Pensieri di una runner sotto la pioggia

Oggi piove. Ieri c’era un vento pazzesco e non ci pensavo nemmeno lontanamente ad uscire a correre, ma la pioggia, la pioggia è magia pura.

Ogni goccia contiene un pensiero, ogni pensiero si infrange cadendomi addosso e mi libera la mente.

È l’esatto opposto di quella orribile sensazione che si prova di notte, quando ogni piccolo granello di sabbia diventa un mostro enorme che non ti lascia dormire.

Ho sempre associato la pioggia alla purificazione, quindi se la corsa è purificazione, correre quando piove è purificazione al quadrato.

Di solito quando esco fa capolino anche il sole, ma, quando meno te lo aspetti, ecco che parte lo sgrullone e contrariamente a quanto si possa pensare, la mente comincia a viaggiare e mi sento libera e leggera come non mai.

Oggi riflettevo sull’anno appena trascorso.

È cominciato carico di sogni, aspettative e progetti, sarei andata a New Yorka correre la mia prima vera maratona. Si perché la prima prima non mi è venuta particolarmente bene e quindi la considero solo come un test.
Una sorta di idoneità.

“Non sei morta. In ogni caso ritenta che sarai più fortunata”.

Tutto viaggiava in quella direzione. Un sogno che si plasmava e prendeva forma ogni giorno, come “i prigionieri” di Michelangelo che escono fuori dalla pietra a cercare una liberazione, un posto nel mondo.

Volevo il mio posto nel mio mondo.

Le auto passano nelle pozzanghere nere e sollevano onde d’acqua su cui ci si può surfare, ma non importa, l’acqua lava l’anima dai pensieri incompiuti.

Ogni tanto quando vengo travolta da un’onda anomala mi scappa un “mortacci tua!”, ma poi continuo per la mia strada e riprendo a viaggiare.

Rifletto sul Lockdown, su tutti i sogni che mi ha portato via, sul piede che mi sono rotta scendendo le scale per perdere quei maledetti 4 kg di troppo.

Pensavo che tutta questa privazione avrebbe fatto bene alle persone, che le avrebbe unite, che si sarebbero ritrovate tutte in un unico scopo che è quello di uscire da questo delirio, da questa falsa vita in cui ci arrabattiamo da mesi, un po’ come i racconti della nonna sulla guerra durante la quale, come raccontava lei, “una pentola di fagioli faceva il giro del palazzo e mangiavano tutti”.

Mi sbagliavo.

La pioggia bagna i miei pensieri controcorrente e li porta con se in rivoli di acqua sporca verso la fogna, ogni tanto trasportano una cartaccia, un po’ di foglie secche che spariscono nel buco o navigano in una pozzanghera, volteggiando come in una stramba battaglia navale.

In questo inizio anno di speranza la pioggia non manca. Sembra quasi che la terra, stanca di tutti i soprusi dell’uomo, compia un rituale di purificazione.
Sento il rumore delle scarpe sull’asfalto bagnato. Ritmico. Costante. Tutto il contrario di me.
Persa sulle mie montagne russe, vivo la mia vita come se stessi facendo le ripetute. Corro forte, più forte che posso, finché non sento il fiato rotto e poi mi fermo. Non ho mai amato i percorsi piatti, la velocità costante.

Tanti mi hanno sempre detto “fai la maratona di Berlino! È facile, veloce, tutta piatta!” Per l’amor di Dio! Mi pervade la noia, mi assalgono i pensieri, guardo il cardiofrequenzimetro senza sosta mentre i metri non passano mai.

Devo sentire il fiato corto sulla salita, liberare le gambe nella discesa, porre attenzione a non scivolare sul sampietrino bagnato, schivare le buche.

La vita non è un percorso liscio, piatto e rettilineo, e se riesco ad affrontare un percorso accidentato, la mia testa mi dice che posso affrontare anche la vita così come viene, con le sue buche, le sue radici, le sue salite.

Continua a piovere.

Il cielo è plumbeo e non promette niente di buono, ma io non voglio tornare casa. Ho ancora tanti pensieri, tante gocce da lasciar cadere a terra lungo il percorso.

Quanto ho lavorato e sto ancora lavorando per migliorare il mio passo, per correre leggera, per potermi permettere di affrontare nuovamente una maratona, non come la prima, ma carica di soddisfazione, godendomi il percorso, il paesaggio, le strade sconosciute di una città vista troppo tempo fa. Le nostre strade si sono divise e siamo cresciute lontane io e Londra, oppure io e New York.

Ero poco più di una bambina quando ci sono stata l’ultima volta. Le strade sono rimaste li, ma non sono più le stesse, consumate dall’incessante cammino delle generazioni che si sono susseguite e hanno costruito i loro valori, la loro economia, la loro vita. E io? come mi sono evoluta io? quanto sono cambiata da allora? Se chiudo gli occhi e guardo indietro stento a riconoscermi.

In comune abbiamo solo il lungo filo d’oro ricoperto da tutte le esperienze che ho vissuto, quello che gli scienziati chiamerebbero DNA.

Il patrimonio genetico che getta le fondamenta del nostro essere. Tutto il resto è cambiato, si è evoluto, è cresciuto. Allora non correvo, non parlavo, non comunicavo con il mondo esterno. Tutto si svolgeva nella città che era la mia anima.

La città dove anche oggi ritorno quando fuori piove. Popolata di saltimbanchi, trampolieri e trapezisti che volteggiano quasi volando in un cielo azzurro.

Gli stessi che vado a trovare quando piove, quando ascolto il rumore ritmico delle scarpe sull’asfalto, quando mi si bagna il viso e gli odori diventano più intensi intrisi di pioggia.

È ora di tornare.

La strada in discesa porta un rivolo di pioggia carico dei miei pensieri.

Li lascio andare mentre torno alla realtà.

Ludmilla Sanfelice

 

Ludmilla Sanfelice
Un giorno senza sorriso è un giorno perso. Non importa quanti pesi portiate sulle spalle, la vita è un battito di ciglia e va vissuta in ogni istante. Come l’ho scoperto? Allacciando le scarpe e cominciando a correre. Run Lud Run! Ogni giorno una nuova storia aspetta di essere raccontata.