Miguel 2017: cronaca di 10 chilometri corsi a Roma.

Partenza:

Le griglie sono immense e c’è un mare di gente. I podisti che hanno il pettorale dello stesso colore del mio sono quasi tutti sovrappeso e incanutiti, alcuni coi passeggini, mi sa che fregarsene del tempo di accredito non è stata una buona idea. Cerco di guadagnare posizioni ignorando educazione e regolamenti. Mi accorgo che toccare la spalle del tizio davanti pronunciando con decisione “Sorry” lo fa scostare; l’idea calcistica che lo straniero sia più forte e meriti di partire davanti è talmente radicata che funziona anche qui. Gli occhi dolci a un addetto mi fanno scavallare una griglia, un salto di transenna agile me ne fa guadagnare un’altra. Mi piazzo in coda alla prima, mi ritengo soddisfatto e aspetto la partenza con le braccia incrociate a coprire il pettorale. Agli sguardi accusatori dei podisti vicini rispondo con un confuso “ehhh se so sbajati”. Fa molto freddo, ho mani e piedi gelati e sono stretto tra odori forti di olio canforato e ascelle risvegliate dal riscaldamento pre gara. Si parte, o meglio, sento lo sparo e vedo agitazione intorno a me. Vengo trascinato dalla folla fino al tappeto di start, riesco a liberare un braccio e ad accendere il mio fedele orologio “For Runner” e comincia la mia gara.

KM 1 : Si annoverano due tecniche fondamentali per farsi spazio nella calca di una gara podistica. La prima, semplice quanto brutale, è la scalciata. Colpisci con la punta della scarpa il polpaccio del podista davanti. Il dolore pungente sul muscolo ancora freddo lo costringerà a rallentare e a guardarsi dietro, a quel punto puoi superarlo in silenzio (per i più vigliacchi o timidi), superarlo chiedendo scusa (se si vuole mantenere un granello di gentilezza), superarlo spuntando(solo per i più scafati).

Il secondo metodo è la spinta. E’ una tecnica complessa e solo per i più esperti. Non si limita a spingere via il contendente, questo non è consentito, ma ad appoggiare delicatamente la mano sulla sua schiena, spingerlo per qualche metro, infine, con una rotazione decisa del polso, spostarlo lateralmente e superarlo. Si può utilizzare senza distinzione di stazza o genere. Attenzione alle reazioni, è fondamentale allungare il passo e prendere subito distanza dal malcapitato. Con un uso ampio di entrambe le tecniche riesco a ritagliarmi uno spazio di strada solo per me.

KM 2: Da esperto maratoneta sto affrontando con sufficienza questa 10 chilometri. Quasi spocchia. Mi chiedo che gusto c’è ad alzarsi presto, fare una colazione misera e prendere freddo per correre così poco. Distratto da questi pensieri vengo superato da duecento persone.

KM 3: Che strano, vorrei già fermarmi, mi sa che sono partito troppo forte, meglio rallentare, ma nelle gare da 10 chilometri non si rallenta, si va in progressione. Sulle sponde del Tevere dove mi alleno sempre non posso mollare dopo 2500 metri. Stringo i denti. Sto sudando come in sauna, forse termica + scaldacollo + guanti + cappellino di lana + calzoncini super comprimenti + calze fino al ginocchio è stata un scelta eccessivamente conservativa. Mi vorrei fermare, chissà se anche gli altri odiano la corsa come me in questo momento.

