Sognando New York

Suona la sveglia. La spengo. Ho sonno, ieri sera sono andata a letto tardi, non posso dormire.

L’emozione, lo sgomento, il sano terrore della consapevolezza di andare incontro ad una nuova avventura.

Ricordo come da bambina mi sentivo così prima degli esami. Non riuscivo neanche a muovermi tanto ero paralizzata dalla paura.

Accidenti ho fatto tardi!!

Devo prendere l’aereo e volare a New York per correre la mia avventura, per correre il mio sogno.

Mi alzo come una furia e mi infilo addosso quello che trovo. Non sono esattamente il tipo di donna che lascia i vestiti piegati sulla sedia la sera prima, a meno che non si tratti dei vestiti per la corsa.

Sventato il rischio di uscire con la maglietta alla rovescia, con le scarpe ancora slacciate afferro il trolley ed esco.

Era forse l’unico modo per uscire di casa e vincere il panico che mi paralizza. Con la catapulta.

Che farò in mezzo a tutta quella gente? Come mi sentirò? Riuscirò a muovere un passo oppure resterò immobile come una statua di sale mentre tutti mi passano intorno?

Poco importa, salgo sul taxi “Aeroporto di Fiumicino. Terminal 3”.

Il telefono impazzisce di messaggi. Augusto e Speranza partono con me.

Sono uno più ansioso dell’altra e si chiedono dove sia finita.

“Sto arrivando, sono sulla Roma-Fiumicino! State calmi, farò in tempo”.

Scendo dal taxi con il cappotto che mi pende da una parte e la borsa che mi casca.
Sono sudata. Corro al check-in e guadagno la mia carta d’imbarco. Corro ancora, stavolta sorrido perché penso che la prima maratona la sto facendo ora per prendere il mio aereo!

Riposerò per aria. Sono talmente stanca che non faticherò ad addormentarmi, dormirei anche in piedi. Eccoli lì!

Augusto scrive messaggi a Margherita, la sua ragazza che è rimasta a casa.

Non è il momento per spendere tanti soldi portando tutta la famiglia

“È il tuo sogno, vivilo per tutti e due” gli ha detto prima di partire.

Speranza scarabocchia piani di battaglia sulla sua agenda.

Arrivo in aeroporto, arrivo in hotel, l’ho vista calcolare il tempo che deve passare tra la colazione e la partenza “ci vuole un sacco di tempo tra l’arrivo e la start line! Partiremo che staremo morendo di fame!”

Io ho lo stomaco bloccato da settimane ormai, poco importa.

Ho preso tutto? Scarpe, maglietta rigorosamente azzurra con scritto a caratteri cubitali ITALIA e “superlud” stampato sulla schiena come alla mia prima mezza maratona.

Porto i pantaloncini della mia società. Li ho portati tutti. Corti, medi, lunghi.

Ho preso le calze a compressione azzurre come la maglietta. Sono vanitosa io!
Devo avere sempre un outfit perfetto.

Arriviamo al nostro appartamento. Il freddo è pungente, ma c’è il sole che passa attraverso una finestra enorme e illumina il divano su cui dormirà Augusto. Fuori si vede Central park.

Quanto mi sei mancata New York! Avevo 20 anni la prima volta che sono venuta a conoscerti.
C’era una quantità di negozi e ristoranti che ora non ci sono più. È tutto diverso, al di fuori di Tiffany che è sempre li e mi aspetta per colazione.

È una delle cose che ci siamo promesse con Wonder Coach.

Domattina ci troveremo li alle 7, quando ancora tutti dormono cercando di vincere il jetleg.

Avremo un enorme bicchiere di caffè e un cornetto da pucciarci dentro e faremo “Colazione da Tiffany” solo che al posto dello stupendo abito da sera e della tiara di brillanti finti che indossava Audrey Hepburn porteremo i nostri leggings e una fascetta con scritto I Love NY.

Faremo un selfie e lo manderemo a tutti i nostri amici che fanno il tifo per noi da casa.

È la mattina della gara. Sono le 5 e fa freddo. Augusto è il primo ad alzarsi.

Quando arrivo al tavolo della colazione con il pigiama con i conigli e i capelli arruffati e annodati lui è già vestito di tutto punto.

Sembra quasi che abbia dormito così, già pronto a partire con la sua tuta stile Rocky Balboa da lasciare tra la montagna di vestiti destinati agli homeless.

Speranza è ancora in pigiama e questa cosa mi fa sentire meno sola nel mio caos.

In realtà deve solo vestirsi ma si è attardata a ricontrollare gli orari.

Autobus, ferry, di nuovo autobus fino alla start line. Fuori è ancora buio. Ma avrò fatto bene a venire fin qua? Sono solo una povera pazza che insegue il suo sogno? Forse sì.

Una pazza che sogna di faticare per 42 km al freddo di novembre in un paese a migliaia di km da casa. Io che fatico anche a prendere la macchina per andare a correre al lago. È troppo tardi per tirarsi indietro e non ho voglia di provare il gusto amaro della sconfitta contro le mie paure. Non mi piace dargliela vinta, a tavolino poi, men che meno.

Mi vesto. Nel naso sento un odore che non è quello rassicurante di casa, mi accade tutte le volte che viaggio.

Lo chiamo “il profumo del turista” ma stavolta non sono una turista, sono una maratoneta.

Una maratoneta con milioni di farfalle colorate nello stomaco.

Il freddo del mattino mi pizzica sulle mani nude. Riesco a percepire nel silenzio il suono di milioni di persone che dormono ancora, davanti ai miei occhi è tutto sbiadito, come se d’improvviso mi si fosse abbassata la vista.

Non riesco a camminare o a correre, le gambe sono molli e le trascino come se non mi appartenessero. Non riesco a vedere l’autobus, o il ferry, o la start line.

È tutto improvvisamente confuso. Sento lo scorrere di un ruscello, ma io sono a Manhattan!

Non ci sono ruscelli a Manhattan. Apro gli occhi. Ho le spalle scoperte e il pigiama è freddo e sudato.

È il primo novembre 2020. A causa del Covid la maratona di New York è stata annullata.

Non ci sarà il cinquantesimo anniversario e io non sono partita.
Ho sognato tutto.
Ho sognato come volevo che andasse.

Augusto era mio padre e Speranza la nonna che mi ha cresciuta e io sono qui a Roma e ho appena sognato New York.

 

Ludmilla Sanfelice

Ludmilla Sanfelice
Un giorno senza sorriso è un giorno perso. Non importa quanti pesi portiate sulle spalle, la vita è un battito di ciglia e va vissuta in ogni istante. Come l’ho scoperto? Allacciando le scarpe e cominciando a correre. Run Lud Run! Ogni giorno una nuova storia aspetta di essere raccontata.