Francesco Panetta, l’atleta capace di saltare gli ostacoli con il cuore prima ancora che con le gambe…
Se sei nato in terra di Calabria e ti avvicini alla disciplina dell’atletica leggera inevitabilmente devi fare i conti con la carenza di infrastrutture adeguate.
Se poi la voglia di correre è così tanta da superare perfino il passo delle tue ambizioni, allora la scelta di lasciare il posto in cui sei nato non potrà che essere obbligata e sarai destinato a ricordare ogni angolo di quella terra con infinita malinconia per il resto dei tuoi giorni.
Nasce così, a Siderno Marina, la storia di uno dei più grandi mezzofondisti che l’atletica azzurra ricordi.
A 18 anni Francesco Panetta, come tanti suoi coetanei, emigra al nord in cerca di successo. Lo trova a Milano nella gloriosa società della Pro-Patria, ma soprattutto attraverso i consigli tecnici di Giorgio Rondelli, suo mentore e allenatore.
Siamo a metà degli anni ’80 e il movimento dell’atletica leggera italiana vive un periodo di grande splendore. Basti pensare che ai Campionati Europei di Stoccarda ’86, nella specialità dei 10.000 metri, uno come Panetta viene escluso dalla lista dei tre rappresentanti che ogni nazione può portare in gara.
Gara a cui prendono parte Stefano Mei, Alberto Cova e Salvatore Antibo, primo, secondo e terzo sulla linea del traguardo.
Panetta “ripiega” così sui 3.000 siepi. La gara a lui non piace molto, per sua stessa ammissione non si definisce uno specialista degli ostacoli, ma è Rondelli a convincerlo.
Disputa le semifinali e viene ripescato con il penultimo tempo, ma ancora una volta è Rondelli a consigliarlo prima della finale.
Vai e fai baldoria
Francesco non se lo fa ripetere due volte e tira fuori una prestazione memorabile.
Si piazza in testa al gruppo e dopo un giro e mezzo ha già creato un vuoto di 60 metri che difende fino all’ultimo giro, fino alla riviera, il penultimo ostacolo, quello seguito da una vasca piena d’acqua, scavata all’interno della pista.
L’uscita dalla barriera non è delle migliori, viene rimontato e superato dai suoi avversari, il tedesco dell’Est Hagen Melzer e quello dell’Ovest Patriz Ilg.
Ma con Panetta in pista non è mai finita. Ultimo ostacolo, mancano 50 metri, il ragazzo di Calabria tira fuori tutta la sua tempra e il suo coraggio, rimonta Ilg e si regala un argento a dir poco sognato.
E’ la gara decisiva della carriera di Panetta.
Chiuso da compagni di squadra di altissimo livello nelle gare di fondo (5.000 e 10.000 metri), capisce che ha la grande occasione di diventare una star nella specialità delle siepi, nonostante la concorrenza dei temibili keniani e l’avversione per gli ostacoli.
E poi tra un anno Roma ospiterà i mondiali: in un attimo si sente l’uomo giusto al posto giusto.
Prepara in maniera meticolosa l’appuntamento e la sera del 5 settembre 1987 è pronto per prendersi la rivincita su Melzer.
Parte come sempre in testa per avere meno imprevisti possibili nell’affrontare gli ostacoli e, a metà gara, sente un tonfo alle spalle.
E’ il keniano Kipkemboi, il favorito della gara insieme a lui. E’ caduto e si è fermato, mani in testa per la disperazione.
Tutto questo però Francesco lo sente e basta, non ha tempo per voltarsi. E poi c’è il megaschermo dell’Olimpico a raccontare visivamente quello che sta accadendo in pista. Panetta cambia strategia in un attimo, capisce che è il momento di fare il vuoto e parte con una progressione implacabile.
Il plotone si sfilaccia e quando arriva di nuovo l’ultima barriera dell’ultimo giro, l’avversario è sempre lì ed è sempre lui, Hagen Melzer.
Ma stavolta l’azzurro ne ha abbastanza per sè e per il suo avversario, e chiude agitando il pugno della mano destra e mandando in visibilio il pubblico di casa che ricambia con un boato dentro a un mare di bandiere tricolori.
E’ oro con tanto di record italiano (tuttora imbattuto), 8’08″57, un’emozione impossibile da dimenticare.
Come se non fosse abbastanza, a quell’oro Francesco accompagna anche una medaglia d’argento sui 10.000 metri.
Ma la vita si sa, è fatta di alti e bassi, e quando tutti si attendono un’altra magia alle Olimpiadi di Seoul ’88, arriva invece la grande delusione.
In finale il campione del mondo tira per 2.000 metri, poi al primo allungo dei rivali si sfila e finisce nelle retrovie, arriva nono. La vittoria va al keniano Kariuki, che precede il connazionale Koech e il britannico Mark Rowland.
Proprio quest’ultimo è il grande rivale due anni dopo, agli Europei di Spalato ’90.
La gara stavolta è tutto un duello tra l’azzurro e Rowland.
L’inglese, dotato di lunghe leve, è più a suo agio sugli ostacoli e si vede. Alla riviera dell’ultimo giro guadagna un paio di metri.
Panetta non sembra in condizione di attaccare, ma ancora una volta stupisce tutti, dopo l’ultimo ostacolo riesce a pescare dal fondo della sua caparbietà uno sprint che fa sembrare immobile l’avversario.
Effettua il sorpasso a una velocità doppia, ha addirittura il tempo di guardarsi attorno e alzare le braccia, è Campione d’Europa.
Sarà questa la sua ultima grande vittoria, ma non sarà l’ultima occasione in cui Francesco Panetta farà parlare di sè.
Quattro anni dopo, agli Europei di Helsinki, l’azzurro ci arriva con l’esperienza e il carisma di chi ha il compito di condurre alla vittoria i compagni di squadra, gli emergenti Angelo Carosi e Alessandro Lambruschini.
E quando proprio quest’ultimo cade a inizio gara saltando male su un ostacolo, Panetta è alle sue spalle, lo aiuta a rialzarsi e lo incita a non mollare.
Poco più di cinque minuti e un paio di chilometri più avanti, Alessandro Lambruschini batte in volata Angelo Carosi e si laurea Campione d’Europa succedendo proprio a colui che ha raccolto da terra il suo sogno.
Ma il gesto d’altruismo che si è compiuto in pista è destinato a rimanere nel cuore e nella mente degli appassionati italiani, perchè anche quando non vince Francesco Panetta risponde presente, ancora una volta l’uomo giusto al posto giusto.
Massimiliano Coniglio