto, gli allenatori, gli istruttori, prima che preparatori debbono essere educatori, persone di sani principi che sanno come parlare ai giovani e che puntano ai loro miglioramenti in maniera sana e costruttiva.
Lo sport può essere un cuscinetto sociale nelle aree di degrado, lo sport può aiutare i giovani a comprendere la cultura della salute, del rispetto del prossimo e del corretto stile di vita. Devo dire però che, purtroppo, qui si fanno i conti con i limiti della politica che ancora, in Italia, non ha capito l’importanza dello sport a tutto tondo.
Lo hanno capito all’estero, ma noi siamo invece ancora lontani dal raggiungere certi risultati. Basti pensare alla scuola che non ha ancora un piano preciso sull’attività motoria. Ripeto: la strada è lunga e laboriosa, ma non dobbiamo arrenderci.
Abbiamo sperato che, dopo il lockdown, tutti coloro che sono scesi sotto casa anche solo per camminare, correre e usare i bonus mobilità per l’acquisto di una bicicletta si fossero convertiti ad una vita più sana, ma ho invece visto tanti giovani che hanno lasciato lo sport e che, anzichè fortificarsi, si sono così indeboliti, e non c’è niente di peggio nello sport che mollare gli ormeggi.
Non è lo sport della domenica che forma una cultura d’altronde, anche se non sto parlando di campioni, bensì di sociale. Anche perché penso che l’agonismo è per pochi, ma lo sport è per tutti!
Daniele Masala
Daniele Masala è laureato in Scienze Motorie con 110/110 e lode.
Ha fatto parte del Gruppo Sportivo Fiamme Oro.
Ha raggiunto il grado di Ispettore Superiore della Polizia di Stato.
Professore associato e Docente all’Università della Magna Graecia di Catanzaro.
Cavaliere della Repubblica.
Campione olimpico individuale e a squadre 1984, argento a squadre 1988.
Campione del Mondo individuale 1982 e a squadre 1986.
Argento mondiale individuale 1981 e 1986.
Bronzo mondiale individuale 1979, a squadre 1981, 1982 e 1985.
10 volte campione italiano assoluto individuale e 14 a squadre.
Dal 1989 al 1992, Direttore Tecnico della nazionale italiana maschile di Pentathlon Moderno.
Oggi Presidente del CISCoD (Comitato Italiano Sport contro la Droga), Associazione filantropica, Benemerita del CONI, con un’opera di prevenzione alla droga sui giovani, promuovendo la pratica sportiva.
Oggi Presidente del Reale Circolo Canottieri Tevere Remo, il più antico Circolo sportivo di Roma che è fra i fondatori dello Yacth Club d’Italia e delle Federazione Italiana Canottaggio.