KM 4: Dedicato ai “tiratori”. Si tratta di podisti di buon livello, tutti rigorosamente uomini, che semplicemente cercano di ribellarsi alla solitudine sentimentale che sta rendendo le loro vite amare. Per fare questo decidono coraggiosamente di sacrificare la loro passione per aiutare in gara un altro podista, sempre rigorosamente donna, in cui hanno intravisto, magari in un allenamento o in una cena di squadra, un qualche segnale, anche debole, di disponibilità sessuale. I nostri malcapitati affrontano la gara osservando, nei primi chilometri, la loro protetta di spalle che, infischiandosene dei richiami, li ignora spinta da gambe ancora fresche. Al primo segno di fatica di lei il nostro scatta per superarla e cercare di condurla a un passo corretto. Lei lo vede passare e comincia a insultarlo accusandolo di averla fatta partire troppo forte. Il nostro manda giù e cerca di portare a termine il suo triste compito, alle spalle sente il respiro affannoso e rancoroso di lei. Alla fine della gara il risultato è incredibilmente centrato. Lei ha un nuovo personale e lo festeggia con il compagno di squadra bello e forte già arrivato da tempo mentre il nostro asciuga sudore e lacrime. Vedo un tiratore inseguire la sua bella e chiamarla vanamente con un timido “rallenta” , lo lascio al suo destino e mi concentro sulla strada.

KM 5: Bellissimo, ho ripreso fiato, metà gara è alle spalle, nessuno mi supera più. Mi sento bello e forte.

KM 6-7: Procediamo sulla ciclabile, la strada sale leggermente, per me ogni minimo dislivello rilevabile si chiama “salita”. Mi sento in diritto di lamentarmi con l’organizzazione e con la vita mentre la percorro. Provo odio autentico per chi, forte dei suoi 40kg di peso per 180cm di altezza, mi stigmatizza con “e che me la chiami salita?”. Andate a correre sulle Dolomiti con i vostri amici Stambecchi e lasciate me e i miei amici tozzi con le gambe corte liberi di dire “Che è sta salita?, sul sito c’era scritto che era pianeggiante!”.

KM 8: Si torna in piano e la vita torna in me. Provo a spingere. Il passo rimane lo stesso in compenso il cuore mi schizza nel cervello. Decido di tenere duro e cercare la progressione. Miguel va onorato. Duro duecento metri. Mi accodo ad un tizio in crisi e ci mettiamo a lato strada. Vedo un avvoltoio appollaiato sul Ponte della Musica.

KM 9: Passa un conoscente, mi fa i complimenti per la mia ultima Maratona. Decido che siccome sono un maratoneta il tempo sui diecimila non conta. Lo ringrazio e riprendo con passo agile e anima leggera. Siamo vicini allo Stadio Olimpico. La gara finirà dentro. Da tifoso Laziale militante non vedo l’ora. C’è tanta gente che tifa lungo la strada. Questo chilometro lo dedico ai “tifosi” delle gare di corsa. Mogli e mariti, con bimbi al seguito, stremati da attese di ore per veder passare il consorte lento e sconvolto, vergognarsi per lui, dire un “ti amo” che in realtà è un “ ma vattene aff… tu e la corsa di m…”. Poi ci sono i tifosi occasionali, pedoni bloccati in attesa di attraversare, che ti incitano ma credono, giustamente, che tu sia pazzo. Spesso gli addetti al percorso fanno attraversare i pedoni davanti a voi che sopraggiungete correndo. Se il pedone corre la vostra gara sta andando bene, se il pedone, invece, attraversa camminando, state andando male. Se attraversa con bambino e il bambino sta spingendo il suo passeggino vuoto state andando malissimo.

Km 10: E’ fatta. Stiamo per entrare. Alcuni sono già arrivati, altri arriveranno dopo. Tra il fiatone, il sudore, e le gambe stanche vedo un podista sgraziato, non è un ragazzino e non è snello e atletico, ma aggredisce la pista e punta il traguardo. Lo affianco. Ha lo sguardo fisso e trattiene il fiato. Alla fine Miguel aveva capito tutto: noi podisti conosciamo il freddo e il caldo e la fatica come nessuno, forse non tutti abbiamo un corpo sano ma tutti abbiamo un’anima grande e un grande cuore, e negli ultimi metri di una gara il sorriso è veramente quello dei bambini. Passo il traguardo con il mio amico sgraziato. Lo abbraccio. Gli abbracci forti di chi condivide la fatica. Facciamo qualche metro insieme, mi tiene la mano sulla spalla, poi indica la porta sotto la curva Nord e dice “Lo vedi? Li ieri ha beccato il goal la Lazio, se ce ripenso ancora godo”.

Thomas Del Duca