Il Giro d’Italia femminile viene organizzato per la prima volta nel 1988. Nel 2013 cambia nome: da Giro Donne a Giro Rosa.
E’ una corsa a tappe femminile di ciclismo su strada che si svolge ogni anno. E’ la più importante gara a tappe.
Dal 2016 è parte del World Tour femminile UCI.
Ma quanta fatica c’è prima, durante e dietro il Giro Rosa?
Ne abbiamo parlato con Costanza Martinelli, che ne ha fatti 3 di giri d’Italia.
E abbiamo scoperto che in realtà è difficile anche solo spiegare la fatica che si prova nel corso di un giro d’Italia femminile, fatica sia fisica che mentale.
Esistono le gare, esistono le granfondo, e poi esiste la gara a tappe, che è una gara a sé.
A differenza del giro maschile, che dura tre settimane, quello femminile dura 10 giorni, si parte il venerdì con il crono-prologo e si termina la domenica della settimana successiva. Quindi è senz’altro più breve del giro d’Italia maschile (che dura 3 settimane), ma, a differenza di quello maschile, nel giro d’Italia donne non ci sono giorni di recupero, si pedala continuativamente tutti i giorni.
Il giro d’Italia femminile è un appuntamento a cui una ciclista professionista arriva con una carica emotiva, una preparazione fisica e dei ritmi che non hanno eguali rispetto a alla preparazione delle altre gare cui partecipa durante l’anno.
Per arrivare preparate ci si allena in maniera diversa, gradualmente.
In genere si inizia a marzo con gare su percorsi piatti, per poi passare man mano alle gare con salite, fino alle piccole gare a tappe (di 2/3 giorni fino ad esempio al giro del Trentino di 5 giorni). Verso maggio poi si inizia con il doppio allenamento giornaliero (si fa un allenamento la mattina presto per due ore, e poi il pomeriggio un altro di altre due ore).
Oppure, per “lavorare sulla fatica”, dopo la gara della domenica (di 100 km e oltre) il lunedì si fa un lungo di 120/130 km.
In media durante la preparazione si arrivano a fare 600 km a settimana di allenamento.
La preparazione dura normalmente un anno (ma minimo sei mesi). E richiede massima cautela specie man mano che ci si avvicina alla partenza, perché basta un raffreddore per compromettere il tutto.
Quello che ruota intorno al giro d’Italia femminile è incredibile.
I tempi di ogni situazione sono strettissimi. La mattina ci si sveglia, si fa colazione, verso le 10 si pranza (pasta in bianco, un po’ di prosciutto o bresaola, al massimo una crostata sono normalmente alla base del pranzo), poi c’e’ un breve trasferimento fino alla partenza della tappa, e si parte.
Le tappe sono più corte rispetto a quelle degli uomini, sui 100/110 km. I tapponi lunghi sono normalmente pianeggianti.
Ma il ritmo che si tiene al giro d’Italia raramente si fa in altre gare a livello internazionale. Ci sono tappe pianeggianti in cui si arriva a 45/46 km di media o anche oltre.
L’incubo di una gara come il Giro, per tutte le cicliste ma soprattutto per le gregarie, è arrivare ad ogni tappa entro il tempo massimo, che si calcola in base al tempo di arrivo della prima. In una gara tutto può essere determinante: basta una foratura, una caduta del gruppo, e sei fuori dal giro perché vai fuori tempo massimo.
Ed è per questo che il giro richiede anche una grande concentrazione mentale oltre ad una enorme fatica fisica (certi giorni si fa fatica addirittura ad addormentarsi per la stanchezza).
Bisogna essere sempre lucide perché basta niente e si rischia di rovinare quello che è stato il sogno di un anno intero.
Le tappe in genere partono all’ora di pranzo, quindi nelle ore più calde.
Ogni tappa dura circa 3 ore/3 ore e mezza. Appena finita ti vedi levare praticamente la bicicletta da sotto, ti dai una rinfrescata al volo, mangi un panino e poi di corsa sali sul pullman che ti porta alla successiva tappa.
Devi per forza imparare a sfruttare ogni momento utile per recuperare, per dormire (ad esempio appunto nel pullman).
Arrivi in albergo e fai tutto di corsa: la doccia, massaggi, la cena e via subito a dormire.
Perché il dormire (anche se andando avanti con i giorni per la fatica e per i dolori che aumentano diventa sempre più difficile riuscire a dormire bene e tanto) è fondamentale.
Più ore dormi, più recuperi. E il recupero è fondamentale in una gara a tappe.
La carovana che si porta dietro una squadra in un giro d’Italia è composta da tante figure: ci sono 8 atlete, c’è il direttore sportivo, il massaggiatore, il meccanico. Più altri collaboratori. Persone che lavorano tantissimo fin dalle prime ore del mattino. A disposizione della squadra c’è un’ammiraglia, un furgone per le bici con la lavatrice per lavare ogni giorni i completini, più la parte con l’officina meccanica.
Sono 10 giorni faticosissimi e frenetici per tutti, non solo per le atlete.
C’è chi deve guidare il furgone, chi l’ammiraglia – i trasferimenti a volte sono anche di 100 km – chi si occupa delle biciclette, chi dell’alimentazione delle atlete. Ogni particolare è curato al dettaglio in una frenesia senza pause.
In genere il giro donne si tiene verso la prima settimana di luglio in contemporanea al Tour de France maschile, quindi, purtroppo, i collegamenti televisivi sono sempre brevi, di pochi minuti, durante la gara degli uomini.
E’ molto avvilente vedere, infatti, come è poco seguito sia dai media che dal pubblico in genere.
All’arrivo dell’ultima tappa, alle due di pomeriggio a Milano, a metà luglio di un giro di tanti anni fa, non c’era praticamente nessuno. E’ stato molto triste.
Adesso il giro è un po’ più seguito senz’altro, i collegamenti televisivi con le tappe sono un po’ più lunghi, un po’ più di attenzione c’è, anche da parte degli sponsor.
Ma la situazione non è neanche lontanamente paragonabile al giro dei professionisti uomini. Anche per quanto riguarda i guadagni.
Le gare in cui ci si sente veramente seguite, anche dal pubblico, restano ancora le grandi classiche (ad esempio la gara delle Fiandre in Belgio o la stessa Milano-Sanremo) ma solo perché a seguire arrivano gli uomini. E quindi il pubblico, bellissimo, che ti acclama,è in realtà quello degli uomini (in quelle gare le donne partono dopo e arrivano circa un’ora prima).
La strada da fare quindi ancora è lunga. E speriamo di farla tutta in bicicletta!
Evviva il ciclismo, evviva le donne!
Clauda De Arcangelis