Il maratoneta ha New York, l’Ultrarunner il TOR, il triatleta Kona e, lo Swimrunner… Ötillö World Championship, OWC per farla breve.
Lo Swimrun è uno sport nato in Svezia, da una scommessa, una ventina d’anni fa.
Quattro amici hanno tracciato un possibile percorso che univa 24 isole tra le oltre duemila presenti nell’arcipelago di Stoccolma e una mattina all’alba si sono buttati nel baltico per capire se sarebbe stato possibile.
Perché abbiano scelto proprio quelle 24 isole e non altre non si sa, però si divertirono molto nella loro prima esperienza che ripeterono per un paio d’anni cercando di coinvolgere altri pazzi che volessero passare una giornata a correre indossando una muta e nuotare nonostante le scarpe ai piedi.
Nel 2005 le scorribande giocose diventarono una gara ufficiale, grazie all’impegno di 2 organizzatori di gare con grande esperienza nelle Adventure Race, Michael Lemmel e Matts Skott.
Michael E Matt, innamorati della Natura e delle esperienze all’aria aperta, intravidero la possibilità di trasformare un divertimento in qualche cosa di più grande, in uno sport nuovo, che potesse coinvolgere più appassionati in tutto il Mondo.
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Mantenendo il tracciato originale, promossero la prima gara Ötillö, che vuol dire “Da isola a Isola” (presumo che Ö per i vichinghi significhi “isola”) e per descrivere cosa bisognava fare in questa gara, swimrun è la sintesi perfetta.
In 18 anni da pratica svolta da poche squadre di partecipanti che con mezzi di fortuna cercavano di unire le 24 isole con alterne fortune, si è arrivati ad uno sport con migliaia di praticanti in tutto il mondo.
Le gare si sono moltiplicate in varcando i confini della Svezia, arrivando in tutta Europa e anche in Nord America.
E tutti gli swimrunner sognano di poter, almeno una volta, trovarsi alle 6 del mattino, quando sta per albeggiare, sull’isola di Sandham, nel cuore dell’arcipelago, con addosso una muta, cuffia e occhialini in testa, palette alle mani, pull legato in vita, scarpe ai piedi e un amico con cui condividere un viaggio a pelo d’acqua, attraversando o costeggiando isole, chiedendo permesso alle correnti del Baltico e arrivare, prima che il sole tramonti, sull’isola di Üto.
Il percorso è lungo circa 75km di cui 65 di corsa e 10 a nuoto (se non ci sono correnti e si nuota dritti!) per un totale di 48 transizione corsa/nuoto/corsa.
Si corre in coppia per un paio di motivi. Il primo è logistico: attraversano foreste su isole disabitate e nuotando alcuni passaggi in mare aperto, avere un compagno di squadra è fondamentale in caso qualche cosa vada storto.
Il secondo motivo…condividere certe emozioni le amplifica e rende certi legami più forti della corda con cui ci leghiamo in acqua per non perderci.
Con Paolo siamo il Team Envol Italia e abbiamo avuto la fortuna e il merito di essere al via per la nostra quarta volta alla Ötillö World Championship.
Sempre noi due, che abbiamo iniziato il nostro percorso nel 2017, debuttando a Hvar, Croazia, nella primavera del 2018, con pochissima esperienza, ma tanta voglia di scoprire posti nuovi.
E questo è uno degli aspetti che ci ha fatto innamorare dello Swimrun: la sensazione di vivere dentro la Natura. Correre e nuotare per unire due punti su una mappa non è come fare un bellissimo trail, o una lunga traversata a nuoto, ti lascia qualche cosa di più sulla pelle, senti molto più forte di essere parte di qualche cosa che devi rispettare per poter andare avanti.
Devi conoscere e capire il contesto in cui ti trovi, ospite, per poterti adattare e raggiungere il tuo obiettivo.
C’è un’alba chiara e luminosa che piano piano rischiara la partenza.
Sembra che ci sarà bello ma è meglio non illudersi perché in una decina di ore qui, possono cambiare parecchio le condizioni meteo.
Non è la prima volta e non siamo qui per vincere, ma comunque avverto un po’ di agitazione. Ce la faremo? Siamo l’unica squadra italiana al via e non vorremmo sfigurare.
Anche se non siamo allenatissimi contiamo di arrivare in fondo, più o meno in 11 ore, molto dipenderà da come sarà il mare e da come sapremo leggere il terreno.
La prima parte è per me la più difficile perché è quella che ha nuotate più lunghe, con corse brevi e l’inizio è davvero problematico: il mare non è mosso ma è abbastanza bizzoso, per di più c’è parecchio traffico e la nostra traiettoria si interseca spesso con quella di altre coppie, rendendo impossibile nuotare bene. Sono 1.600m davvero duri ma bellissimi, illuminati sul finale dal sole che è finalmente sorto. L’uscita è ostica, con questi sassi svedesi che basta una goccia per trasformarli in sapone. Guadagnata la posizione eretta ci destreggiamo egregiamente nella corsa molto tecnica sugli scogli fino a guadagnare la seconda nuotata.
L’acqua è meno fredda del previsto, siamo tra i 14 a 15 gradi e quando usciamo troviamo sempre un bel sole che ci riporta subito in temperatura.
