Una domenica di due biciclette

“Mi è arrivata la bici del regalo dei 50 anni, finalmente, che ne dici se domenica vieni a Roma e la proviamo insieme?”
“Io ho appena fatto un restauro home made della mia… non sarebbe male”
“Ma hai già un giro in mente?”
“Ho in mente un giro pazzesco.”

Pazzesco.

Be’, come dirgli di no.

Io e Angelo siamo cugini un po’ fratelli, nati a tre giorni di distanza l’uno dall’altro. Romano e romanista (molto) lui, provinciale e laziale (poco) io.

Un rapporto sempre un po’ segnato dalla distanza (Lavinio – Roma da bambini è più di Los Angeles – New York), ma basato, proprio per questo, su attese e desideri e soprattutto su tanta, tanta, tanta bici insieme.

Bici, tandem, anche risciò, ma mai un giro a Roma insieme, lungo, primaverile, calmo, accelerato, in salita, in discesa, sui sampietrini, in rettilineo, su strade sterrate o asfaltate di fresco.

Saranno almeno 30 anni che non dividiamo un giro in bici e saranno 40 che non ci prendiamo tre ore consecutive di benessere legato allo sport nello stesso giorno.

Una domenica romana di 16 gradi circa e tante nuvole, senza mai pensare per un attimo che il cielo facesse lo scherzo di piangere.

Non ha pianto mai infatti, né piantato grane, fermo, nuvoloso il giusto, senza quelle nuvole cariche che anche se non piove ti mettono un po’ di magone.

Partiti da Poggio Ameno, raggiunta Caracalla in un istante, ci siamo ritrovati sulla salita del Teatro Marcello in un paio di battute, complice una Roma che alle 8 di mattina non sembrava ancora essersi svegliata, senza nessuno in ansia per il mare, con voglia di ripartenza ma anche di starsene a letto ancora un po’, o comunque di non “fare traffico”.

Via del Corso sembrava attenderci come un set di un film ancora da girare. Da lì a Ponte Milvio con questo cielo che continuava, fiero, il suo combattimento nubi-sole, ma sempre regalando una sensazione di assoluta fermezza, tranquillizzante e veicolante ricordi, progetti, stagioni passate e future in un caleidoscopio di emozioni che ci ha portati lungo il Tevere ma proprio ad un passo dall’acqua, su una ciclabile dove incontri qualche macchina che scarica le merci delle bancarelle alternate a ciclisti supertecnici che volano a 80 all’ora e che appaiono disturbati da tutto quello che potrebbe frenare un’andatura a dir poco eccessiva.

-Alla nostra età è così. O sei un convinto o sei uno che non ce la fa. Mai una via di mezzo.

-Madonna, verissimo. O trovi chi ti si blocca davanti alla prima salita o quello che sembra si stia giocando la cronometro decisiva del Tour de France, qualora il Giro d’Italia sembrasse poco…

La fatica sembra azzerata. Le mascherine un blando ricordo su cui ogni tanto i nostri sguardi si appoggiano, qua e là.

-E comunque in bicicletta noti cose che nemmeno con la corsa…

-Verissimo, specie se si corre a testa bassa.

-Guarda che bello quell’attico…

-Quello è un monolocale. 1600 euro al mese di affitto…

Ritorniamo da Roma Nord verso Roma Sud e sfrecciamo lungo l’Appia antica. I sentieri sterrati sui lati dei sampietrini diventano percorsi inevitabili.

Ogni tanto ci incrociamo con qualche runner, si ricominciano a vedere gruppi cospicui, tracce di allenamenti verso le prossime gare, sguardi veloci come i passi, partenze e ripartenze.

Entriamo trionfalmente nella zona delle catacombe di San Callisto, la salita è intensa ma sempre meglio dei sampietrini e, anzi, oltre il colle, acceleriamo un po’. Io freno in discesa, Angelo no, ci ricompattiamo sui tratti in pianura.

Un rapido passaggio a Tor Carbone e, dopo 37 chilometri di Roma, torniamo al punto di partenza.

-Chiudere la mattinata dicendo che Roma è bella, vabbe’… non ha tanto senso…

-Nessun senso. Possiamo dire però che possiamo fare altre cento mattinate così e che saranno tutte diverse da questa e ugualmente bellissime.

-Bravo.

-Grazie.

-Grazie a te.

Rimetto la bici in macchina, mi sento giusto e felice.

Felice e giusto.

Come non accadeva da tempo.

 

 

 

 

Ho vissuto senza sport per i miei primi 40 anni. Adesso diciamo che sto recuperando, dato che ho un sacco di muscoli e fiato ancora nel cellophane. Cultore della parola detta e scritta, malato di cinema, di musica, di storie. Correnti, già corse e da correre.