Perché è così bello perdersi?

Corri.

Il telefono l’hai lasciato a casa mezz’ora fa poco prima di partire, l’unico aggeggio tecnologico appresso – che tiene il tuo passo – è il Garmin, lucido e pronto a reggerti in ogni via della tua città.

L’allenamento procede bene – se non che – un suono penetrante accenna due fischi, giri la testa verso il tuo prezioso orologio e lo vedi spegnersi, accompagnato da una simpatica immagine di una litio sbarrata.

Tornare indietro? – dilettanti –

Riprendi il passo, consapevole di epoche in cui non si correva di certo con qualche orologio costruito con gli stessi materiali dello shuttle.

Inizi a divertirti quando instauri un rapporto di fiducia con la distanza che separa 4 pali della luce, perfettamente allineati a formare un rettilineo di 200 metri.

Quanto le tue ripetute odierne, accidenti !

Una.

Due.

Tre.

Alla decima, giri di poco la testa, il sole sta tramontando intravedi dietro qualche albero una stretta viuzza, decidi di imboccarla, tanto devi defaticare – ti ripeti –

Corri ancora. – Ma quanto dura l’allenamento di oggi? –

(Talmente tanto da farti perdere il conto – dico io che scrivo questa storia- )

La strada si restringe.

Dove vado?

gira a destra;

C’è un gradino;

Lo balzi che è una meraviglia, al balcone una signora che ti ammira.

L’adrenalina pulsa;

Altro step;

Ora destra;

Sinistra;

Dove sono?

Sale l’ombra del crepuscolo.

Ma dove sto finendo.

Ad un tratto STOP.

Mi immobilizzo;

Come avessero tirato un pugno sul mio petto;

I miei occhi scrutano l’orizzonte.

C’è il mare, il sole scende ed io ammiro.

Senza fiato.

A cosa serve il fiato se puoi perderti?
A cosa serve il fiato, se puoi ritrovarti?

Filippo Carlon