Arriviamo al primo, temutissimo cancello, con una buona ora d’anticipo. Detto così sembra facile ma, alla nostra prima esperienza, avevamo passato questo cancello con solo 5’ di margine. Poi avevamo messo il turbo e chiuso la gara in poco meno di 10h30’, oggi invece dobbiamo gestire le nostre energie senza strafare; quindi, aver passato con anticipo il cancello non dà nessuna garanzia: sappiamo solo che siamo poco oltre le 2 ore di gara e fin qui tutto bene.
E allora via, passando sopra isolette che sono poco più che scogli, oppure attraverso foreste, con tronchi abbattuti e paludi, intervallate da nuotate in un Baltico sempre un po’ difficile. Acqua, terra, acqua, scogli, sassi che scivolano, io che scivolo e non mi faccio nulla e si riprendere a correre, magari piano, ma senza mollare mai.
Pig swim, una delle nuotate più dure perché arriva che si hanno già 5 o 6 km nelle braccia e sono 1400m in mare aperto con corrente abbastanza decisa verso la Finlandia. Non so perché sia la nuotata del maiale, mentre nuoto, e cerco di non impigliarmi nella nostra corda scossa dalle onde, di sicuro non ci penso, voglio solo uscire dall’acqua il prima possibile perché inizio a sentire la fatica.
Ultimi metri davvero difficili con un po’ di corrente contraria, o forse solo braccia stanche che non ci fanno avanzare veloci come vorremmo.
Finalmente terra, ora mi sento un po’ più vicino al traguardo, anche se mancano ancora una trentina di chilometri, ma solo una nuotata da mille metri, tutte le altre sono corte.
Soprattutto manca Örno, lo spartiacque della gara.
È l’isola più lunga del nostro percorso che per me è una sorta di varco temporale: inizi a correre che non sei ancora a metà percorso, ti butti in acqua che ti manca solo il gran finale.
Nel mezzo ventichilometri da fare, soprattutto con la testa. I primi 6 sono un bel trail che, anche se impegnativo, mi passa abbastanza. Poi la strada diventa una pista in terra battuta, senza particolari asperità: diventa noiosa. Quando inizia l’asfalto, oltre che noiosa, la corsa diventa anche un po’ più fastidiosa, perché la superficie dura amplifica i dolori che si iniziano ad avvertire alle gambe.
L’unica nota positiva, per chi vuole arrivare al traguardo, senza ambizioni di tempo è che, una volta su Örno i cancelli orari sono molto larghi, quindi se si scoppia, anche camminando si arriva, prima o poi, ma sicuramente molto poi, al traguardo.
Noi però abbiamo anche minimo di dignità agonistica e vogliamo correre quanto più possibile. Piano, ma senza camminare.
Inizia una sfida mentale tra noi e la strada che con la sua monotonia ci suggerisce di prendercela comoda, che tanto ormai non arriviamo primi e comunque arriveremo lo stesso, anche camminando.
Le gambe rigide ripetono quello che ci dice la strada.
In lontananza si vede una coppia che cammina. Se lo fanno loro…
NO. Siamo “Duracell” e non molliamo.
Vedere gli altri che camminano diventa benzina per tenere il nostro piccolo trotto.
Finalmente il ristoro.
Stacco mentale e, soprattutto, vuole dire che abbiamo coperto 11km. Mentre mangiamo cose a caso scherziamo un po’ coi volontari che, come in qualsiasi gara, sono l’elemento fondamentale per noi che siamo lì a divertirci.
Quindi mille ringraziamenti a riprendiamo la corsetta, resa un po’ più facile dal rifornimento ma con le gambe più legnose per la sosta.
I ristori di questa gara meriterebbero un capitolo a parte perché sembrano fatti da un nutrizionista impazzito.
I classici cibi energetici (gel e barrette) sono piuttosto rari. Abbondano le caramelle gommose, c’è frutta secca, a volte salata, cioccolato, biscotti con cioccolato, torte, ma non sempre le stesse, quindi tutte le volte provi: a volte son buone altre un po’ meno.
Non mancano arance e banane ma, la perla, è il secondo ristoro dove non c’è nulla dell’elenco precedente ma solo hot dog (se vuoi ci sono pure le salse) oppure dei sandwich con formaggio e cetriolo.
Giuro che non abbiamo mangiato l’hot dog!
È finita la traversa Nord Sud di Örno e inizia a salire un po’ di malinconia. Mancano solo una decina di chilometri alla fine, le tappe segnate sulle palette si alternano sempre più velocemente perché sono brevissime, non certo perché noi siamo veloci, è swimrun nella sua essenza, con transizioni continue, corse su isole deserte, brevi single track, salti tra le rocce e un tuffo per rinfrescarsi e poi via ancora tra le rocce vulcaniche fino agli ultimi 100 metri di nuoto.
Uto, l’ultima isola. 3500m di corsa semplice, dove non si guarda nemmeno la strada e si inizia a ricordare il viaggio incredibile che stiamo per concludere.
Iniziano le pacche sulle spalle, i sorrisi, i racconti degli episodi che renderanno indimenticabile questa esperienza, le cadute, gli errori fatti nelle transizioni, le cose che non avevamo visto le altre volte e ci sono sembrate nuove, fino a che si imbocca l’ultima salita, 300m che portano al traguardo, all’esultanza e all’abbraccio finale.
10h33’, cinquantasettesimi su 160 equipaggi partiti. Unica squadra italiana in gara e unica coppia italiana che ha completato 4 volte questo tracciato mitologico per noi swimrunner.