Poche righe sul senso del “tempo”.

Alcune note introduttive sul “tempo”, croce e delizia della nostra vita, nella quale siamo in perenne oscillazione tra il tempo oggettivo (quello delle leggi della fisica) contrapposto a quello percepito. Sul primo, per l’appunto, quando avremo tempo, ne ragioneremo più approfonditamente: semplicemente trasliamo gli assi in un altro momento.

Per la corsa di oggi vi racconto dei diversi modi di intendere il “tempo” secondo gli antichi greci.

I padri della filosofia avevano compreso subito che siamo delle zattere che galleggiano in balia di un oceano che può essere calmo (ed, allora, sembra che dominiamo gli elementi fuori di noi), ovvero periglioso (ed, allora, raccomandiamo l’anima alla divinità più benigna a disposizione nell’immediato). Una cosa, sin da subito, è parsa certa: nulla possiamo fare contro il tempo; e non è certamente frutto del caso che Chronos, nella sua raffigurazione mitologica, sbranasse i suoi stessi figli, a monito per tutti gli altri. Sopravvive solo il Padre: inarrestabile, incorruttibile, indisponibile, indipendente da ogni altra cosa. Finché esiste Chronos, altro non datur.

Una delle costanti del ragionamento speculativo consiste nella “classificazione”. “Regolare” significa sapere e sapere fornisce l’astratta possibilità di dominare ciò che è regolato. I greci, dunque, distinguevano cinque “tipologie” di quello che unitariamente inteso contrassegniamo con il termine “tempo”.

Il già citato chronos, nella sua dimensione “terrena”, rinvia al tempo misurato, al tempo misurabile, al tempo della scienza e della tecnica, al tempo dei «cronometri», degli orologi, e dei calendari. In altre parole è il tempo che crediamo di controllare: quello calcolabile, divisibile e computabile.

Poi c’è kairos: l’opportunità. Il tempo diventa una variabile qualitativa invece che quantitativa. Kairos designa il tempo favorevole per una particolare azione: il tempo della semina e quello della raccolta; il tempo di fecondare, di portare in grembo e di partorire; il tempo di lavorare, di ristorarsi col cibo e di riposare. È il momento opportuno, il momento di tacere o di parlare, di ricevere o di donare. In breve, è il tempo dell’iniziativa rischiosa a partire dal quale si hanno buone ragioni per attendersi un esito potenzialmente felice.

Dopo il tempo dell’azione, segue il tempo del “riposo”. Schôlé significa, per gli antichi greci, il tempo libero. Il tempo del non far nulla, il tempo per essere, meditare, far crescere in noi ciò che era rimasto celato, segreto. È il tempo della verità vissuta. È il momento della disponibilità, dell’accoglimento dell’inatteso, del sorprendente. E’ abbastanza curioso che tale termine, nella maggior parte delle lingue europee, sia diventato “scuola” (école, school, escuela, schule, …), ossia un “obbligo” di imparare, molto lontano dal “tempo di essere”.

La quarta declinazione del tempo è racchiusa nel concetto di diatribè. Tradotto, alla bell’è meglio, diremmo che “Ogni cosa si usura”. La goccia, pian piano, scava la dura roccia, la trasforma in pietra, poi in ciottolo, infine in sabbia che vola via con il vento o si disperde nei marosi. La roccia non c’è più: è solo una questione di tempo. Questo – anche per noi – è il tempo dell’usura, della consunzione, dell’invecchiamento. Tutto passa, compresi noi, ma il tempo è sempre lì.

La presenza costante del tempo è l’ultima configurazione. Aïôn è l’eternità. Aïôn designa la sospensione assoluta sia del chronos che del kairos, sia della schôlè che della diatribè. È un tempo senza tempo. Non essendoci nulla anche il tempo non ha alcuna “funzione”.

Morale della storia: il tempo non si può perdere, siamo noi che ci perdiamo.

 

«Se voglio prepararmi un bicchiere d’acqua zuccherata, c’è poco da fare, debbo attendere che lo zucchero si sciolga. Questo piccolo fatto è gravido di insegnamenti (…). Il tempo coincide con la mia impazienza (…)». (H. Bergson)

Mr Farronato
Mr. Farronato Podista e scrittore. La corsa mi serve per superare i limiti dell’ordinario mentre, scrivendo, supero quelli dello straordinario. Potete trovarmi – sotto falso nome – nelle gare della nostra bella capitale e, soprattutto, alle maratone. La corsa è la soglia del crepuscolo che si affaccia su un mondo diverso.